Omelia del Vescovo Gerardo per la Messa “In coena Domini”

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SCONVOLTI DA UN GREBIULE

Omelia per la Messa “In coena Domini”

Pontecorvo, chiesa Concattedrale, 2 aprile 2015

Ringrazio i presbiteri e le comunità parrocchiali della Città di Pontecorvo, che insieme con il Vescovo celebrano insieme l’unica liturgia della Cena del Signore, per poi offrire l’Eucarestia, sacramento di unità, ai fedeli di ogni parrocchia per l’adorazione di Gesù vivo, realmente presente nel segno sacramentale del suo corpo e del suo sangue. Grazie per questa bella testimonianza di armonia spirituale di comunione ecclesiale.

Oggi il Signore è felice di accoglierci nel Cenacolo del suo convito nuziale. Occupando ciascuno il proprio posto nel Cenacolo di questa eucarestia, possiamo abitare con il cuore commosso i pensieri e gli affetti di Gesù. Qui, riceviamo doni inestimabili, ascoltiamo parole ineffabili, vediamo gesti imprevedibili, scopriamo tesori inesauribili. Lui, il Signore e il Maestro, desidera che i suoi amici siano intorno al banchetto nuziale del suo amore, partecipi della vera Pasqua.

Prima della festa di Pasqua

Gesù gioca di anticipo rispetto il rito annuale della Pasqua ebraica. Infatti abbiamo ascoltato dal vangelo: “Prima della festa di Pasqua…”. Il “prima” significa la “sostituzione” con un nuovo rito. Annuncia l’intenzione di Gesù di compiere la “sua” Pasqua, per inaugurare un evento salvifico risolutivo della disperazione dell’uomo. Infatti, ciò che Gesù compie nel Cenacolo compie l’ “ora” dell’amore più grande che l’uomo abbia mai potuto vedere. “Era venuta la sua ora”: è l’Ora della passione dell’Agnello innocente. L’evangelista Giovanni fissa la chiave di lettura e di interpretazione di quello che accade nel Cenacolo. Ci aiuta a comprendere il significato dell’intero racconto. Ormai è giunta l’ Ora decisiva della morte in Croce. Quest’Ora è altamente positiva, perché deve essere compresa non come una sconfitta, un annientamento, né come fallimento della sua missione, ma come il ritorno di Gesù al Padre e l’espressione del suo immenso amore per i suoi discepoli. Per questo annota l’evangelista: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, lì amò sino alla fine”.

Questo amore di Gesù è avvalorato dalla presenza diabolica di Giuda. Infatti lo incontriamo all’inizio (“Il diavolo aveva messo in cuore a Giuda di tradirlo”), a metà del racconto (“Sapeva infatti chi lo tradiva”), e verso la conclusione che non è compresa nel brano letto (“Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”). L’ombra di Giuda rende ancora più straordinario l’amore di Gesù, ferito dal tradimento di un apostolo che Lui, nonostante tutto, continua a tenere accanto a sé, nella cerchia degli amici più intimi, pur conoscendo bene ciò che stava tramando. Il progetto diabolico di Giuda non fa vacillare né retrocedere Gesù, ma anzi accelera la consegna di se stesso nelle mani del traditore. Gesù avanza verso la Croce, libero e consapevole della sua missione.

