Omelia del Vescovo Gerardo per la solennità di S. Restituta

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IL CASO SERIO DELLA FEDE

Omelia per la solennità di s. Restituta

Chiesa di s. Restituta, 27 maggio 2014

 

Amati Presbiteri, Diaconi, Consacrati,

stimate Autorità Civili e Militari,

fratelli e sorelle carissimi,

diletta Città di Sora,

con la solennità liturgica di oggi celebriamo la memoria del martirio di s. Restituta, giovane romana che ha sacrificato la propria vita per la promozione della fede cristiana nella nostra comunità di Sora. Questo evento drammatico del suo martirio ci stupisce ancora, a distanza di molti secoli. Ci disarma la forza e il coraggio di una giovane donna che ha riconosciuto nella buona testimonianza del vangelo un valore supremo, anzi assoluto, un bene spirituale superiore al valore della sua stessa vita fisica.

La tradizione vuole che s. Restituta appartenesse all’illustre famiglia romana dei Frangipane. Condotta da Roma a Sora per evangelizzare la città. La giovane compì il suo primo miracolo, curando da una grave malattia Cirillo, il quale si convertì al cristianesimo. Intervenne contro la sua missione allora il console Agazio, che ordinò per Restituta torture e carcerazione; ma i militari che ne gestivano il controllo vennero rapidamente convertiti e battezzati da Cirillo. Agazio dispose che la santa, insieme con Cirillo e due carcerieri convertiti, venissero decapitati presso Carnello, sulle sponde del fiume Fibreno il giorno 27 maggio del 275; regnava l’imperatore Aureliano, era da poco papa Eutichiano.

Il mio breve richiamo ad alcuni tratti della tradizione, certo foschi e incerti, ma sufficienti per cogliere il valore e l’attualità del martirio di s. Restituta come atto estremo di generosità, ci aiuta ad entrare in una delle questioni cruciali della memoria dei martiri. La loro testimonianza rende ragione a Dio come bene supremo, l’unico bene davvero non negoziabile in assoluto, per il cui Amore si può arrivare a sacrificare la propria vita, rinunciando a tutto e a tutti.

La nostra fede è irrorata dal sangue dei martiri; il martire incoraggia la nostra vita cristiana, sollecita la nostra coerenza, provoca la nostra risposta totale alla rivelazione del Signore che ci hiama alla fede.

A s. Restituta, dunque, siamo debitori per l’evangelizzazione del nostro territorio.

Il “caso serio” della fede

La nostra fede oggi deve lasciarsi interpellare dalla serietà e dal beneficio del martirio di s. Restituta.

“Credere in Dio ha molte conseguenze antropologiche, esplicitate nei Vangeli; sono il succo concreto e quotidiano del caso serio della fede, che ci esorta a entrare in Gesù come figli del Padre, con la forza e la serenità testimoniate dal Signore in ogni momento e in ogni vicenda della sua vita terrena”  (C.M. Martini, Il caso serio della fede, 2002).

Il martirio dimostra che la fede merita di essere vissuta come un valore assoluto per cui impegnare e spendere la propria vita: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt10, 37-39).

Parole, queste, di una lucidità e di un radicalismo che affascinano, e allo stesso tempo ci lasciano pensosi e quasi preoccupati, perché dichiarano gli amori umani, anche i più viscerali e spontanei, non assoluti rispetto al primato di Dio.

L’amore dei genitori e dei figli è sacro, e Gesù l’ha vissuto e comandato; ma va iscritto in un quadro più vasto che è quello del riferimento a Dio d’ogni cosa e di ogni persona, anche le più care. Nessuna cosa o nessuna persona può saziare il nostro cuore più dell’Infinito, più del Tutto, più dell’Eterno, più di Dio.

Questa è la pretesa del Vangelo, questa è la sfida della sequela di Cristo, questo è il vero “caso serio” del discepolo. Questo pensiero deve ferire lo stile spesso borghese della nostra fede. S. Restituta ha amato Cristo più della propria vita, ha amato Sora più della propria famiglia, più del successo del suo promettente futuro, più dei suoi amici e pretendenti.

