Omelia del Vescovo Gerardo. Le Ceneri “una vera conversione”

stemma-vescovo-sora

LE CENERI DI UNA “VERA CONVERSIONE”

Mercoledì delle Ceneri

Sora, chiesa Cattedrale, 18 febbraio 2015

 Nella liturgia di oggi celebriamo l’iniziativa di Dio. E’ Dio che indice la Quaresima, e ci invita a prendere le cose sul serio, e a non perdere tempo, considerata la posta in gioco: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza” (II Lettura). Dio ci offre una grande occasione da non perdere, perché unica e irripetibile, come le stagioni e i tempi della nostra esistenza. Dio, pertanto, non ritarda nell’accordarci ancora un’altra preziosa opportunità per “cambiare”, prendendo molto sul serio la lotta spirituale contro se stessi. Il linguaggio della Colletta di questa liturgia è “agonistico” e fa riferimento esplicito a un vero combattimento spirituale. E se di tempo liturgico “forte” si usa parlare, è perché questo è il tempo dei “forti”, di quanti con coraggio riconoscono le proprie umilianti debolezze. Annota Etty Hillesum, scrittrice olandese di origine ebraica, vittima della Shoah: “Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi… e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver fatto prima la nostra parte dentro di noi” (Diario 1941-1942).

E’ tempo di ricominciare, e soprattutto di ricominciare da se stessi.

Dalla luminosità dell’Osanna al grigiore delle Ceneri

Perché la scelta della liturgia di iniziare la quaresima utilizzando le ceneri dei ramoscelli d’ulivo della domenica delle Palme? E’ fin troppo evidente come la gioia e l’esultanza nell’accoglienza del Messia, cede non di rado il passo alla tentazione e allo scoraggiamento, al rinnegamento del Maestro e anche al suo tradimento, alla superficilità e all’indolenza, alla fragilità e al fallimento spirituale e morale. Il nostro “Osanna” cantato all’ingresso gioioso di Gesù a Gerusalemme non è sempre perseverante, capace di superare i contraccolpi delle tentazioni e delle cadute. I nostri cedimenti frantumano il grido dell’Osanna e lo riducono in cenere! E sono le Ceneri che oggi vengono posate sul nostro corpo umiliato e, speriamo, pentito: ma solo tale consapevolezza pone le condizioni migliori per ricominciare a vivere secondo Dio.

Segno austero e sacro

Il segno delle Ceneri è austero e sacro ad un tempo. “Austero”, perché le ceneri sono segno della debole e fragile condizione dell’uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere…” (Gen 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di estrema prostrazione, afferma: “Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere”(Gb 30,19). In altri passi biblici può essere riscontrata questa dimensione precaria dell’uomo simboleggiata dalla cenere (Sap 2,3; Sir 10,9; Sir 17,27).Ma la cenere è anche segno sacro di un rinnovato cammino verso il Signore. Particolarmente noto è il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona: “I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere” (Gio 3,5-9). Anche Giuditta invita tutto il popolo a fare penitenza affinché Dio intervenga a liberarlo: “Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore” (Gdt 4,11).

Infine, quello delle Ceneri può diventare un segno ambiguo se insidiato dall’ipocrisia, se viene utilizzato per esprimere un pentimento che non corrisponde alla reale volontà di cambiare stili di vita.

I segni di una “vera conversione”

Così recita la Colletta della liturgia odierna: “Concedi, al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione”. La Quaresima non è un tempo di debole vigliaccheria. Quando la conversione è “vera”? Quando tocca il cuore, e quindi le questioni cruciali della mia persona. Se non cambia il cuore non cambia nulla.

Il vangelo odierno  indica le tre priorità da perseguire nel sincero desiderio di conversione. Le tre pratiche indicate da Gesù non possono essere ridotte a tre “cose” da fare. Riguardano piuttosto le tre relazioni costitutive del nostro benessere integrale.

