Lectio presso l’Uniclam

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

Comunicare la fede. La religione al tempo del web 2.0

Lectio presso l’Uniclam, 11 maggio 2017

Dipartimento di Lettere – Cdl in Scienze della Comunicazione

 

 

 

  1. “Perfetti sconosciuti”[1]

Recensione

Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta. Un tempo quella segreta era ben protetta nell’archivio nella nostra memoria, oggi nelle nostre sim. Cosa succederebbe se quella minuscola schedina sim si mettesse a parlare?

“Perfetti sconosciuti” è un film dove tutto è il contrario di tutto, dove ognuno può raccontare la sua esperienza, può fissare dei confini tra cose giuste e sbagliate, corrette e scorrette, disdicevoli o no, parlando di vite segrete, di quello che non possiamo o non vogliamo raccontare.

Nel corso di una cena, che riunisce un gruppo di amici, la padrona di casa Eva, ad un certo punto, si dice convinta che tante coppie si lascerebbero, se ogni rispettivo partner controllasse il contenuto del cellulare dell’altro. Parte così una sorta di gioco per cui tutti dovranno mettere il proprio telefono sul tavolo e accettare di leggere sms/chat o ascoltare telefonate pubblicamente. Quello che all’inizio sembra un passatempo innocente diventerà man mano un gioco al massacro e si scoprirà che non sempre conosciamo le persone così bene come pensiamo.

Il film pone una questione molto seria: nell’era di numerosi e importanti strumenti di comunicazione mediatica si riduce la possibilità della  relazione e della conoscenza dell’altro. Non è affatto detto che la moltiplicazione dei canali sia di per sé garanzia di maggiore comunicazione. Qualcuno, anzi, sostiene il contrario: la “società dell’informazione”, come viene chiamata la nostra, non è necessariamente una società in cui si comunica di più.

  1. La comunicazione nell’era digitale

Il tema della comunicazione è oggi particolarmente sensibile: è di grande attualità e interesse, e allo stesso tempo sviluppa coni d’ombra e non poche criticità, nonché sorprendenti ambiguità. Resta però, al di là di tutto, il bisogno di comunicare resta una dimensione fondamentale e irrinunciabile della persona umana. Lo richiama anche un breve intervento di p. Antonio Spadaro, direttore della rivista “La civiltà cattolica”, quando afferma:

“Internet non esiste, la Rete non esiste. Noi siamo colpiti dalla tecnologia, ma finché resteremo colpiti dalla tecnica, dal macchinoso, non ne capiremo il significato antropologico. La rete è una rivoluzione antica. In particolare Internet è una rivoluzione che potremmo definire con salde radici nel passato, perché dà forma nuova a desideri e valori antichi quanto l’essere umano”[2].

Quando si guarda Internet occorre non solo vedere le prospettive di futuro che offre, ma anche i desideri e le attese che l’uomo ha sempre avuto e alle quali prova a rispondere e cioè relazione e conoscenza. Se la rete diffonde post verità, notizie false, le cosiddette “fake news”, se alza i toni dello scontro, è perché c’è qualcosa che non va nella nostra vita sociale e nel cuore di ognuno di noi. Infatti, non è la tecnologia ad essere cattiva o buona, siamo noi. Comunicare è una questione vitale; potremmo parafrasare il detto cartesiano (Cogito, ergo sum) in questi termini: “Comunico, dunque esisto”, perché “condividere” è “esserci”.

La cura metodica,  e a volte anche ossessiva,  con cui i giovani (ma non solo) fotografano e filmano i momenti significativi della loro vita per condividerli sui social media non è segno della smania di documentazione, ma esprime il bisogno antropologico fondamentale della condivisione: non si è felici da soli, la presenza piena è la com­presenza, materiale o digitale che sia. Offrire occasioni di condivisione, di esperienza di momenti densi di significato è oggi un modo appropriato di interpretare e valorizzare la logica della rete.

