Omelia per la comunità del Seminario Leoniano di Anagni

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

L’amore è la pienezza della legge

 

Pontificio Collegio Leoniano, 22 marzo 2017

La liturgia della Parola esordisce con il richiamo al comandamento decisivo per la vita religiosa ebraica: “Israele, ascolta..”. Prima di ogni legge e norma, ciò che regola l’esperienza religiosa ebraica è il comandamento dell’ascolto obbediente e operoso di Dio. Lo confermerà Gesù quando, interpellato circa la questione del comandamento più importante, risponde: “Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore” (Mc 12,29). La preghiera della Colletta parla dei “fedeli, formati nell’impegno delle buone opere e nell’ascolto della tua parola”. L’ascolto dona il privilegio di avere Dio “vicino” alla propria vita, e rende il popolo “saggio e intelligente” (I lett.). Dunque, la finalità primaria dell’ascolto non è l’applicazione delle regole. L’ascolto di Dio rieduca il cuore alla capacità di amare.

E’ quanto anche nel vangelo odierno emerge con estrema chiarezza: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5,17). Gesù è contestato da coloro che affermano che la conseguenza della sua venuta e della sua predicazione è l’abolizione della Legge e dei Profeti. Gran parte della polemica dei farisei nei suoi confronti era determinata da un certo fraintendimento o dubbio: quest’uomo che viola il sabato, che si dimostra così sovranamente libero, come la mette con la Legge? Quest’uomo che sta con i peccatori e i pubblicani, e non osserva le regole della purità, crede o no alla Legge di Mosè? Visto che l’espressione “la Legge e i Profeti” indica tutta la Scrittura nel suo insieme, qui Gesù afferma esplicitamente che Egli non è venuto ad “abolirla”, cioè ad abrogarla, vanificarla, dichiararla scaduta (si vedano a questo proposito i vv.18-19), ma appunto ad adempierla, ad “accrescerla” e quindi renderla sempre più piena, a valorizzarla mediante il suo esempio di vita e il suo insegnamento, a mantenerla in vita portandola però alla sua pienezza, a interpretarla in modo nuovo cercando soprattutto di intercettare le esigenze più intrinseche e più autentiche della Legge.

Gesù contesta l’applicazione formale, farisaica appunto, delle norme contenute nella Legge di Mosè. Mettere in pratica non doveva significa l’osservanza pedissequa di una norma, l’applicazione precisa ed esteriore di ogni norma, per sentire di aver soddisfatto il proprio dovere religioso. Mettere in pratica doveva significare piuttosto un vero e proprio processo di cambiamento della propria vita. Perciò, la fedeltà assoluta alla Legge non è più il criterio dell’accesso al Regno. L’obbedienza alla lettera del comandamento cede il passo al compimento di una giustizia che Matteo qualifica come superiore a quella degli scribi e dei farisei.

Molta della religiosità diffusa conserva ancora la logica delle “pratiche di pietà” per assicurare una buona vita cristiana. E anche la frequenza della Messa domenicale non può obbedire soltanto al dovere di un “precetto”, indipendente dalla qualità evangelica della mia vita morale, familiare, sociale. Anche nel tempo della nostra formazione seminaristica possiamo restare intrappolati in questa logica perversa. Non possiamo immaginare che la rettitudine della mia vita orientata al sacerdozio consista nell’osservanza precisa di un regolamento formale. Non mi posso dichiarare “irreprensibile” per il fatto di riuscire a non trasgredire nessuna legge. Così si esprime la nuova Ratio fundamentalis: “La cura pastorale dei fedeli richiede che il presbitero abbia una solida formazione e una maturità interiore, in quanto egli non può limitarsi a mostrare un “semplice rivestimento di abiti virtuosi”, una mera obbedienza esteriore e formalistica a principi astratti, ma è chiamato ad agire con una grande libertà interiore. Infatti, da lui si esige che interiorizzi, giorno dopo giorno, lo spirito evangelico” (n. 41).

La risposta che Matteo mette sulla bocca di Gesù dichiara che Lui non viene per abolire la Legge. In Mt 5,17  troviamo l’espressione οὐκ ἦλθον καταλῦσαι ἀλλὰ πληρῶσαι (non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento). Il termine usato per la traduzione potrebbe essere fuorviante: il “compimento” fa pensare a qualcosa di incompiuto. Invece il verbo greco pleròo corrisponde anche a valorizzare, realizzare, adempiere. Umberto Neri, nel testo Il Discorso della montagna (Ancora 1998) sceglie “adempiere”, perché  “l’adempimento dice la realizzazione delle Scritture nell’evento riguardante in particolare il Cristo” (pp. 40-41). Il verbo “compiere” dichiara la convinzione che egli è colui nel quale trovano il loro compimento tutte le Scritture. Ci chiediamo: perché Gesù parla di “compimento”? Dobbiamo necessariamente ripartire da due brani profetici di riferimento: Geremia 31, 33 (“Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”), ed Ezechiele 36, 26-27 (“Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme”). I due testi sono interessanti perché chiamano in causa il cuore e la capacità di amare Dio e il prossimo. Dio nel futuro interverrà con  queste due operazioni: trasformare il cuore dell’uomo (da cuore di pietra a cuore di carne), e scrivere la sua volontà non più su tavole di pietra ma nel cuore di carne.

In Gesù si realizzano queste due profezie. Come risulta anche da altri passi del NT, Gesù è venuto perché il popolo, frastornato dal numero spropositato di precetti che i rabbini avevano estratto dalla Torah (circa 613!), fosse ricondotto al cuore, all’essenziale della Legge stessa, che è la rivelazione dell’amore di Dio e del prossimo.  In cosa consiste, in definitiva,  questo compimento della Legge e dei Profeti? Matteo 22,37-40: “Dall’amore di Dio e dall’amore del prossimo dipendono tutta la Legge e i Profeti”. E in Rm 13,8-10: “Pieno compimento della Legge è l’amore”. Non possiamo non pensare all’inno di 1Cor 13, dove l’apostolo assolutizza l’amore quale regola suprema di vita cristiana ordinaria, al di sopra tutto, con tutte le sue caratteristiche, connotazioni ed esigenze.

 

 

+ Gerardo Antonazzo

 

 

 

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