            Li amò sino alla fine

Giuda permette a Gesù di esprimere l’amore più straordinario. Afferma il vangelo: “Li amò sino alla fine”. “Fine” (telos)  significa in primo luogo il compimento pieno di un’azione. Nella filosofia greca télos significa il fine, lo scopo, il senso. Anche nel vangelo di Giovanni non significa la fine, o la conclusione  di un’azione, ma il fine e lo scopo della vita di Gesù, indica la pienezza di senso di una vita donata. Una vita che raggiunge il suo fine solo nel momento in cui si dona. Dunque Gesù nel Cenacolo ama in modo pieno, non si risparmia nel dono di sé, non trattiene nulla per sé, si espropria totalmente. Si umilia e si spoglia di ogni titolo e autorità: “Si alzò da tavola, depose le sue vesti”. La deposizione della tunica significa la libera e volontaria offerta della sua vita. “Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,17-18). Anticipa nel simbolo della veste deposta il sacrificio cruento della propria vita sul Calvario. Questo è il modo in cui Gesù ci ama: non ne conosce altri, non sa fare diversamente. Amare di meno, per Gesù sarebbe stato come agire contro natura! “Sino alla fine” esprime anche un amore definitivo, per sempre: Gesù non tornerà indietro rispetto a questo amore pieno e totale. Il suo modo di amare va controcorrente rispetto alla nostra mentalità contemporanea per la quale ogni forma di rinuncia è vista con sospetto, come fosse un atto masochistico di repressione se stessi.  Restiamo stupiti e sconvolti da questo suo modo di amare.  Gesù insegna che solo questa è la strada della vera felicità, la condizione per provare l’ebbrezza di una vita piena di senso, una vita stupefacente senza stupefacenti. Per amare devo deporre ogni difesa, devo deporre ogni arroccamento sulle mie posizioni di prestigio, deporre ogni forma di esasperata autodifesa contro l’altro immaginato in posizioni di conquista dei miei territori. Gesù dimostra che il senso pieno della vita è il suo svuotamento da ogni attaccamento morboso alle tante forme illusorie e ingannevoli di egoismo.

            Anche voi…vi ho dato un esempio

La narrazione dei primi tre vangeli ci trasmette il racconto dell’Eucarestia, mentre il quarto vangelo ci trasmette il gesto della lavanda dei piedi. Tuttavia nei due racconti è contenuta la medesima espressione: “per voi”. S. Paolo nella seconda lettura, testimoniando quanto gli è stato trasmesso, ricorda le parole di Gesù “nella notte in cui veniva tradito”, parole che ritroviamo anche nei primi tre vangeli: “Questo è il mio corpo che è per voi”. Si dona il proprio corpo alla persona che si ama, e quel dono impegna entrambi ad amarsi ancora di più, grazie al dono del corpo dell’altro. Ricevendo l’Eucarestia, noi mangiamo il corpo del Signore: assimiliamo il suo amore, ma anche la logica del dono. Mangiando l’Eucarestia noi assorbiamo per il nostro corpo e la nostra anima la sostanza della Pasqua, della morte al nostro egoismo e della vita nuova nel segno della sincera carità.

Il medesimo insegnamento lo ritroviamo nel vangelo di s. Giovanni. Gesù chiede: “Avete capito quello che ho fatto per voi?”. “Per voi”: significa che riceviamo un dono, e allo stesso tempo un esempio. Dono e responsabilità. Gesù vuole far capire che il suo gesto è dimostrazione del suo amore per loro, ma anche esempio che loro dovranno semplicemente imitare. Nella lavanda dei piedi Gesù ci dona l’amore e ci insegna ad amare. Un grembiule cambia la vita! La domanda di Gesù “Avete capito quello che ho fatto per voi?” non è fuori luogo, non è inopportuna. Di frequente, pur ripetendo nei riti solenni della nostra liturgia il suo gesto, facciamo fatica nella vita a farlo diventare anche nostro. Volentieri facciamo finta di non capire, o di considerare un fatto eccezionale il gesto del Cenacolo, mentre invece Gesù ce lo consegna come regola ordinaria delle nostre relazioni, anzi come “comandamento”: “Anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. Usa la forma dell’imperativo, del comando, della necessità. Non possiamo sottrarci a questo segno distintivo della vita cristiana. Il gesto che Gesù compie esprime una scelta di vita, ed esige il coinvolgimento dei suoi discepoli. La nostra vita impara ad amare ripartendo dalla scuola del Cenacolo, cioè dal segno dell’Eucarestia e dal gesto della lavanda dei piedi. Non c’è amore più grande di questo, non c’è modo migliore di vivere non più per se stessi, ma per gli altri.

Gerardo Antonazzo

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