 

Nell’era televisiva eravamo portati a pensare alla comunicazione come informazione, come a un broadcasting: emettere messaggi, trasmettere contenuti, dire qualcosa a qualcuno. Questo modello ha implicitamente guidato molte delle nostre pratiche, in contesti diversi: l’educazione, l’istruzione, la formazione religiosa. Oggi l’era digitale ci costringe a mettere in discussione questo modello unidirezionale e statico, e a ripensare la comunicazione in chiave d’interazione, condivisione e partecipazione, più che trasmissione. Comunicare è prima di tutto ridurre le distanze, sciogliere un po’ alla volta ciò che ci divide, allargare lo spazio comune, donare qualcosa di sé agli altri, trasformare la frammentazione in unità.

“È l’uomo a creare il medium e non viceversa [… ]. Il protagonista, il soggetto agente, è l’uomo. La “pastorale digitale”, pertanto, dipende dalle dinamiche e dai linguaggi del social media, ma scaturisce soprattutto dall’intenzione pastorale e umana del cristiano. Deve tener conto della “materia” digitale dei dispositivi e allo stesso tempo è chiamata a dare una “forma” umana all’azione digitale”[3]

 

Per umanizzare la comunicazione digitale dobbiamo riscoprire e portare alla luce il primato antropologico (e quindi anche spirituale) che riorienti la tecnologia (i media) a servizio dell’uomo: fare “pastorale digitale” significa, infatti, prendersi cura del prossimo che incontriamo lungo le strade della Rete[4] .

  1. La comunicazione di Dio

Dal Deus absconditus al Deus revelatus

 

Il cristianesimo non è la religione del libro, ma della Parola: “In principio…Dio disse” (cfr. Gen 1,1-3). Anche il quarto vangelo inizia con lo stesso riferimento alla Parola: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso, Dio, il Verbo era Dio” (Gv 1,1). Entrando nello specifico della mia riflessione, pongo la domanda cruciale: se e quale contributo specifico può dare la letteratura cristiana  alla comprensione della comunicazione? Dire letteratura cristiana significa dover ripartire dalla letteratura biblica. Se guardiamo all’esperienza religiosa dell’uomo biblico, lo ritroviamo coinvolto dentro un relazione comunicativa di grande spessore.  Nella Bibbia ritroviamo, senza alcuna forzatura,  un modello completo di comunicazione, capace di rispondere alle esigenze antropologiche di relazione e di conoscenza personale. Attraversando  tutto il patrimonio biblico ritroviamo il Deus revelatus: Dio si rivela, tirandosi fuori, Lui per primo, dalla folta schiera dei “perfetti sconosciuti”!

La descrizione della rivelazione biblica nella Costituzione conciliare Dei Verbum

 

Nei testi del Concilio Vaticano II ci viene offerta una stupenda esplicitazione della comunicazione di Dio documentata nella Bibbia. Mi riferisco, in particolare, alla Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum[5] dove si descrive in sintesi il processo della rivelazione di Dio come comunicazione esemplare:

“Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé”[6].

Dal testo conciliare apprendiamo che la Bibbia documenta il grande evento della comunicazione di Dio nella prospettiva di una “rivelazione”, di una “apocalisse”. Il significato etimologico di  “rivelazione” è “togliere il velo” svelare: dal latino revelare “togliere il velo”; der. di velum “velo” col pref. re– “indietro”.  Si tratta di un processo di dis-velamento. La rivelazione di Dio ci fa uscire dal campo dell’ineffabile. Il Vecchio Testamento conosce manifestazioni misteriose dell’angelo di Jahvè, in cui il Dio invisibile assume in qualche modo una forma accessibile ai sensi (Gen 16, 7; 21, 17; 31, 11; Gdc 2, 1). Tuttavia in esse la gloria divina si vela sempre sotto simboli: simboli cosmici del fuoco o dell’uragano, simboli che manifestano la sovranità divina (1 Re 22, 19; Is 6,1ss), simboli ispirati all’arte babilonese (Ez 1). Ad ogni modo, Jahve stesso non è mai descritto (cfr. Ez 1, 27s); la sua faccia non è mai vista (Es 33, 20), neppure da Mosè che gli parla “bocca a bocca” (Es 33, 11; Num 12, 8), e gli uomini si velano istintivamente il volto per non fissare i loro occhi su di lui (Es 3, 6; 1 Re 19, 9 s).

