Omelia per la Solennità di Maria Madre di Dio

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

Il Cantiere del tempo

Omelia per la Solennità di Maria Madre di Dio

Cassino-Sora, 1 gennaio  2017

 

 

Il vangelo della liturgia odierna ripropone per l’inizio del nuovo anno la scena del Natale. Ne abbiamo davvero bisogno, per la necessità di continuare a conoscere “la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo” (Beato Paolo VI). La ripresentazione del “presepe” oggi parla il linguaggio del tempo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio” (Gal 4,4).  Dio rende “pieno” il tempo, perché lo ricolma della sua presenza. Cosa possono insegnare ancora i personaggi del presepe all’inizio di questo nuovo anno? Come la loro presenza illumina il senso del tempo e della storia che con il nuovo anno il Signore ci riconsegna?

Il Natale della pace

Con il suo Natale, Dio inaugura il tempo della pace. La scena della natività del Signore è un cantiere di pace. Nella grotta di Betlemme la famiglia di Nazareth è artefice di pace. Scrive s. Leone Magno: “Per onorare la presente festa, che cosa possiamo trovare di più confacente, fra tutti i doni di Dio, se non la pace, quella pace che fu annunziata la prima volta dal canto degli angeli alla nascita del Signore? La pace genera i figli di Dio, nutre l’amore, crea l’unione […] Il Natale del Signore è il natale della pace. Lo dice l’Apostolo: ‘Egli è la nostra pace, egli che di due popoli ne ha fatto uno solo’ (Ef 2, 14)(Disc. 6 per il Natale 2-3).

Contemplare il presepe è lasciarsi contagiare dalla nostalgia della pace. La fede nel Dio-Bambino deve rieducare alla pace il cuore, per diventare capaci di legami di vera fraternità e non cadere nel tranello denunciato dal salmista: “Parlano di pace al loro prossimo, ma hanno la malizia nel cuore” (Sal 28,3). Nel presepe contempliamo Maria, Giuseppe e Gesù: sono gli “artigiani” della pace. Maria, Madre di Dio, genera Gesù Cristo, il “principe della pace”. Il suo cuore riconosce negli eventi straordinari l’iniziativa gratuita e sorprendente del Padre. Perciò è nella pace, nella gioia più profonda per aver obbedito a Dio: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Chi vive secondo Dio, vive nella pace della fiducia e dell’abbandono. Maria gioisce del suo Bambino, e sa guardare lontano, intuendo con la sapienza del cuore che la nascita del Signore è ordinata alla redenzione e alla riconciliazione tra Dio e gli uomini e degli uomini tra di loro. Il legno della culla preannuncia il legno della croce, il canto degli angeli nella notte dei pastori prefigura la presenza degli angeli che annunciano alle donne la risurrezione del Signore, le fasce che avvolgono il bambino di Betlemme lasceranno il posto ai teli e al sudario della tomba vuota. L’evento della Pasqua porterà a compimento l’opera dell riconciliazione e della pace.

Infine, Giuseppe: è custode di questa pace soprattutto nel tempo della prova, durante la persecuzione di Erode. Il silenzio di Giuseppe non è mutismo; è piuttosto il bisogno di lasciare spazio alla Parola e alla volontà di Dio, che gli viene rivelata dai ripetuti interventi con l’angelo  guida i suoi passi e le sue decisioni. Si sente afferrato e custodito lui stesso dalle mani di Dio.

Origine “domestica” della pace

Il quadro della Natività caratterizza la pace di una dimensione domestica: “Se l’origine da cui scaturisce la violenza è il cuore degli uomini, allora è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia […] La famiglia è l’indispensabile crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono” (Messaggio per la Giornata della pace 2017). Il benessere della famiglia si costruisce e si custodisce grazie a relazioni di pace, di dialogo, di comunione, di reciproca assistenza morale e spirituale, di fraterna e incondizionata accoglienza.

 

La non-violenza attiva e creativa

“Perciò, chi accoglie la Buona Notizia di Gesù, sa riconoscere la violenza che porta in sé e si lascia guarire dalla misericordia di Dio, diventando così a sua volta strumento di riconciliazione” (Messaggio per la Giornata della pace 2017). I pastori della natività si lasciano guarire dall’incontro con il Mistero, per diventare messaggeri di pace. I pastori, lo sappiamo, erano considerati una categoria di gente lontana da Dio perché viveva in uno stato continuo di impurità, di furti. Erano nella lista degli individui che il messia, alla sua venuta, avrebbe dovuto eliminare in quanto peccatori. Quando Dio si incontra con i peccatori smentisce quello che la religione ha insegnato. Non li rimprovera, non li punisce, non li incenerisce nel fuoco della sua ira, ma li avvolge del suo amore, li converte come angeli, cioè banditori e artefici della pace. I pastori vengono avvolti per primi dalla luce del Signore: per essi è nato un salvatore, colui che viene a donare loro, con la misericordia, anche la gioia della pace. E’ lo scandalo della misericordia, che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca. Gesù con la sua misericordia scandalizzerà tutti quanti, specialmente le persone pie, quelle che pensano che l’amore di Dio vada meritato e non hanno sperimentato come i pastori l’amore come regalo anziché come premio. I pastori da persone violente diventano messaggeri della non-violenza. I pastori diventano testimoni della bellezza della pace che gli angeli avevano loro preannunciato, e che hanno potuto contemplare nel Bambino di Betlemme.

 

Ritornare, glorificare, lodare

Sono i verbi che caratterizzano il movimento dei pastori, stupiti “per tutto quello che avevano visto e udito”. Al termine di un anno, e alle soglie del nuovo anno 2017, tempo di Dio e tempo da vivere per Dio, questi verbi rianimano il significato anche della nostra esistenza, racchiuso nella capacità di “ritornare” a quanto abbiamo “visto e udito” durante l’anno, per lodare e glorificare Dio. Il canto del “Te Deum” ritma la melodia della gratitudine e della riconoscenza. Con l’inizio del nuovo anno ritorneremo come i pastori alle attività di sempre, ma trasformati dal mistero che “abbiamo visto e udito”. Sapremo riconoscere il primato dell’amore di Dio? Non possiamo correre il disastroso rischio di soffermarci su aspetti secondari degli eventi, piuttosto che considerare la grandezza di ciò che Dio compie, per esaltare la sua provvidenza e la sua infinita misericordia. Nel tempo di Dio tutto è grazia! Tutto è dono, impagabile ricchezza di un infinito amore. Come i pastori, disponiamoci a innalzare al Signore la nostra sinfonia di lode. Tutto merita la nostra attenzione nella misura è rivelazione del Signore nella nostra vita. Se così non fosse, l’anno trascorso sarebbe destinato a rimanere tristemente vuoto e insignificante, e il nuovo anno come un calendario senza storia.

 

+ Gerardo Antonazzo

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