Omelia per l’ordinazione presbiterale dei diaconi Cristian Di Silvio e Giuseppe Rizzo

 

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

Conosco quelli che ho scelto

Omelia per l’ordinazione presbiterale

dei diaconi Cristian Di Silvio e Giuseppe Rizzo

 

Cassino-Chiesa Madre, 21 aprile 2016

“Opera della tua misericordia”

La preghiera della Colletta è la “porta” dell’azione liturgica, sulla cui soglia ci siamo disposti dinanzi a Dio come “opera della tua misericordia”, soprattutto perchè “hai redento l’uomo e lo hai innalzato oltre l’antico splendore”. Questa felice verità rimanda idealmente alla Veglia pasquale all’inizio della quale si acclama: Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo  dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra all’amore del Padre  e li unisce nella comunione dei santi(Exultet). Nella medesima Colletta abbiamo poi chiesto al Signore di custodire sempre nella nuova vita di battezzati “i doni della tua grazia”. Nella rinascita battesimale siamo stati illuminati con il dono della fede: Il lavacro si chiama illuminazione, perché coloro che imparano le verità ricordate sono illuminati nella loro mente. Colui che viene illuminato è anche lavato” (S. Giustino, Prima Apologia, cap. 61).

Carissimi Cristian e Giuseppe, se il battesimo ci innalza “oltre l’antico splendore”, la grazia della sacra ordinazione presbiterale vi configura a Cristo, servo dell’umanità e suo pastore. Oggi la Parola di Dio ci dispone ad accogliere con stupore la grazia di questa conformazione a Cristo, eterno sacerdote, misericordioso e degno di credibilità.

Uomo secondo il mio cuore

Nella sinagoga di Antiochia in Pisìdia, dopo la lettura della Legge e dei Profeti, viene chiesto a s. Paolo di rivolgere ai presenti una parola di esortazione. L’apostolo detta come omelia un “credo storico” nel quale la grazia elettiva del “Dio di questo popolo d’Israele” si concentra sulla scelta di alcune responsabilità in grado di guidare il suo popolo. La prima di queste figure evocate da s. Paolo è quella di Davide: la sua scelta come re è basata su un amalgama di espressioni bibliche riprese da Sal 89,21, 1Sam 13,13-14 e Is 44,28. Tra i molti personaggi dell’Antico Testamento, la figura di Davide riveste senza ombra di dubbio una centralità e un’importanza di primo piano: Dio lo sceglie perché in lui trova un uomo secondo il suo cuore. Pastore e Re di Israele è Yahweh: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla” (Sal 23,1); “Tu pastore d’Israele ascolta…” (Sal 80,2). Davide in qualità di re-pastore dovrà rappresentare la regalità di Dio per il popolo (cfr. Gv 10) . Il cuore di Davide è in sintonia con i sentimenti del cuore di Dio, pastore di Israele: “Ecco, il Signore Dio viene con potenza…come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri” (Is 40, 10-11). Davide dovrà distinguersi per la bontà del suo animo, per la compassione del cuore, per la dedizione generosa, per l’edificazione del bene per coloro che Dio gli affida. Certamente Dio non avrebbe potuto scegliere il figlio di Iesse se nel suo cuore avesse trovato incredulità, avarizia, superbia, odio o superbia. Dio non avrebbe potuto sceglierlo né avrebbe potuto testimoniare in suo favore. Davide aveva un cuore pieno di fede nei confronti di Dio: “L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1Sam 16,7). Possedere un cuore secondo il cuore di Dio è cosa straordinaria, e comunque nelle Sacre Scritture non sembra essere detto di altri. Eppure, anche in quest’uomo che Dio sceglie come guida di Israele alberga la fragilità e la debolezza. Davide è un uomo incline al peccato: però sa riconoscere la gravità dei suoi errori, e si umilia dinanzi a Dio per ottenere il perdono. Dio sostiene la sua debolezza e lo riabilita nel suo ruolo di re e pastore. Davide è il peccatore pentito perché credente, sa che Dio è con lui anche quando lui lo contraddice con il peccato!

Cari Giuseppe e Cristian, la vostra vita di presbiteri dovrà essere nutrita sempre e soltanto dalla carità pastorale per la quale, qualunque cosa facciate, tutto deve concorrere al bene spirituale della gente, senza coltivare interessi umani e personali. Rifuggite dalla tentazione dell’esaltazione, del prestigio, della carriera, dell’elevazione sociale: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (Mc 9,35). Inoltre, non dovete mai dimenticare la necessità di coniugare lo stupore per l’opera di Dio con il realismo dei propri limiti. Siete chiamati ad incarnare la misericordia di Dio da peccatori perdonati, da guaritori feriti, da samaritani guariti. “Cor Pauli Cor Christi” disse san Giovanni Crisostomo commentando le Lettere paoline (Omelia 32 sulla Lettera ai Romani). Con s. Paolo potete riconoscere: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio” (1Tim 1,12).

