Omelia per le Ordinazioni diaconali e per la Dedicazione della chiesa Cattedrale

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Il Signore costruisce la casa

 

Omelia per le Ordinazioni diaconali

e per la Dedicazione della chiesa Cattedrale,

Sora, 9 ottobre 2015

 

 

Carissimi sorelle e fratelli, consacrati, diaconi e confratelli sacerdoti,

 

ci ritroviamo oggi per lasciarci rigenerare dalla grazia misericordiosa del Signore che effonde l’abbondanza dei suoi doni. La nostra celebrazione eucaristica è particolarmente impregnata di affetti spirituali. Immagino il fiume descritto dal profeta Ezechiele  come le acque della commozione e dello stupore che oggi riempiono questo Tempio, del quale ricorre la Dedicazione, per poi fluire fresche, abbondanti e rigeneratrici nel mare salato delle nostre amarezze, e  così risanare ogni segno di morte. Questo ‘edificio di Dio’ rimanda al tempio vivo della Chiesa che vive in Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo: “La diocesi è una porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali del vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore, e da questi radunata nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e della eucaristia, costituisca una Chiesa particolare nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica” (Christus Dominus, 11). L’unzione crismale del battesimo ci consacra come Dimora di Dio. Ci ricorda l’apostolo: “Noi siamo il tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo” (2Cor 6,16b).

 

Poggiare sulla roccia

Non si può edificare verso l’alto senza prima andare in profondità. Quando si apre un cantiere per la costruzione di un edificio la prima fase dell’intervento deve prevedere le operazioni di scavo, con tutte le possibili sorprese. La costruzione da realizzare deve poggiare saldamente sulla roccia per garantire la sua stabilità. Non di rado la pietra viva viene trovata molto in profondità, ma non bisogna né scoraggiarsi né demordere dall’impresa. Scavare è scrutare, conoscere, aderire alla salda roccia del mistero di Cristo: “Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio…” (1Pt 2,4). Cristo è il fondamento su cui costruire la vita cristiana personale e l’agire della comunità cristiana. Ci ammonisce l’apostolo:  “Come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1Cor 3,10-11).

Carissimi è importante all’inizio del nuovo anno pastorale sentirsi dire con chiarezza dalla parola di Dio queste verità. La comunità cristiana, diocesi o parrocchia che sia, si edifica soltanto sulla fede in Gesù Cristo, altrimenti la costruzione poggia rovinosamente sulla sabbia di elementi e criteri umani che foraggiano il protagonismo umano, il prestigio, le rivalità, l’apparenza, le gratificazioni, tutti sentimenti carnali che generano invidia e discordia (cfr 1Cor 3,3). Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia” (Mt 7,25). Roccia è uno dei simboli preferiti dalla Bibbia per parlare di Dio: “Il nostro Dio è una roccia eterna” (Is 26,4); “Egli è la Roccia, perfetta è l’opera sua” (Dt 32,4).  

Se questo riguarda tutti, in modo particolare impegna voi carissimi Giuseppe e Cristian. La parte più importante del sacro ministero è ciò che non si vede, come per ogni casa. Nella vostra vita dovrà prevalere e precedere l’adesione reale a Lui nella contemplazione del suo volto, nella scrutatio della Parola, nel silenzio dell’amore, nel dialogo confidenziale “faccia a faccia”. La parte migliore del vostro tempo la dedicherete alla preghiera liturgica e personale. Con gli impegni che tra poco assumerete davanti a Dio promettete di “custodire il mistero della fede” che è Cristo, di impegnare nel segno del celibato la vostra vita in una totale dedizione a Lui, di alimentare lo spirito di orazione, e di conformare a Cristo la vostra vita. Siete chiamati da Lui ad un amore esclusivo e totale, in anima, mente, cuore e corpo, per  “stringervi a Lui” secondo lo spirito dell eparole conclusive del rito di ordinazione: “Credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”.

 

Diaconia delle relazioni

 

Dopo aver scavato e raggiunta la pietra viva su cui poggiare le fondazioni, la costruzione dell’edificio comincia dal piano terra. La comunità cristiana si costruisce a partire dalle relazioni basse e umili: sono le più forti e stabili. Gesù per rimettere in ordine i cuori e i ragionamenti degli apostoli ha cercato di usare parole pesanti: “Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande.  Chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (Mc 9,34-35). Diamo respiro a relazioni sincere e autentiche, mature ed equilibrate. Sappiamo custodire i rapporti, evitando sotterfugi e inganni.

Nel Cenacolo compie un  gesto concreto e inequivocabile per farci capire la qualità delle relazioni fraterne. La prima lavanda dei piedi l’ha compiuta la donna peccatrice, la quale si getta ai piedi di Gesù, li lava con le sue lacrime e li asciuga con i suoi capelli per mendicare il suo affetto misericordioso. Gesù davanti agli apostoli, i quali meritavano solo una lavata di testa per il loro orgoglio, lava i piedi alla pari di uno schiavo per dimostrare l’affetto della sua amicizia e mendicare la comprensione del suo grande amore per loro. Spiega poi il gesto con le parole del comandamento nuovo dell’amore quale suprema regola della vita ecclesiale. D’ora in avanti, amare sarà consegnarsi all’altro, piegarsi ai bisogni dell’altro piuttosto che piegare gli altri ai propri egoismi. Si edifica la comunità a partire dal basso della nostra cordialità che non ammette distinzione tra amici e nemici, simpatici e antipatici, favorevoli e contrari, collaboratori e dissidenti.