Significati peculiari del testo conciliare

Il testo conciliare presenta il paradigma completo della comunicazione, che risponde a diverse domande e integra diverse componenti.

 

Chi si rivela? Dio è il soggetto dichiarato della rivelazione: Lui prende l’iniziativa. “Piacque”: E’ un atto non dovuto, ma compiuto da Dio per compiacimento verso l’altro, verso la sua creatura. Dio per primo avvia un processo di rivelazione.

 

Che cosa? Dio stesso è  il contenuto  della rivelazione. Lui si autorivela. Non rivela qualcosa di altro o di altri, ma qualcosa di sé. Il contenuto  della rivelazione è far conoscere se stesso e il mistero della sua volontà.

Come? La modalità è ben dichiarata: come ad amici (cf. Es. 33, 11; Gv. 15, 14-15) , e si intrattiene con essi (cf. Bar. 3, 38).

Perché? Per quale finalità Dio si rivela? Il testo conciliare dice che la rivelazione di Dio è a vantaggio dell’uomo: “per ammetterlo alla comunione con sé”. Dio rivela se stesso perché l’uomo, conoscendoLo, possa recuperare un rapporto privilegiato con il suo Creatore.

 

In questo processo comunicativo di Dio, l’uomo si costituisce come “uditore” della Parola, colui che ascolta e risponde.  Tale comunicazione in quanto rivelazione della parola e con la parola, apre al dialogo (dia-logos), luogo di incontro e di comunione tra diversi soggetti in relazione.

 

  1. La potenzialità generativa della comunicazione

 

La comunicazione deve essere generativa di relazioni. Purtroppo, come utenti social rischiamo di vivere in una bolla autoreferenziale, con emozioni non controllate, con una violenza verbale sorprendente e una non percepita dipendenza da gestioni tecnologiche inaccessibili. Cosa comporta una comunicazione generativa?

“Vorrei soffermarmi a considerare lo sviluppo delle reti sociali digitali che stanno contribuendo a far emergere una nuova «agorà», una piazza pubblica e aperta in cui le persone condividono idee, informazioni, opinioni, e dove, inoltre, possono prendere vita nuove relazioni e forme di comunità. Questi spazi, quando sono valorizzati bene e con equilibrio, contribuiscono a favorire forme di dialogo e di dibattito che, se realizzate con rispetto, attenzione per la privacy, responsabilità e dedizione alla verità, possono rafforzare i legami di unità tra le persone e promuovere efficacemente l’armonia della famiglia umana. Lo scambio di informazioni può diventare vera comunicazione, i collegamenti possono maturare in amicizia, le connessioni agevolare la comunione. Se i network sono chiamati a mettere in atto questa grande potenzialità, le persone che vi partecipano devono sforzarsi di essere autentiche, perché in questi spazi non si condividono solamente idee e informazioni, ma in ultima istanza si comunica se stessi”[7].

La rete digitale è al servizio della relazione nella misura in cui sviluppa buone pratiche amicali:

“La comunicazione ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione, arricchendo così la società. Com’è bello vedere persone impegnate a scegliere con cura parole e gesti per superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia. Le parole possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale. Pertanto, parole e azioni siano tali da aiutarci ad uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette, che continuano ad intrappolare gli individui e le nazioni, e che conducono ad esprimersi con messaggi di odio. La parola del cristiano, invece, si propone di far crescere la comunione e, anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione”[8].

La comunicazione è incontro e scambio di beni intellettuali (idee e progetti), morali (relazioni amicali)  e spirituali (arricchimento dell’animo). In rete nessuna trasmissione dovrebbe avvenire al di fuori di questa modalità relazionale che deve qualificare la condivisione. In rete, “essere” è “essere-con”: questa è la regola numero uno, che deve caratterizzare il passaggio dal web 1.0 al web 2.0, cioè quello social.  L’ambiente digitale deve sprigionare la grande opportunità di diventare un luogo di incontro e di relazioni interpersonali. In questa rete digitale si può costruire davvero una sempre più piena appartenenza, una vera e propria cittadinanza, anche per chi non condivide la visione cristiana della vita.

