Omelia Mercoledì delle Ceneri

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LA PAROLA CHE NON T’ASPETTI

 

Cassino-Chiesa Madre, 10 febbraio 2016
Mercoledì delle Ceneri

Mandato ai Missionari laici della misericordia

 

Il testo della prima lettura ci offre un immediato aggancio con l’icona biblica di Giona la cui storia spirituale abbiamo scelto come parola-guida nel tempo speciale della quaresima-pasqua. Il profeta Gioele in 2,14.18 così si esprime verso gli abitanti di Giuda: “Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione?… Il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo”.

Anche la reazione dei Niniviti è incoraggiata dalla medesima speranza: “I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. …Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!” (cfr. Giona 3, 3-9).

            La sofferenza di Giona

 

Giona vive uno stato di depressione spirituale che lo porta ad una forma di scisma dalla volontà di Dio. Il motivo sostanziale del suo malumore è non accettare una misericordia universale del Dio di Israele. Il profeta è l’emblema di una visione riduttiva e settaria della salvezza, riservata esclusivamente a Israele. Il turbamento interiore di Giona è davvero drammatico: lo destabilizza alla radice delle sue distorte convinzioni religiose. E’ la stessa difficoltà con cui dovrà misurarsi il figlio maggiore della parabola del padre misericordioso nei confronti del padre e del fratello minore (Lc 15).

Alla radice del malessere del profeta Giona coesistono almeno tre ragioni.

La prima ragione della sofferenza di Giona è la sua gelosia. Il suo respiro spirituale è affannoso e corto, è strozzato dall’idea che gli abitanti di Ninive possano ravvedersi e salvarsi; è impensabile che la compassione divina del Dio di Israele si rivolga verso coloro che da sempre costituivano l’emblema dell’inimicizia contro il popolo eletto, espressione violenta del pericolo e dell’aggressione contro Israele.

L’ossessione della gelosia può riguardare anche lo stile e le scelte delle nostre comunità cristiane quando pensano di detenere per sé la grazia della fede, piuttosto che facilitarla per tutti, rischiando la deriva del settarismo con l’inevitabile risultato della chiusura e dell’esclusione di quanti sono condannati a restare ai margini o al di fuori della compassione di Dio.

La seconda ragione della confusione spirituale di Giona la trovo nell’idea troppo umana della giustizia divina. Dio, secondo Giona e non solo, è Colui che deve amministrare la giustizia retributiva, assegnando la condanna o la salvezza a seconda delle opere compiute dall’uomo. Dio dovrebbe esercitare la sua giustizia limitandosi a riconoscere il premio o il castigo per le opere umane. Nel testo del profeta scopriamo invece che il fine ultimo della giustizia divina non è condannare o salvare, ma esercitare la sua infinita misericordia. Nella logica di Dio fare giustizia è usare misericordia, cioè perdonare ogni colpa e condurre a salvezza il peccatore pentito. Giona si rifiuta di essere ministro della compassione di Dio ritenendo i Niniviti non meritevoli e definitivamente lontani, e perciò esclusi, dalla benevolenza divina. Per Giona era impensabile e impossibile che si convertissero; e non è minimamente disposto a ripensare i rigidi schemi della sua idea di Dio.

La terza ragione della contestazione da parte di Giona è la mancanza di fede nell’efficacia della Parola del Signore. Di conseguenza capiamo pure le paure del profeta. Pensa: non vale la pena predicare a chi certamente non mi ascolterà. Giona ha paura di esporsi alla vergogna del fallimento e alla delusione dell’insuccesso. Vuole evitare di fare pessima figura davanti al nemico.

Pensiamo anche alle nostre paure: paura di essere messi in difficoltà dai dubbi o dalle resistenze da parte di chi incontriamo; paura di fare brutta figura esponendoci in prima persona e dovendo riconoscere anche i nostri limiti; paura di lasciarci coinvolgere troppo.

La Parola che non t’aspetti

 

Giona, suo malgrado, dovrà riconoscere e ammettere che la Parola di Dio ha una grande forza. Niente la può trattenere, né imprigionare! Il termine ebraico dbr (parola) nella Bibbia significa immediatamente la realtà che significa. Ciò che la parola annuncia è già in atto, si sta già compiendo.