I primi ai quali dobbiamo imparare a lavare i piedi sono quelli di casa nostra. Scrive don Tonino Bello: “Spendersi per i poveri va bene…Ma prima ancora dei marocchini, degli handicappati, dei barboni, degli oppressi, ci sono coloro che condividono con noi la casa, la mensa, il tempio, la Parola. Solo quando hanno asciugato le caviglie dei fratelli, le nostre mani potranno fare miracoli sui polpacci degli altri senza graffiarli” (19 marzo 1989).

La logica della lavanda dei piedi grida all’ipocrisia quando in una qualsiasi realtà ecclesiale lacerata dai protagonismi e dilaniata dalle rivalità, pretende di organizzare il pediluvio alla gente che è fuori.

Con l’ordinazione diaconale voi per primi Giuseppe e Cristian dovrete esercitare la diaconia delle relazioni. Il rito di ordinazione oggi vi impegna a “esercitare il ministero del diaconato con umiltà e carità”.

            Edificare secondo Dio

Per costruire il Tempio vivo di Dio bisogna edificare secondo Dio, adoperandosi di agire in conformità alla sua volontà, perché  “se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori” (Sal 127,1).

E’ questa la ragione dell’obbedienza nella Chiesa, sull’esempio di Cristo servo obbediente al Padre, il quale non nei momenti di gloria ma nel momento estremo dell’agonia nel Getsemani  chiede: “non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42). Regola tanto semplice quanto eversiva: obbedire è rimettere la mia volontà nella volontà di Dio. E questo non perché la mia volontà non sia valida, o non abbia fondamento, o non sia suffragata da ragioni valide, ma perché non potrà mai essere superiore alla volontà di Dio.

Il significato etimologico del verbo obbedire, ob-audire è  “udire dinanzi a…”, dinanzi a Dio, quindi ascoltare Dio, comprendere le ragioni di Dio. Nell’Antico Testamento l’ascolto obbediente del Signore è un evento di popolo: “Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!». Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo” (Es 19,8).

All’interno del popolo di Dio,  il primo chiamato ad obbedire, sull’esempio di Cristo, è il Vescovo. Se partecipa della pienezza del sacerdozio di Cristo, il Vescovo deve pur vivere la pienezza dell’obbedienza di Cristo al Padre. E’ lui per primo che deve discernere la volontà di Dio per la cura spirituale delle comunità, operando con una coscienza retta e illuminata dalla Parola di Dio, non secondo i propri interessi ma per il bene di ogni comunità. E’ anche l’obbedienza dei presbiteri e dei diaconi che, per esercitare il proprio ministero secondo Dio, legano la propria volontà a quella di Gesù buon Pastore attarverso la persona del Vescovo. E’ l’obbedienza dei fedeli laici che credono e riconoscono nel pastore non un rappresentante eletto dalla base, ma uno scelto dal popolo e costituito da Cristo sacramento della sua presenza di capo e pastore.

Cristian e Giuseppe, tra poco vi chiederò:  “Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza?”.  Il vostro “Sì, lo prometto” non può ridursi alla formula di un rito da espletare, ma interpella la vostra coscienza e la vostra libertà dinanzi a Dio e ai fratelli per sempre.

Edificare nella comunione

 

Tale obbedienza cristiana rende forte la compattezza dell’edificio sacro, cioè la comunione ecclesiale. Nessuno è un “lavoratore autonomo”, non il Vescovo, né i presbiteri; non lo sono i diaconi e nemmeno i fedeli laici. L’obbedienza a Cristo e ai suoi Pastori non è servilismo, ma serve la vita di un copo ben ordinato, alla pari del corpo umano nel quale ogni membro obbedisce alla testa perché si articoli in modo armonico con le altre membra (1Cor 12). La Chiesa non un Parlamento, non é una società democratica o un’organizzazione sindacale. Ciò che non è vissuto nel segno della comunione non edifica, ma al contrario disgrega, offrendo così il fianco all’azione del diavolo che ha tutto l’interesse di dividere, di mettere l’uno contro l’altro, di spargere il veleno del sospetto, dell’invidia, del pregiudizio, della maldicenza, delle rivalità, dell’orgoglio, dei protagonismi e personalismi: “Quando uno dice: “Io sono di Paolo, e un altro: Io sono di Apollo, non vi dimostrate semplicemente uomini?” (1Cor 3,4). Dobbiamo ammettere che spesso la nostra è una comunione ferita dalla divisione: “Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi (Mc 3,24-25).

Affidiamo a Maria, la “serva del Signore”, la diaconia della nostra fede in Gesù Cristo, la diaconia dell’obbedienza a Cristo, la diaconia della comunione con Cristo.

+Gerardo Antonazzo

 

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