La conversione del rapporto con Dio (la preghiera)

La preghiera chiama in causa il mio rapporto con Dio. Tale conversione deve rispondere alla domanda: “Chi è Dio per me?”. L’esperienza della fede deve orientare tutto della mia vita a Gesù Cristo, per lasciarmi plasmare dalla sua parola e dal suo stile di vita. La nostra conversione è squisitamente “cristiana”, se educa lo sguardo della fede su Gesù Cristo, per vivere la centralità del suo mistero pasquale. La conversione di s. Paolo è tutta in un nuovo orientamento religioso, centrato su Cristo morto e risorto. Ho voluto presentare il suo itinerario spirituale nella Lettera che verrà consegnata oggi a tutte le comunità parrocchiali tramite gli operatori pastorali che partecipano a questa sacra celebrazione, in rappresentanza di tutta la bella realtà diocesana. Se il cammino della Quaresima non vuole imboccare il vicolo cieco dell’ autoreferenzialità, foraggiata dal volontarismo moralistico, deve guardare alla gioia della Pasqua di Cristo. La nostra presunta religiosità non può essere fatta di culto precettistico, di riti e devozioni distorte da attese miracolistiche, di preghiere motivate più dalla logica del ricatto verso Dio che di affidamento al suo Amore.

La conversione del rapporto con se stessi (il digiuno)

Il digiuno chiama in causa il mio rapporto con me stesso. Il digiuno deve favorire un’istanza antropologica: “Chi sono io per Dio?”. Come vivo la mia esistenza? Come governo e come mi distacco dai miei istinti, dai miei vizi, dalle mie inclinazioni malate, dalle mie tentazioni e dai miei cedimenti? Cosa faccio concretamente per purificare la mia mente, la mia logica anti-evangelica, la controtestimonianza della mia vita?

Il “digiuno” non significa distacco dal peccato, ma anche presa di distanza da ciò che frena lo slancio più generoso della mia persona nei confronti della volontà di Dio. Rientra nella pratica del digiuno autentico chiedermi se sto rispondendo alle attese di Dio, ai suoi progetti, alla sua chiamata. Il digiuno deve mortificare la tentazione di “possedere” la vita nel segno dell’egoismo, o della paura delle scelte, o della sicurezza psicologica. Digiunare da queste debolezze è favorire la mia conversione verso la bellezza della vita come dono e come risposta alla chiamata di Dio, qualunque essa sia. Non rispondere all’iniziativa di Dio è sperperare i talenti da Lui affidatici con il perentorio invito a farli fruttare.

La conversione del rapporto con i fratelli (l’elemosina)

L’elemosina chiama in causa il mio rapporto con il prossimo. L’elemosina non riguarda soltanto qualcosa di materiale. Il primo dono da offrire agli altri è Gesù Cristo, l’annuncio del Vangelo, la novità, la ricchezza e la bellezza della fede cristiana.

Il nostro rapporto con gli altri deve essere capace di “umanizzare” le molte difficili situazioni di vita, attuando ogni strategia possibile in grado di favorire la grammatica dell’umano, soprattutto nell’esperienza dell’amore coniugale ferito, dell’inimicizia guarita dal perdono, delle molte solitudini abitate dagli affetti di chi più ama, dallo sconforto rianimato dalla speranza.

Conversione missionaria

Le pratiche annunciate da Gesù provocano una “conversione missionaria”, come quella dell’apostolo Paolo, il convertito per eccelleza. Siamo chiamati a spendere la nostra missionarietà e la forza evangelizzatrice della vita cristiana personale e comunitaria attuando i cinque verbi di Papa Francesco assunti come piste di riflessione, di revisione e di rinnovato slancio missionario sul nostro territorio: Uscire, Annunciare, Abitare, Educare, Trasfigurare. Seguire il tracciato di questi verbi è strutturare un bel progetto di conversione missionaria per le nostre comunità cristiane provocate da antiche e nuove sfide culturali, sociali e religiose.

“La nostra fede in Gesù Cristo deve “esplodere” in una gioiosa, riflettuta e strategica missionarietà sul territorio, come anche negli ambienti di vita, a partire dalla propria famiglia. E’ la forza missionaria che rende  significativa la presenza della Chiesa nella storia degli uomini. Siamo ben consapevoli che la nostra presenza di cristiani in una società che non intende dirsi più cristiana è diventata semplicemente ”minoranza”. Ma non deve rischiare di cadere nell’insignificanza, perché la nostra insignificanza genera ben presto l’indifferenza. La Chiesa deve annunciare la novità del Vangelo che è Gesù risorto, per promuovere un nuovo umanesimo, dimostrare che in Cristo l’uomo raggiunge il compimento della sua vocazione e felicità” (Lettera alle comunità per la quaresima-pasqua 2015).

Gerardo Antonazzo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Categorie: Diocesi,Documenti e Omelie