Omelia Messa “In Coena Domini”

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

Sporcarsi le mani con la lavanda dei piedi

Messa “In Coena Domini”

Pontecorvo-Concattedrale, 13 aprile 2017

La celebrazione liturgica e la tradizione spirituale della Messa “In Coena Domini” esaltano l’evento intimo e familiare nel quale Gesù, radunati intorno a sé i Dodici, compie in modo sorprendente e inaspettato il gesto della frazione del pane, recitando parole nuove e incredibili. Così la tradizione più antica: “Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò…” (1Cor 11,23-24). La frazione del pane compiuta nel cenacolo è stata affidata da Gesù alla Chiesa: “Fate questo…”. Lo stesso verbo “fare” Gesù lo raccomanderà ai Dodici quando spiegherà il significato della lavanda dei piedi: “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15).

Fractio panis

 

 “Frazione del pane” è la designazione antica dell’Eucarestia. “Fractio panis” metteva in evidenza la singolarità del rito, conservata gelosamente e materialmente nella prima ristretta comunità. Nel vangelo di Matteo si narra che Gesù prese il pane “benedixit ac fregit” (Mt 26, 26), lo benedisse e lo spezzò. Anche nel vangelo di Luca e di Marco è riportato il verbo fregit, spezzare. In tutti i racconti dell’istituzione eucaristica si rileva che viene “spezzato” l’unico pane, perché tutti ad esso partecipano, come tutti bevono anche dell’unico calice passato da commensale a commensale. L’atto dà rilievo al carattere familiare del banchetto. Lo spezzare il pane è infatti il gesto del padre di famiglia: “I piccoli domandavano del pane e non c’era chi loro lo spezzasse” (Lamentazioni 4, 4). Nelle comunità primitive il rito si mantenne rigorosamente, fin quando il numero dei fedeli lo permise. La notizia di Atti 2, 46 (“spezzando il pane nelle case”) si spiega con l’intenzione di una riproduzione rigorosa del rito, secondo cui a Gerusalemme presso i cristiani si spezzava il pane di casa in casa (κατ’οἶκον). E’ in casa dei due discepoli di Emmaus che entra il Risorto, per farsi riconoscere  esattamente nel gesto dello spezzare il pane: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24, 30). Il racconto risente senza dubbio di una tradizione ormai ben consolidata. Non manca in queste tradizioni il verbo fregit, spezzare. Resterà come segno caratteristico della cena eucaristica, che rimanda al gesto di Gesù nel Cenacolo e che i cristiani continuarono da subito a ripetere, per fare memoria del Signore risorto.

Fractio è “farsi in quattro”

Nella Bibbia la pienezza della vita viene espressa con l’immagine di un banchetto, ricco o povero, comunque sempre condiviso. Gesù amava la tavola come luogo di incontro con gli uomini e con le donne, amava la tavola come occasione di lode, benedizione e ringraziamento a Dio. Ma Gesù compie qualcosa di più importante di un semplice banchetto familiare: distribuendo il pane spezzato, dona se stesso, mette a disposizione la sua vita a favore degli altri. In quel pane spezzato non si consegna qualcosa, ma si dona Qualcuno. Le parole “Questo è il mio corpo” annunciano la novità del pane spezzato e donato, segno supremo della vita “spezzata”, donata nel sacrificio della Croce. Nel gesto di spezzare il pane anche la nostra vita, come la Sua, deve (“Fate questo…”) diventare pane donato che si lascia “spezzare”. Gesù compie il segno supremo con il quale annuncia e realizza il dono più grande, il dono di Sé. Spezzare il pane è davvero “farsi in quattro”, è “spezzare” la propria vita per gli altri, donarla in cibo moltiplicando l’amore, per nutrire la fame e la sete dell’anima. La “fractio panis” del Cenacolo è “fractio amoris”. In quel fregit del pane, è Gesù stesso che si spezza per consegnare se stesso all’umanità. Ad ogni discepolo Gesù chiede di darsi, di spezzare la propria vita per lasciarsi mangiare dagli altri. Ci illuminano le parole di Papa Francesco: “Pensiamo anche a tutti i santi e le sante – famosi o anonimi – che hanno “spezzato” sé stessi, la propria vita, per “dare da mangiare” ai fratelli. Quante mamme, quanti papà, insieme con il pane quotidiano, tagliato sulla mensa di casa, hanno spezzato il loro cuore per far crescere i figli, e farli crescere bene! Quanti cristiani, come cittadini responsabili, hanno spezzato la propria vita per difendere la dignità di tutti, specialmente dei più poveri, emarginati e discriminati!” (Omelia 26 maggio 2016).