  1. I nuovi linguaggi digitali per comunicare la fede

Come comunicare la fede nell’era digitale? Oggi cominciamo a sentire come necessaria la piattaforma digitale per la comunicazione religiosa, consapevoli che questo richiede, ancor prima della disponibilità di mezzi e strumenti, dell’ attivazione di risorse umane in grado di attuare progetti e programmi. E’ una bellissima sfida.

“La sfida che i network sociali devono affrontare è quella di essere davvero inclusivi: allora essi beneficeranno della piena partecipazione dei credenti che desiderano condividere il Messaggio di Gesù e i valori della dignità umana, che il suo insegnamento promuove. I credenti, infatti, avvertono sempre più che se la Buona Notizia non è fatta conoscere anche nell’ambiente digitale, potrebbe essere assente nell’esperienza di molti per i quali questo spazio esistenziale è importante. L’ambiente digitale non è un mondo parallelo o puramente virtuale, ma è parte della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani. I network sociali sono il frutto dell’interazione umana, ma essi, a loro volta, danno forme nuove alle dinamiche della comunicazione che crea rapporti: una comprensione attenta di questo ambiente è dunque il prerequisito per una significativa presenza all’interno di esso”[9].

 

La capacità di utilizzare i nuovi linguaggi è richiesta per permettere all’infinita ricchezza del Vangelo di trovare forme di espressione che siano in grado di raggiungere le menti e i cuori di tutti.

 “Nell’ambiente digitale la parola scritta si trova spesso accompagnata da immagini e suoni. Una comunicazione efficace, come le parabole di Gesù, richiede il coinvolgimento dell’immaginazione e della sensibilità affettiva di coloro che vogliamo invitare a un incontro col mistero dell’amore di Dio. Del resto sappiamo che la tradizione cristiana è da sempre ricca di segni e simboli: penso, ad esempio, alla croce, alle icone, alle immagini della Vergine Maria, al presepe, alle vetrate e ai dipinti delle chiese. Una parte consistente del patrimonio artistico dell’umanità è stato realizzato da artisti e musicisti che hanno cercato di esprimere le verità della fede”[10].

In definitiva, la pastorale digitale deve liberare la Chiesa da ogni ossessione di autoreferenzialità, costruendo ponti e favorendo le alleanze possibili nel condividere la fede, anche con chi non crede, allargando spazi di incontro, di dibattito, di critico dialogo.

“Se dobbiamo essere “missionari”, comunicatori della fede in questo mondo, è necessario conoscere le culture e i linguaggi, compresi i linguaggi, i simboli, la grammatica dei media digitali, in rapida e costante evoluzione”[11].

Il Papa  “ci invita a riflettere seriamente sulla necessità di diventare pastori digitali[12]. Internet non basta, la tecnologia non è sufficiente, e tuttavia è indispensabile che la Chiesa sia presente nella Rete, sempre con stile evangelico. Per questo “è necessario che ci mettiamo in ascolto, così da intercettare le modalità attraverso le quali è possibile giungere al cuore del Popolo di Dio, per seminarvi la Parola e proclamare il messaggio della misericordia del Padre”[13].

Mettere in rete, dunque è mettere in comunione, per tracciare una rete non di fili ma di relazioni interpersonali sempre più costruttive e significative, alla luce della fede  e nella forza dirompente ma non disgregante del Vangelo.

Grazie.

 

+ Gerardo Antonazzo

 

 

[1] Film del regista Paolo Genovese, anno 2016.

[2] Antonio Spadaro, venerdì 10 marzo.

[3] Alessandro Palermo, direttore Ufficio comunicazioni sociali di Mazara del Vallo.

[4] Papa Francesco, Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali,  2014.

[5] La Costituzione è stata promulgata il 18 novembre 1965.

[6] Concilio Ecumenico Vaticano II, Dei Verbum, n. 2.

[7] Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, 2013.

[8] Papa Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali,  2016.

[9] Benedetto XVI, Messaggio Giornata mondiale dell comunicazioni sociali,  2013.

[10] Ibidem.

[11] Dario Viganò, IV Seminario della Comunicazione della Chiesa cilena, 24 aprile 2017.

 

[12] Ibidem.

[13] Ibidem.

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