Martiri perché custodi della fede

La fede come assoluto rigenera la consapevolezza che la conoscenza di Cristo, la decisione di seguirlo come Maestro e Salvatore, la certezza che in Lui trovo la speranza della vita eterna, è la vera perla preziosa per la quale investo tutte le mie energie di mente, di cuore, e di opere.

E in definitiva, in questo consiste oggi il nostro martirio: non nel fatto drammmatico e doloroso di “perdere” la mia vita, ma piuttosto di “spendere” la mia vita per la fede.

Nella forza di questa convinzione devo vivere il martirio della custodia feconda della fede ricevuta. Considerare il prezioso dono della fede, è amare, apprezzare, e valorizzare ciò che sono diventato per grazia di Dio, senza nessun merito.

Allo stesso tempo devo saper promuovere la mia fede, avere cura perché cresca e progredisca. Ciò significa chiedersi: cosa faccio perché la mia fede si alimenti e si rafforzi? I discepoli di Cristo sono chiamati a far rinascere in se stessi e negli altri la nostalgia di Dio. Occorre riscoprire la bellezza e l’attualità della fede non come atto a sé, isolato, che interessa qualche momento della vita, ma come orientamento costante, anche delle scelte più semplici, che conduce all’unità profonda della persona rendendola giusta, operosa, benefica, buona. Si tratta di ravvivare una fede che fondi un nuovo umanesimo capace di generare cultura e impegno sociale.

La sola devozione è debole, la riduzione della fede al culto delle mie pratiche religiose è sterile. Anche la solitudine di una fede non condivisa nella vita fraterna della comunità, che è madre e maestra della mia stessa fede, né illuminata e guidata dall’autorevole magistero della Chiesa, con estrema facilità può degenerare in forme di accecamento della mente e del cuore.

Spendersi per la fede degli altri

Martirio è anche spendersi per la fede dei nostri fratelli. Si tratta dell’urgenza, antica e sempre nuova, di evangelizzare il nostro territorio.

S. Restituta ci riconsegna il compito educativo della fede. Significa prendere a cuore la condizione di vita spirituale, la dignità della coscienza, la bellezza dell’anima, e il destino ultimo di tanti nostri fratelli e amici.

Oggi dobbiamo ammetere un paganesimo di ritorno. E’ urgente penetrare, come s. Restituta, nelle pieghe dell’idolatria diffusa, e scardinare l’inganno delle divinità costruite da mani di uomini, quali il potere, il guadagno facile e disonesto, l’arroganza come sistema, l’erotismo che mercifica il corpo e deturpa la vocazione dell’amore, una libertà senza regole e quindi incapace di custodire e perseguire il vero bene, proprio e altrui, la frode, il denaro sporco, il denaro facile, ricercato attraverso il gioco d’azzardo, e ogni forma disperata di guadagno disonesto.

Prendersi cura della fede degli altri significa destituire gli idoli falsi, e perforare la durezza dell’indifferenza alla vita cristiana e alla novità del Vangelo, con l’audacia della propria testimonianza.

Un pensiero per la Città

Non dobbiamo dare per scontata la fede di questa nostra Città, per la quale s. Restituta ha offerto il sangue del suo martirio.

Dobbiamo raccogliere con più attenzione le ragioni di tanti fratelli e sorelle, particolarmente giovani e adulti, che di fatto vivono ai margini, e spesso oltre i margini, dei nostri programmi religiosi. Amiamo di più questa Città: portiamo il vangelo, che è Gesù Cristo risorto, speranza del mondo, nei quartieri densamente popolati, per lasciarci mordere dalla questione della fede di tanta gente che non crede, e dei ritardi di una comunità cristiana che non deve più attendere, ma piuttosto andare incontro a coloro che non torneranno forse mai più in chiesa.

Attraversiamo insieme questa Città, per umanizzare con la carità del Vangelo interi condomini abitati da volti che non comunicano più, calpestati da passi che non si incrociano mai.

Per questa Città dobbiamo ravvivare i frutti del martirio di s. Restituta, favorendo una ritrovata vivacità della fede, della vita ecclesiale, della forza robusta del Vangelo. Oggi, s. Restituta con il suo martirio fa eco alle parole dell’apostolo Paolo e ci affida ancora una volta la missione di sempre: “Non vergognarti di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffricon me per il Vangelo” (2Tm 1,8).

 

+  Gerardo Antonazzo

 

 

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