Omelia per la Solennità del Natale del Vescovo Gerardo

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IL DIO DELLA MIA CARNE

Omelia per la Solennità del Natale

25 dicembre 2014

 

Il Natale è il “per voi” di Dio”

Nell’annuncio dell’angelo ai pastori “Oggi è nato per voi…” (Lc 2,11) la liturgia celebra con stupore e inaudita gioia la prossimità di Dio agli uomini, il suo essere “per noi”. Nel testo originale per due volte ricorre l’espressione per voi: nelle parole dell’annuncio (“è nato per voi”) e nelle indicazioni del segno (“questo per voi il segno”). In questa vicinanza di Dio sono privilegiate le categorie più fragili: in Palestina, lo sappiamo tutti, i pastori avevano una cattiva reputazione. Denigrati come disonesti e ladri, si trovano nei gradini più bassi della scala sociale. Eppure sono i primi beneficiari del “vangelo”, della notizia bella della nascita di un Salvatore destinata ai peccatori e agli impuri. Il campo dei pastori era un immondezzaio di sterco e sporcizia di ogni genere. Da quel campo di eleva l’inno di lode e di gioia dei pastori: l’evangelista li pone alla pari del coro degli angeli: “I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto” (Lc 2,20).

Il Dio della creazione, il Dio dei patriarchi (Abramo, Isacco e Giacobbe), il Dio della montagna (sacrificio di Isacco), il Dio del roveto ardente, il Dio della nube (Mosè), il Dio del sibilo leggero (Elia), oggi si rivale come il Dio-Uomo, l’Emmanuele: “Questo per voi il segno: troverete un bambino” (Lc 2, 12). Il “per voi” di Dio si concretizza nella carne di una creatura umana.

“Un corpo mi hai preparato”

“Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato” (Eb 10,5).

Nel bambino di Betlemme si rivela la presenza di un Dio che non si impone, non è l’Onnipotente che costringe ad adorarlo, non si mostra ai pastori seduto su un trono circondato da angeli, ma si lascia contemplare con i tratti di un bambino con accanto i genitori. Gesù, Dio che salva, è il Dio nascosto, il Dio vicino che si fa prossimo agli uomini più poveri, più piccoli, a coloro che sono considerati “lo scarto” di una società “civile”: “Et Verbum caro factum est” (Gv 1, 14). La straordinaria verità affermata da s. Giovanni innanzitutto attesta un avvenimento storico: il Verbo, la Parola di Dio, si è fatto uomo. Inoltre il riferimento alla “carne” parla della concreta condizione umana, effimera e mortale, segnata dalla fragilità, nella sua differenza totale rispetto a Dio. Qui è evidente il paradosso del Natale: colui che era presso Dio, e che era Dio, nel mondo ha unicamente il volto di un uomo, ma le sue parole e le sue opere sono divine. Non sarà soltanto il figlio dell’uomo, è Figlio di Dio. Vivrà poveramente, senza rifugiarsi nella sua divinità. Vivrà tutta la storia e la condizione dell’umanità, perfino la morte. Dio lo glorificherà per aver lasciato traccia della sua presenza salvifica nel mondo trasformato radicalmente dalla sua straordinaria “umanità divina”. Dio in un volto di carne, in un volto umano, in un pianto umano, in un corpo appena partorito dal grembo di una donna, riscaldato dal tepore di una stalla, abbracciato dalla tenerezza stupita di Giuseppe e Maria. Parole inaudite quelle che annunciano un Dio che assume su di sé la concretezza, la fragilità e il limite della carne dell’uomo. L’Invisibile si rivela nella dimensione tangibile della carne, l’Eterno nella ristrettezza del tempo, Colui che sostiene il mondo intero giaceva in unamangiatoia: era un bambino ed era il Verbo. Il grembo diuna sola donna portava colui che i cieli non possono contenere: “Maria sorreggeva il nostro re, portava colui nel quale siamo, allattava colui che è il nostro pane…ci faccia diventare figli di Dio colui che per noi volle diventare figlio dell’uomo” (S. Agostino, disc 184).

“O admirabile commercium! . . .”

