Omelia per Inizio ministero di d. J. Granados

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

Il mio servo che io sostengo

 

Inizio ministero di d. J. Granados

Colfelice, 8 gennaio 2017

Nel libro del porfeta Isaia ritroviamo quattro testi indicati come i “canti del servo di Jahweh”, dei quali il primo è stato proclamato quasi per intero nella liturgia odierna della Festa del Battesimo del Signore (Is 42). E’ un oracolo di investitura del servo: Dio stesso lo presenta davanti a un’assemblea, all’assemblea del popolo, delle nazioni, dei grandi della terra: “Ecco il mio servo che io sostengo”. Mio servo intendetelo come una dignità conferita a quest’uomo. “Mio eletto” vuole dire che Dio lo ha scelto in mezzo agli altri come unico, Dio dice a questo servo «tu sei per me unico» e non solo ma aggiunge «di te mi compiaccio» e vuole dire che Dio è contento della persona di questo servo, del compito che gli affida. Come può fare tutto questo? “Su di lui si poserà lo spirito del Signore”. Non solo è sceso lo Spirito, ma si è fermato, si è inserito nell’esistenza di questo servo tanto da riposarsi dentro di lui.

Nel momento in cui Gesù è venuto per compiere la volontà del Padre, ha reso vere tutte le profezie, tutte le parole dell’Antico Testamento e le attese dei profeti. La festa del Battesimo del Signore ci guida nella giusta interpretazione del brano di Isaia. Infatti, quando rileggiamo queste parole, le rivediamo in riferimento al Nuovo Testamento: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio”, questo è il Battesimo di Gesù. “Ho posto il mio spirito su di lui”, è successo questo all’inizio del ministero di Gesù. “Egli porterà il diritto alle nazioni”, questo è il compito che Gesù ha realizzato in tutta la sua vita. Come lo ha realizzato? Con mitezza: “Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta”. Che Gesù sia luce delle nazioni questo era stato già detto da Simeone al momento della presentazione del Signore al tempio, ma lo si rivede in tutta la predicazione del Signore, in tutto quello che Gesù ha detto. Che Gesù abbia riaperto gli occhi ai ciechi tutto il Nuovo Testamento lo dice. Che “faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre” questo è tutto il significato della redenzione.

Anche il brano degli Atti degli apostoli proclamato oggi ci guida nella interpretazione del Battesimo del Signore come “consacrazione” e come “missione”: “Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (Atti 10,38). Il testo di Atti attribuisce un’azione al Padre, e tre azioni a Gesù: abbiamo così da una parte un atto di consacrazione che Dio compie sul Figlio per mezzo dello Spirito, segno di potenza della quale viene investito Gesù, dall’altra l’inizio del ministero pubblico del Signore, cioè il suo agire nel cuore dell’umanità, a favore della quale “passò beneficando e risanando”. La consacrazione di Gesù e la sua missione sono poi confermate dalla conclusione del brano: “…Dio era con lui”.

Carissimo don Juan,

con il battesimo sei stato reso partecipe della consacrazione di Cristo, come ogni credente. Con l’ordine sacro sei stato conformato a Lui, nella potenza dello stesso Spirito Santo, per il prolungamento della sua missione nel mondo. Oggi la Chiesa, tramite il mandato del tuo Vescovo, ti chiede di servire questa Comunità, profondendo le tue migliori energie spirituali, morali, e anche fisiche, per compiere le stesse azioni del ministero di Cristo: passare, beneficare, risanare.

Innanzitutto “passare”. Significa attraversare e condividere la vita della gente, comprendere, fiutare le attese, cogliere la sana sensibilità che può ispirare anche le tue scelte, ascoltare con pazienza e amorevolezza. Passare significa “passare in rassegna” le pecore: “Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse” (Ez 34). Passare in rassegna le proprie pecore significa esercitare la scienza della carezza, nel segno della vicinanza e della tenerezza: “Dio si fa vicino per amore e cammina con il suo popolo. E questo camminare arriva a un punto inimmaginabile: mai si potrebbe pensare che lo stesso Signore si fa uno di noi e cammina con noi, e rimane con noi…Questa è la vicinanza. Il pastore vicino al suo gregge, alle sue pecorelle che conosce una per una” (Papa Francesco, Omelia 7 giugno 2013).

Poi il verbo “beneficare”. Cioè compiere il bene, fare del bene, favorire il bene nella vita degli altri. E’ il compito dell’amore: non ama chi vuole bene, ma ama davvero chi vuole il bene dell’altro. Da chi è regolata la verità del bene? Per il pastore la guida sicura del bene è la verità della Parola di Dio: allora si impara ad amare secondo Dio, con la serena certezza che nella sua volontà si compie il vero bene delle persone. Il pastore è per vocazione un “benefattore” del popolo di Dio. Caro don Juan, le parole della nostra predicazione e dei nostri insegnamenti devono “obbedire” alla Parola al fine di indicare il vero bene. Noi per primi siamo sottomessi alla verità del Vangelo, in obbedienza esemplare per il popolo di Dio, incarnata in uno stile di vita sobrio, distaccato e caritatevole.

Infine il verbo “risanare”. Significa molto, ma soprattutto ridare pace e grazia ai cuori feriti, desolati, rattristati dalle molte esperienze di fragilità, conflitti e solitudini. Risanare significa “fasciare le piaghe dei cuori spezzati” (Is 61,1). Potrai ridare pace a molte persone donando la grazia del perdono, accogliendo con compassione il pianto del pentimento, e assicurando l’abbraccio con il cuore del Padre. Dovrai risanare liti e divisioni, educando le relazioni al perdono e alla riconciliazione. Aiuterai chiunque al rialzarsi, con la fiducia di ricominciare. Farai in modo che nessuno possa sentirsi, per qualunque ragione, sconfitto per sempre.

La potenza del tuo ministero non è umana, ma viene solo da Dio: vincerai ogni presunzione che espone alla tentazione del prestigio e del protagonismo. Gesù opera “perché Dio era con lui”. Così anche tu potrai riconoscere, con le parole dell’apostolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13). Come la Vergine di Nazareth, disponi tutta la tua esistenza davanti a Dio così: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

 

+ Gerardo Antonazzo

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