Omelia per l’Epifania

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

Dio Cercato e “Ricercato”

Omelia per l’Epifania – 6 gennaio 2017

L’Epifania celebra il cammino della nostra conversione, perché illumina il nostro pensiero religioso e trasfigura le nostre attese spirituali: “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono” (Mt 2,11). Ciò che si presenta allo sguardo dei Magi è la scena più umile e domestica; sono forse delusi rispetto a quanto avevano ansiosamente cercato? Era proprio quello che avevano immaginato e sperato? In fin ei conti, la questione cruciale resta se ne valeva davvero la pena compiere quel viaggio carico di molte attese.

 

Tutto qui?

I Magi non trovano nulla di sconvolgente in quella casa di “rifugiati”. Erano partiti da molto lontano, lontani da Dio, provocati da un segno straordinario, l’apparire eccezionale di una grande e luminosa stella, per giungere in un luogo piuttosto semplice, molto meno accogliente di qualunque altro ambiente domestico. Eppure con la loro reazione dimostrano di aver trovato esattamente Colui che desideravano, in quel bambino riconoscono la presenza del Mistero: la stella non li ha ingannati, e loro non si sentono delusi!

Il viaggio dei Magi non fallisce perché diventa per loro un cammino di conversione: credo che qualcosa di importante, l’idea di Dio e della sua potenza, è radicalmente cambiato tra la partenza e l’arrivo. Davanti alla grotta, alla vista di un segno tanto semplice quanto ordinario, si prostrano in adorazione di Dio! Riconoscono Dio in uno dei segni tra i più ordinari e familiari, la carne dell’umiltà e della semplicità di un neonato. Dio scegli la piccolezza per la redenzione del mondo, e opera nei segni più deboli e disprezzati, opera con lo scarto dell’umanità.

Il profeta Elia immaginava di dover riconoscere la presenza di Dio nella potenza del fuoco, del vento, del terremoto. Nulla di tutto questo: gli si rivela nel “sussurro di una brezza leggera” (1Re 19,12). Niente di più delicato, silenzioso, inafferrabile. Giovanni Battista, nel carcere, si chiede dove sono i segni della venuta del Messia: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attender­ne un altro?” (Mt 11,3). Il Messia non viene e non si rivela nella forza e nella potenza, ma nella mitezza e nella picco­lezza. C’è poco da “vedere” lungo il cammino su questa terra: nella casa, solo un segno debole e povero. Null’altro, se non  un bambino nella mangiatoia, da riconoscere alla luce della stella, cioè della fede. Tutto qui? Sì, i Magi si prostrano e lo adorano! Dio è tutto lì! Il Bambino, vegliato da Maria e Giuseppe è Dio stesso che si offre al mondo, si mette a  disposizione dell’uomo; è l’Onnipotente che si consegna nelle mani del mondo. Qualcuno anche oggi può restare deluso. I Magi hanno atteso per tutta la vita una stella, e dov’è ora il Messia? “Beato colui che non si scanda­lizza di me” (Mt 11,6). Dai Magi impariamo a convertire la nostra idea di Dio, a purificare le nostre attese “messianiche”, a sfrondare i nostri pensieri di “potere”, di successo, di gloria, che non si conciliano con la logica della debolezza di Dio, della sua semplicità e della sua povertà. I Magi ci offrono la corretta ermeneutica dell’incarnazione del Verbo: Dio continua a rivelarsi nella carne dei miseri e dei miserabili (Mt 25, 40).

 

Braccato e ricercato

Dio si offre alla ricerca dell’uomo, ai Magi come a Erode. Lo cercano entrambi, ma per ragioni opposte. Ed è sempre così. Anche oggi. C’è chi vive la ricerca sincera della fede, l’agonia dell’assenza di Dio, spinto dall’arsura delle domande e della ricerca. E c’è chi di Dio vuole farne assolutamente a meno, dandogli battaglia perché di Lui si perda ogni traccia. Il sepolcro del Signore lo svuoterà la potenza di Dio, la culla del Bambino la insidierà l’odio del mondo. La risurrezione è un evento di gloria;  la persecuzione contro il Bambino  è dura repressione. L’odio di Erode è un vile attentato che vuole dare morte alla Vita. E’ il tentativo di oscurare la Luce: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1, 5).  Erode lo cerca disperatamente: non lo vuole deposto nella mangiatoia, ma “deposto” da ogni pretesa, privato di ogni autorità e potere. Erode ha paura di un indifeso, e lo osteggia come un rivale: “Erode si turba, e per non perdere il regno cerca di ucciderlo. Che cosa temi Erode?…Cristo non è venuto per detronizzarti, ma per vincere il demonio. Tu questo non lo comprendi, perciò ti turbi e infierisci” (Quodvultdeus, Disc. 2 sul Simbolo).

Erode rivive nei potenti di turno: il Bambino di Betlemme resta un “ricercato”, perché rappresenta una minaccia, un incubo per chi ha sete di potere; deve essere braccato, perché è una presenza di troppo, troppo ingombrante per meritare di essere accolto. E’ solo un intralcio che complica la vita a tutti.  Pretende di portare la luce nelle tenebre, ma lui stesso dovrebbe rassegnarsi all’idea  che  “chi fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate” (Gv 3,20).Ma così non sarà, perché la luce della Stella continuerà a brillare, e vincerà le tenebre della storia.

 

Cercato e adorato

 “Abbiamo visto spuntare la sua stella”…Siamo venuti per adorarlo”. L’uomo è il suo fine ultimo: fallire nella  ricerca di Dio è svuotare di speranza e di attesa la vita. Nulla avrebbe più senso, non ci sarebbe altro da attendere. Nella ricerca della felicità, di quella beatitudo che soltanto nella visione di Dio potrà compiersi, l’uomo ricerca necessariamente solo l’ultimo fine. Il desiderio di Dio “è il fondamento della vita spirituale” (Simone Weil, Quaderni, 13°). Come un bambino appena nato che strilla per essere nutrito, così il desiderio e la ricerca di Dio è l’espressione più coinvolgente e più intensa dell’uomo alla ricerca del senso e della pienezza della propria vita. L’adorazione di Dio è l’obbedienza ad un bisogno interiore, come la fame del lattante. Il cammino dei Magi esprime l’atteggiamento di chi, sperimentando il limite dell’umano, si mette in ricerca, giunge sulla soglia del Mistero, e sorpreso dalla semplicità, abbraccia la tenerezza adorabile di Dio, accarezza la divinità nella carne umana, bacia il Volto che sorride e sorprende.

L’approdo davanti alla “casa” di Betlemme trasfigura l’incontro con il Bambino in adorazione di Dio. Lo diciamo di ogni creatura che nasce: è vero, ogni bambino è adorabile. La tenerezza emoziona e riempie il cuore di una gioia indicibile, fino alle lacrime. Ma il Dio-Bambino non è solo adorabile, merita di essere adorato. Dio sa attendere l’adorazione dell’uomo: come un mendicante che, immobile e silenzioso, attende con pazienza che qualcuno gli dia un pezzo di pane: “aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. Dio desidera, con pazienza, che alla fine del cammino, al termine di ogni ricerca, io possa acconsentire ad amarlo nel silenzio della mia anima, per ad-orare, rivolgere a Lui la mia preghiera, imparando a portare la mano sulla propria bocca perché tale preghiera lasci il posto al silenzio dello stupore per l’incanto dell’amore divino.

 

+ Gerardo Antonazzo

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