 

Non sono io il Cristo

S. Paolo nella sinagoga di Pisìdia ricorda anche la figura singolare di Giovanni Battista. Dio suscita per Israele il precursore che annuncia, con il suo rigoroso stile di vita e con l’audacia della sua parola a volte violenta, la conversione e il pentimento.

Cari Giuseppe e Cristian, richiamo alcuni tratti della sua identità profetica, molto affini alla vostra missione pastorale. Giovanni è innanzitutto colui che “danza”, gioisce, per il Messia: “Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1,44). La vita celibataria del prete, ancor prima di essere una condizione di rinuncia, esprime innanzitutto la gioia di accogliere Cristo nel proprio cuore come unica ragione della vita: per Lui vivere, Lui solo amare, in Lui tutto e tutti amare e servire, per Lui soffrire, per Lui dare la vita. “Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo” (Gv 3,29). Giovanni Battista non vive che per il Messia: prepara l’incontro nuziale tra l’amore misericordioso del Messia che viene “a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4,18.19) e l’umanità mendicante di riscatto. Scrive Papa Francesco: “La verginità è una forma di amore. Come segno, ci ricorda la premura per il Regno, l’urgenza di dedicarsi senza riserve al servizio dell’evangelizzazione, ed è un riflesso della pienezza del cielo” (Esort. Ap. Amoris laetitia, 159).

Giovanni inizia la sua missione nel deserto. Nel deserto “cade” su Giovanni la Parola (Lc 3,2) di cui lui stesso sarà “voce” forte e coraggiosa. Carissimi Giuseppe e Cristian la dimensione del deserto, evocatrice di silenzio, raccoglimento, ascolto della Parola, adorazione del Mistero eucaristico, purificazione interiore, deve costituire la risorsa energetica del vostro ministero presbiterale. Se la Parola di Dio non matura nel deserto interiore del cuore, nel silenzio dell’ascolto, il vostro annuncio, anche se forbito, sarà un suono flebile di parole senza anima, e non una predicazione capace di far diventare migliore chi ascolta la Parola.

Giovanni resta fedele alla sua missione di precursore: “Non sono io il Cristo”. Egli non indica se stesso, non rimanda a se stesso, ma ad un altro. Questo atteggiamento di umiltà, verità e onestà, deve caratterizzare il vostro ministero presbiterale: “Egli deve crescere, e io invece diminuire” (Gv 3,30).Noi dobbiamo preparare le vie del Signore, non dobbiamo certo sostituirci a lui. Di fronte agli altri, non possiamo attirare i loro sguardi su di noi, quasi fossimo noi il “messia”. Con il Battista diciamo: “Non guardare a me, guarda al Signore!”. Il presbitero non deve mai dominare la scena del palcoscenico. Giovanni non cavalca l’onda del successo: “Non sono degno di sciogliere i legacci dei suoi sandali”. Non scalza il Messia, non nutre la pretesa di prendere il suo posto, non intende oscurare la sua missione!

Un servo non è più grande del suo padrone

Gesù oggi dichiara: “Io conosco quelli che ho scelto”. Lui ci conosce e ci sceglie così come siamo, con le nostre qualità e difetti, risorse e deficienze. Dirà ancora. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,9). Un gran coraggio: ci conosce bene, e tuttavia decide ugualmente di sceglierci! La nostra fiducia è solo nella sua potenza. Il vangelo ascoltato ci riporta in quel Cenacolo che è il grembo spirituale del nostro presbiterato. Nasciamo preti nel Cenacolo con le parole di Gesù “Fate questo in memoria di me”. Questa consegna deve essere riferita, inseparabilmente, sia alla benedizione sul pane e sul vino, sia al gesto della lavanda dei piedi. L’esempio dell’amore illimitato di Gesù fino alla morte in croce si fa comandamento dell’amore più grande che egli affida agli apostoli: “Un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato”. L’agire del nostro ministero deve essere caratterizzato dal servizio, non dal prestigio né dall’arroganza. Il prete non appartiene ad una casta, ma con la sacra ordinazione è inserito nell’ordine presbiterale, in un presbiterio che diventa la sua nuova famiglia: “Tutti i sacerdoti costituiscono un solo presbiterio ed una sola famiglia, di cui il vescovo è come il padre” (Christus Dominus, 28).

Il Signore ci rivolge infine una parola di consolazione: “Chi accogli colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie Colui che mi ha mandato”. Il fiuto spirituale del nostro popolo riconosce nel ministro di Dio la presenza salvifica di Gesù Cristo. La gente ci accoglie per incontrare Colui che ci invia. A chiunque dobbiamo offrire la possibilità di incontrare Gesù, di conoscere e sentirsi amato da Lui, volto della misericordia del Padre.

+ Gerardo Antonazzo

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