Da qui l’urgenza per noi di rapportarci con la Parola di Dio con un adeguato atteggiamento di fede, per credere di più alla sua intrinseca potenza, per leggerla di più, per farla conoscere e amarla. Ricordiamo il passo di Isaia al capitolo 55 sulla Parola di Dio che non torna a Lui senza aver prodotto ciò per cui Dio l’ha inviata, come avviene per la pioggia e la neve che fecondano la terra. E’ essa infatti che rimette in movimento il cuore degli abitanti di Ninive, inducendoli al pentimento, alla conversione e all’invocazione della misericordia divina per non perire. Con la sua parola profetica, impregnata dello Spirito di Dio, Ezechiele restituisce la vita alle ossa aride: “Profetizza su queste ossa e annuncia loro: «Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete” (Ez 37, 4-5). La Parola di Dio annunciata dal profeta realizza ciò che proclama per la potenza creatrice dello Spirito Santo che la ispira.

Questa Parola darà vita anche a queste nostre Ceneri. La teologia biblica rivela un duplice significato nell’uso delle ceneri. Anzitutto sono segno della debole e fragile condizione dell’uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere…” (Gn 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di estrema prostrazione, afferma: “Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere”(Gb 30,19).

In secondo luogo le ceneri sono anche segno di speranza. Giuditta invita tutto il popolo a fare penitenza affinché Dio intervenga a liberarlo: “Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore” (Gdt 4,11).

Adrien Nocent sottolinea che l’antica formula (Ricordati che sei polvere…) è strettamente legata al gesto di versare le ceneri, mentre la nuova formula (Convertitevi...) esprime meglio l’aspetto positivo della quaresima che con questa celebrazione ha il suo inizio. E spiega: “Se la cosa non risultasse troppo lunga, si potrebbe unire insieme l’antica e la nuova formula che, congiuntamente, esprimerebbero certo al meglio il significato della celebrazione: Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai; dunque convertiti e credi al Vangelo”. La benedizione che invocheremo sulle ceneri celebra la nostra fiducia nella possibilità che la Parola crei in noi una vita nuova, rigenerata dalla Parola di salvezza che dà vita alle nostre peggiori morti interiori.

Questa Parola di Dio è consegnata particolarmente a voi, cari Missionari Laici della Misericordia, perché la possiate annunciare con la massima franchezza e fiducia. Lo svolgimento delle Missioni al popolo che ci accingiamo a svolgere in tutte le Zone pastorali, ha il suo punto nevralgico nella bellezza della Parola di Dio. Evangelizzate con la Parola accolta nel cuore, deposta sulle vostre labbra, annunciata con la gioia contagiosa della vostra fede.

La sorpresa del cambiamento

Nello svolgimento della vostra missione lasciatevi stupire dalle sorprese di Dio che è già presente nelle persone che incontrerete. La sua iniziativa ci precede sempre. E’ lui che predispone al desiderio del perdono la coscienza di molti peccatori pentiti. Non dimenticate mai che ogni persona si porta dentro la nostalgia di Dio. Sappiate accostare la coscienza provata dalla vergogna del peccato commesso, perché ciò non sia motivo di impedimento a sperare nella grazia di Dio. La vita dell’uomo, la vita di chiunque, può cambiare in qualsiasi momento, fosse anche quello estremo della morte.

Grazie all’incontro con la Parola, l’uomo decide di cambiare vita (“credettero a Dio e bandirono un digiuno”) A quel punto anche Dio decide di cambiare (“Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece”). Il cambiamento in Dio è speculare alla conversione dell’uomo e viceversa. Il collegamento tra il mutamento degli uomini e quello di Dio è esplicito nell’uso dello stesso verbo ebraico swb (tornare – cambiare – convertirsi) usato sia per i Niniviti sia per Dio. Emerge la convinzione che Dio possa cambiare la sua decisione e passare dal giudizio al perdono. Si deve riconoscere che il cambiamento dei Niniviti e la loro preghiera non lasciano Dio indifferente, tanto da provocare in lui una diversa decisione. Il deporre lo sdegno da parte di Dio manifesta la decisione definitiva di perdonare. L’abbandono dell’ira implica da parte di Dio la scelta di riprendere la relazione con gli uomini. In Es 32,12 leggiamo: “Ritorna dal furore della tua ira e pentiti del male verso il tuo popolo” (cf. Is 5,25; Ger 2,35). Dio cambia atteggiamento, si pente passando dall’ira alla misericordia e al perdono, sospende il giudizio minacciato. La conseguenza di questo cambiamento divino è la vita: “Così non periamo”.

 

Il Signore ci conceda un tempo speciale di grazia nell’Anno santo straordinario, compia i suoi desideri su di noi, e faccia giungere a tutti la novità e la gratuità della sua tenerezza paterna e materna.

 

+ Gerardo Antonazzo

 

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