Omelia per la Solennità di Tutti i Santi

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La speranza che purifica

Omelia per la Solennità di Tutti i Santi

1 novembre 2015

Nella ricorrenza liturgica di “Tutti i Santi” la Chiesa celebra la bellezza e la potenza della speranza cristiana: “Noi saremo simili a Lui…Chiunque ha questa sepranza in Lui, purifica se stesso” (1Gv 3,2). Oggi, in questo fiorito giardino della risurrezione, celebriamo la gioia della speranza che ci purifica al pensiero di diventare un giorno simili a Dio per il fatto che “lo vedremo così come egli è”. Si impone una domanda: la gestione della nostra vita presente è davvero un invito alla speranza?

            La speranza in Lui ci purifica

La gloria dei Santi fonda la certezza della nostra speranza cristiana. Essa non è “promessa” di una probabilità, ma è certezza di quanto si è già compiuto per la moltitudine di tanti nostra fratelli e sorelle: “Vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua” (Ap 7,9).

Spesso, però, questa speranza è impedita da elementi che la turbano, la gettano nella confusione, la deprimono come non attendibile, relegandola nella sfera delle illusioni e delle proiezioni infondate. Proprio per questo l’apostolo Giovanni ci invita ad un processo di purificazione di se stessi. E’ necessaria innanzitutto la purificazione della mente, della nostra ragione umana. Non è il cielo a illuderci, ma la terra, quando questa è sognata come stabile dimora piuttosto che abitata come una tenda, da pellegrini. In effetti, l’uomo globalizzato, per certi versi rischia di essere un uomo senza cielo. L’aspirazione precaria e illusoria ad una immortalità terrena, la pressione muscolare del benessere, del successo, della salute, dell’eterna giovinezza, del godimento e del piacere immediato, della soddisfazione di ogni genere di istinti, vorrebbe debilitare la fede nell’immortalità dell’ anima e del corpo, e l’anelito alla gioia eterna e definitiva dell’incontro con Dio.

Le molte suggestioni culturali dell’epoca moderna gettano confusione nell’interpretare il vero senso della storia, il destino ultimo di ogni creatura, il valore e la dignità del morire, il senso umano e cristiano della morte, la sacralità del corpo destinato alla trasformazione e non alla distruzione: “Ai tuoi fedeli Signore la vita non è tolta ma trasformata” (Prefazio dei Defunti).

Tutto questo richiede anche la purificazione del cuore, cioè degli affetti che tessono i nostri legami più significativi, con le persone e con gli eventi. Gli affetti non devono né schiavizzarci né schiavizzare, ma dovrebbero tradurre la libertà dell’amore espressa dai primi due comandamenti dell’amore, verso Dio e verso il prossimo: non c’è amore più grande di questo. Solo questo duplice amore rende grande l’uomo, la sua vita, il suo ultimo destino.

La speranza cristiana deve purificare anche la nostra operosità terrena. Dobbiamo sentire sempre urgente il dovere della responsabilità per migliorare il mondo perché diventi primizia del regno di Dio: “Aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13). Le virtù indispensabili per trasformare progressivamente la nostra terra in regno di Dio sono le beatitudini evangeliche. Sembrano parole consolatorie per sostenere la fatica degli insuccessi e dei fallimenti irreparabili. Nel migliore dei casi si riconosce loro la funzione lenitrice di un rifugio e di una protezione psicologica, un aiuto per non soccombere alla disfatta delle proprie impotenze; una sorta di “oppio dei popoli”. La felicità piena e definitiva promessa da Gesù alla fine dei tempi rischia di essere considerata solo una manipolazione religiosa. Porta con sé il sospetto di un espediente che addormenta le coscienze, con il solo risultato di prolungare le sofferenze della vita presente.

Da credenti, invece, riteniamo che le beatitudini siano parole rivoluzionarie, la strada per una felicità paradossale, ma vera, tanto da sperimentarla già ora. Le beatitudini sono la nuova Legge promulgata da Gesù sul monte, alla pari di Mosè con le dieci grande parole di Dio. L’annuncio di Gesù è la vera “carta magna” che inaugura non la rassegnazione passiva per addormentare la coscienza e la responsabilità, ma un programma efficace e forte di azione. Sono parole che obbligano la coscienza cristiana ad impegnarsi a favore della speranza di un modo diverso, trasfigurato, riscattato dalla malvagità del peccato.

            Lassù sarò veramente uomo

Tutto questo non si realizzerà perfettamente su questa terra. La festa di tutti i Santi genera nel nostro cuore una grande riserva escatologica, cioè la bella speranza per il futuro. La gloria dei Santi rivela

Una parte di umanità perfettamente realizzata in Cielo. La speranza cristiana, se da una parte impegna nella costruzione del presente secondo l’anima del vangelo, dall’altra orienta il credente ad un compimento futuro, e perciò escatologico. “Infatti quei valori, quali la dignità dell’uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre « il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace “ (Gaudium et spes, 39).

Il testo di s. Giovanni che abbiamo ascoltato oggi come nella seconda lettura ci ricorda che le buone intenzioni di Dio – Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò” (Gen 1,27)- non hanno raggiunto pienamente il loro obiettivo sulla terra, perché il peccato dell’uomo ha gravemente interferito e ferito il progetto di Dio, danneggiando e compromettendo la sua vocazione originaria. Ma nulla è distrutto: nella redenzione operata da Cristo, l’uomo può corrispondere alla sua chiamata, sapendo però che il pieno compimento di questo progetto avverrà solo alla fine, nell’incontro con Dio: “Quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3, 2).

Davvero bella e luminosa la testimonianza di S. Ignazio di Antiochia, vescovo di Antiochia, capitale della Siria nel secondo secolo dopo Cristo. Durante il regno dell’imperatore Traiano (98117), fu imprigionato e condotto da Antiochia a Roma sotto la scorta di una pattuglia di soldati per essere divorato dalle fiere. Lungo il cammino, scrive così in una lettera destinata ai cristiani che vivevano a Roma: “Non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo… non c’è più in me nessun’aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre” (S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani).

 

Tutto ciò che di buono secondo Dio desideriamo per il bene di ogni uomo avrà il suo inizio sulla terra e il suo compimento nella gloria dei Santi.

 

+ Gerardo Antonazzo

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