Omelia per la benedizione delle monache benedettine in Cattedrale di Sora

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IL PASTORE CHE SEDUCE

Omelia per la benedizione delle monache benedettine
Cattedrale di Sora, 11 maggio 2014

Carissimi fratelli e sorelle,

in questa chiesa cattedrale, nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, accogliamo con speciale affetto spirituale la comunità religiosa delle Monache benedettine di Arpino, per la celebrazione eucaristica durante la quale invocheremo dal Signore Risorto la benedizione di suor Cristiana e di suor Miriam in preparazione alla professione solenne che emetteranno il 15 giugno nella chiesa del monastero “Mater Unitatis”, nella diocesi di Iasi, in Romania.

Il pastore entra dalla porta
“Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla”.
Il Signore risorto, si rivela a noi come il pastore buono dell’umile gregge. Egli guida con la sua voce, conduce al pascolo della sua amicizia, cammina davanti alle sue pecore, le chiama ciascuna per nome; esse lo seguono, perché conoscono la sua voce.
Non si tratta di una seducente descrizione bucolica di un cristianesimo sdolcinato, ma la rivelazione di un’esigente rapporto che ogni discepolo è chiamato a vivere con il Maestro.
Seguire Cristo non è scegliere un leader convincente, un capo politico, un raffinato diplomatico; non è convertirsi ad un’ideologia forte, non è abbracciare una filosofia di vita, ma sapere di essere scelti e amati, e da Lui aggregati ad una comunità, suo gregge, che si chiama Chiesa.
Egli entra nella nostra vita attraverso la porta. Non sale nel recinto delle nostre situazioni di vita da un’altra parte, furtivo e insidioso come un ladro o un brigante. Dio sa bussare, chiede permesso, e aspetta di essere ammesso nella rete degli affetti più intimi, nei cunicoli delle nostre domande di senso, nella confusione delle nostre scelte di vita, per rivelarsi come il pastore buono che rende bella la nostra vita.
“Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Lui bussa, ma solo tu puoi aprire la porta! La maniglia della libertà con cui aprirgli, è posizionata solo dalla tua parte. Dio ama la tua vita più di te stesso: nutre rispetto e delicatezza, e non obbliga nessuno, né costringe, né rimprovera, né ricatta, né minaccia, né punisce. Dio non ci piega con la paura a nessuno, ma ci attrae con la sua bellezza.

Lo «stare alla porta» afferma il primato della sorprendente iniziativa divina. Il Signore interpella la nostra intelligenza, la nostra volontà, la nostra risposta libera. Eppure non cessa di metterci in guardia dal pericolo imminente: “Il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai” (Gen 4,7). Il peccato è accovacciato, sempre pronto all’assalto della tua libertà, per turbarla con il dubbio, con il sospetto, con lo scoraggiamento, fino al rifiuto della voce del Signore.
Gesù bussa, perché sa che abbiamo bisogno di lui; ci vede stanchi, avvolti in un ingranaggio fatto di abitudini. Ci vede tristi, angosciati, dilaniati dentro, carichi di problemi ed incertezze; e lui bussa perché abbiamo bisogno di sollievo, di pace interiore ed esteriore, di speranza, cose che solo lui può dare e non altri, né santoni, né maghi, né cartomanti, né chiromanti, né veggenti turbati da malate fantasie religiose.
“Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce” (Gv 10,3). Tu solo puoi aprire al Signore che attende la tua risposta. Tu sei il guardiano della tua vita e delle tue decisioni: sei chiamato a custodire e a sorvegliare, perché nulla e nessuno metta in pericolo la riuscita della tua esistenza. Se tu apri al Pastore che ti cerca, dai alla tua vita un salto di qualità, perché la tiri fuori dal pantano della mediocrità, delle opinioni che massificano, del conformismo che schiavizza.
Senti Gesù bussare alla porta interiore del tuo cuore? Sei disponibile ad aprirgli la porta?