“Meraviglioso scambio! Il Creatore ha preso un’anima e un corpo, è nato da una vergine; fatto uomo senza opera d’uomo, ci dona la sua divinità” (Solennità Madre di Dio). Il Natale celebra l’umanizzazione di  Dio e la divinizzazione (theosis) dell’uomo. Questo è il grande scambio di doni. Con l’incarnazione si realizza l’unione della creatura con il Creatore increato. Lo scopo dell’Incarnazione è la divinizzazione dell’uomo. “Dio diventa uomo per far diventare dio Adamo” (dagli inni di Natale). “Egli è diventato Dio perché noi potessimo deificarci” (S. Atanasio). “Dio diventa uomo, così l’uomo può diventare dio” (S. Giovanni Crisostomo). Vivere la realtà del Natale è cogliere, accogliere e vivere secondo l’immagine del Verbo incarnato: l’immagine dell’amore folle eloquentemente espresso nella carne di Cristo. L’umanità di Cristo è il sacramento dei sacramenti, il sacramento primordiale (E. Schillebeeckx). Gesù è «il sacramento dell’incontro con Dio», è segno, strumento, presenza reale, manifestazione, compimento e promessa del Regno di Dio. “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo” (Gaudium et spes 22). San Gregorio di Nazianzo: “Ciò che non è stato assunto, non è stato salvato” ((Ep. 101,32). Detto in termini affermativi: Dio salva solo ciò che assume. S. Gregorio ha messo in grande rilievo la piena umanità di Cristo: per redimere l’uomo nella sua totalità di corpo, anima e spirito, Cristo assunse tutte le componenti della natura umana, altrimenti l’uomo non sarebbe stato salvato.

Fa sua la carne di ogni uomo

“Oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di molta gente, perché non cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne e senza impegno con l’altro” (Papa Francesco, Evangelii gaudium 89).

Gesù a Betlemme rivela il Dio della mia carne. Fa sua la carne di ogni uomo.

Scrive s. Bernardo: “Venne Dio nella carne per rivelarsi anche agli uomini che sono di carne…Quale prova migliore della sua bontà poteva dare se non assumendo la mia carne? Proprio la mia, non la carne che Adamo ebbe prima della colpa” (Disc. 1 per l’Epifania). Nel Natale io incontro il Dio della mia carne. E’ il Dio della carne di ogni povero, dei malati piagati, della sofferenza che impreca, dei dolori indicibili. E’ il Dio della carne ferita dalla separazione coniugale, condannata ad una insopportabile solitudine di vita, pur essendo creato da Dio per la comunione e per l’amicizia dell’amore. E’ il Dio della carne sanguinante del tuo divorzio sofferto e subito, dei tuoi figli anche loro separati e divisi tra i ricatti dell’uno e le pretese dell’altro. E’ il Dio della carne delle tue disperazioni, delle tue lacrime, dei lamenti e sospiri che non sembrano trovare ascolto né consolazione. E’ il Dio della carne delle tue sconfitte e dell’interminabile depressione morale e spirituale. E’ il Dio della tua carne rinchiusa nel carcere dei rimorsi e delle colpe, dissanguata dalle interminabili delusioni. E’ questa la carne di ogni uomo che Gesù Salvatore viene a condividere e a salvare, dando luce e  significato anche alle esperienze più assurde intrappolate in tanti vicoli ciechi.

Non si può amare senza farsi carne

“Alcuni vorrebbero un Cristo puramente spirituale, senza carne e senza croce, si pretendono anche relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofisticati, da schermi e sistemi che si possano accendere e spegnere a comando. Nel frattempo, il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza (Papa Francesco, Evangelii gaudium 88).

Amare è fare nostra la carne ferita del nostro prossimo, come nella parabola del Samaritano. Gesù scuote la coscienza falsa e puritana di chi pretende di “fare beneficienza” senza sporcarsi le mani. I nostri fratelli hanno carne, hanno volti, vivo una storia concreta. Amare è testimoniare un cristianesimo di carne, di prossimità ad una umanità concreta, perché visibile e tangibile. Per questo papa Francesco invoca la rivoluzione della tenerezza. E’ la rivoluzione del Natale che continua a farsi strada tra l’egoismo di molti e l’indifferenza di tutti. E’ il mio più vivo e cordiale auspicio e augurio.

+ Gerardo Antonazzo

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