 

Caduto in basso!

 

Compiuto l’atto di spezzare il pane, nel gesto della lavanda dei piedi Gesù compie l’atto di piegarsi. La storia dell’umanità è cambiata dal giorno in cui Dio ha piegato la schiena e si è messo in ginocchio davanti agli uomini: “Gesù sa che morirà il giorno dopo. Vuole un momento di incontro personale con ciascuno dei Dodici, compreso Giuda. Vuole toccare i loro corpi e i loro cuori, chiamarli per nome e dire a ciascuno: Addio, ti amo!”. Quella lavanda dei piedi dovette compierla con estrema tenerezza” (J. Vanier, La paura di amare). Come aveva spiazzato i discepoli con parole nuove sul pane e il gesto della frazione, così nel quarto vangelo sorprende ancora una volta  e provoca la vita dei Dodici “…perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15).

Di solito ben volentieri usiamo dire: “Mi spezzo, ma non mi piego” per affermare la rigidità del nostro orgoglio, dell’io irriducibile alla volontà di chiunque altro, del ribrezzo per ogni forma di sottomissione. Perché, a nostro dire, piegarsi è lasciarsi calpestare, cedere è segno di debolezza. Piegato davanti ai loro piedi, Gesù sembra cadere veramente in basso! Abbassarsi è perdersi! Gesù nel Cenacolo inaugura una nuova logica: “Mi spezzo, e mi piego”. Lui che “si è spezzato” per i suoi amici nel pane distribuito, ora si piega ai loro piedi per consegnarsi nella più vera carità. E’ il comandamento nuovo dell’amore che arriva a tanto e a tutti. Gesù non si lascia né ingannare né illudere: sa bene quello che sta facendo, e con chi aveva a che fare, conosce bene i pensieri di ciascuno: “Gesù conosceva tutti [ ]. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo (cfr. Gv 2,24-25). Gesù si lascia piegare,  pur di abbracciare i piedi di coloro che da lì a poco con gli stessi piedi fuggiranno dal Calvario, per abbandonarlo con vile paura e inaudita vigliaccheria.

            Lavare i piedi per sporcarsi le mani

Se nel Cenacolo l’amore vero si lascia piegare, sulla Croce il medesimo amore si lascia piagare. Amare è lasciarsi piagare dal rifiuto, dagli insulti, dalle incomprensioni, dall’arroganza del potere forte con chi è debole e innocente. Amare è sentire sete d’amore! La carità dei benpensanti, molto borghese e poco concreta, preferisce evitare i problemi. Se anche osserviamo il rito della lavanda dei piedi, subito dopo ci laviamo le mani…come Pilato. Quando riconosciamo i problemi degli altri, preferiamo adottarli a distanza! Sicuri che le “adozioni a distanza”  non possono sporcarci le mani perché  non comportano  “rischi”, non compromettono la nostra buona reputazione. La lavanda dei piedi ci sporca le mani e ci fa rimettere la faccia, esponendoci in prima persona nel curare e fasciare le piaghe degli altri, facendo nostro il loro dolore. Lavare i piedi è lasciarsi coinvolgere e contaminare dalla sofferenza dei più deboli, è lasciarsi piagare e contagiare dal dolore dei più miserabili, in ragione dell’amore di Cristo.

 

+ Gerardo Antonazzo

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