Egli chiama le sue pecore
“Egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse” (Gv 10,3-4).
Il Pastore chiama, conduce, spinge: tre fantastici verbi che racchiudono la poderosa iniziativa di Gesù.
“Rifletta ognuno che ha la grazia, la somma fortuna, d’appartenere alla Chiesa, d’essere un chiamato, d’avere una sua «vocazione» cristiana; e rifletta… se il Signore non voglia qualche cosa di più della comune fedeltà, non voglia tutto, non voglia quel sacrificio che sembra annientare chi lo accetta e che dà invece a lui la nuova pienezza promessa ai generosi; quel centuplo, che già fin da questa vita terrena conferisce un’intima felicità incomparabile. La vocazione è una grazia che non è di tutti; ma può essere ancor oggi di molti. Di molti giovani, forti e puri; di molte anime che hanno l’ansia della bellezza superiore della vita, l’ansia della perfezione, la passione della salvezza dei fratelli” (Paolo VI, Udienza generale, Mercoledì, 5 maggio 1965).

Il Signore ci conduce, camminando avanti al gregge. Il Pastore ci conduce perché ci seduce! E’ il pastore “bello”: lo contempliamo nella bellezza delle sue parole, nella bellezza dei suoi sguardi penetranti, nella bellezza dei suoi silenzi, nella bellezza della sua intimità con il Padre, nella bellezza della sua purezza e umiltà, nella bellezza regale della sua Croce, attrazione del suo Amore totale.

Il Pastore, infine, ci “spinge fuori”, perché ci stana dalle nostre paure. Ci chiede di uscire fuori del recinto delle nostre protezioni e sistemi difensivi. Ci incoraggia, rendendoci capaci di compiere grandi scelte nella nostra vita. Lui desidera sciogliere ogni freno, ogni resistenza, ogni indecisione, per rendere possibile e far risuonare il tuo Sì.

Conoscono la sua voce

“Le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce” (Gv 10,4). La conoscenza della voce si riferisce all’intima e reciproca amicizia che si sviluppa tra il chiamato e l’affetto di Cristo.

Una voce! Il mio diletto! (Ctc2,8). L’amata del Cantico dei Cantici dice all’amato: “Mettimi come sigillo sul tuo cuore”. L’iniziativa di questo rapporto d’amore parte dallo sposo. E’ lui che sceglie la sposa e si impegna con lei per sempre. Per sempre ella sarà nel suo cuore come un sigillo incancellabile: “Mettimi come sigillo sul tuo cuore .. perché forte come la morte è l’amore .. le grandi acque non lo potranno spegnere, né i fiumi travolgerlo”.
La sposa, senza meriti, si trova ad essere nel cuore dell’amato che l’ha voluta e mai la dimenticherà, mai la tradirà: perché l’amore dello sposo “è forte come la morte” e niente può spegnerlo, nemmeno le grandi acque.

La sposa risponde con la fedeltà; fidandosi, cioè, dello sposo che l’ha scelta con amore eterno. Rispondere a questo amore resterà per sempre lo scopo unico della vita di suor Cristiana e suor Miriam. Certo, l’esistenza di una giovane, consacrata al Signore nella scelta della vita monastica, può anche sembrare una vita sprecata rispetto a tante necessità più urgenti della Chiesa e dell’umanità. Sprecata non è, ma può diventare una vita spericolata, perché inebriata e stordita dall’intenso profumo dell’amore di Cristo, viene attirata verso le alte vette dell’unione mistica delle nozze spirituali, e rischiare le vertigini del totale abbandono nell’abisso del Mistero.
Scrive s. Caterina: “Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti…O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo! E che più potevi dare a me che te medesimo? Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell’anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità” (Dal «Dialogo della Divina Provvidenza»).

La Chiesa ha bisogno di respirare questo profumo puro; profumo di un amore sponsale che sgorga da un cuore vergine che batte per il suo Sposo. Abbiamo bisogno che questo profumo si diffonda in tutta la casa di Dio, nella Chiesa, nella nostra Chiesa di Sora-Aquino-Pontecorvo.

+ Gerardo Antonazzo

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