LA PAROLA DEL SIGNORE SIA GLORIFICATA

la parola del signore sia glorificata

Inizio della Visita pastorale
Zona di Balsorano, 12 novembre 2019

 

Per me oggi, a distanza di sette anni, è come rivivere l’inizio del mio ministero episcopale, porgere l’abbraccio a questa Chiesa che il Signore, pur conoscendo i miei limiti, mi ha chiamato a servire. Credetemi, l’inizio della mia Prima Visita rinnova l’emozione della mia prima volta in diocesi. Preghiamo gli uni per gli altri, perché se non camminiamo insieme non si cresce, e quando non si cresce rischiamo tutti una forma di nanismo ecclesiale, patologia pastorale di una stagnazione della vita comunitaria che va nel senso diametralmente opposto all’urgenza missionaria dell’evangelizzazione del territorio.

Carissimi presbiteri, sorelle e fratelli tutti, oggi benedico e lodo anch’io il Signore Gesù per voi, presbiteri e discepoli del Signore che formate la comunità cristiana della Valle Roveto, ricca di antiche tradizioni religiose. L’inizio della Visita nella prima Zona pastorale di Balsorano è felicemente illuminato dalle parole di san Paolo proclamate nell’odierna liturgia. Oggi aprite il vostro cuore al passaggio del Risorto che viene a bussare alla vostra porta per alimentare la fede e la carità fraterna attraverso il ministero del Vescovo, e così continuare a custodire la grande speranza di “entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo” (v. 14). È Lui che “ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza”.

Carissimi tutti, è mio vivo desiderio che la visita del Signore “conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene”, per non perderci d’animo nelle difficoltà della vita, nelle prove del tempo presente (come quella provocata dal sisma solo poche ore fa), e soprattutto nella confusione culturale che come una peste avanza e aggredisce la robustezza spirituale delle nostre tradizioni cristiane.  Oggi busso nel nome di Gesù risorto, Buon Pastore; è solo per camminare al vostro fianco come fratello, avanti a voi come padre, guida e pastore, dietro di voi come servo di tutti. Vengo a dare testimonianza concreta e visibile della paternità di Dio, e a dare coraggio per non smettere di sperare nella fedeltà di Dio: “il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno”. Vengo a confermare i vostri cuori nella fede in Gesù e nell’impegno per le buone opere e parole. Conosco bene i motivi delle vostre preoccupazioni: frammentazione sociale, fragilità familiari, difficoltà nell’educazione dei figli, futuro incerto per la mancanza di lavoro, problemi economici per chi fatica nel reinserimento occupazionale, in particolare preoccupa lo spopolamento dei nostri centri sempre meno abitati, ma così amabili e affascinanti.

La parola dell’apostolo ci ricorda che “la fede non è di tutti” (v. 5,2). In particolare la fede non è degli “uomini corrotti e malvagi”, secondo l’espressione del testo paolino. Dio non esclude nessuno: il dono della fede implica la possibilità di credere, dal momento che Dio offre indistintamente a chiunque tale dono; Dio chiama alla fede, ma la capacità di rispondere alla chiamata dipende dalle condizioni e condizionamenti sociali, familiari e personali di ciascuno. Quando l’apostolo oggi esorta a guardarci dagli uomini corrotti e malvagi, si riferisce a ciò che può impedire di credere: la corruzione del cuore e la malvagità della vita! Queste cose soffocano la possibilità di credere o provocano l’abbandono della fede battesimale, fino a perdere la possibilità della salvezza: “Un cristiano, se veramente si lascia lavare da Cristo, se veramente si lascia spogliare da lui dell’uomo vecchio per camminare in una vita nuova, pur rimanendo peccatori – tutti lo siamo – non può più essere corrotto [  ]. Un cristiano salvato da Gesù non può più vivere con la morte nell’anima, e neanche essere causa di morte. Ci sono i cristiani finti, che vivono una vita corrotta. Il corrotto fa finta di essere una persona onorevole, ma alla fine nel suo cuore c’è la putredine” (Papa Francesco, 28 marzo 2018).

Il mio pensiero oggi si rivolge anche a ciò che l’apostolo chiede alla comunità di intensificare: “Pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata”. Il riferimento alla Parola di Dio che “corre” rimanda anche ad una Ecclesia peregrinans. La grazia della Visita del Pastore verifica se le nostre comunità cristiane sono in cammino, creative sotto la guida dello Spirito che è fuoco che arde nei cuori, o piuttosto sedentarie, ripetitive, abitudinarie, sclerotizzate negli atti e nei riti che compie da sempre, nei programmi pastorali che non cambiano mai, e soprattutto non cambiano la vita di nessuno. La Visita è tempo di discernimento per verificare se in noi non sia sopravvenuta pure una preoccupante atrofia missionaria; se la Ecclesia peregrinans non annuncia il Vangelo ai neo-pagani del nostro tempo, è come aver perso la fibra musco­lare che la mette in movimento, con il rischio di cristallizzarsi in un groviglio di abitudini rituali e devozionali.

Abbiamo bisogno di riabilitare la grande me­tafora evangelica del cammino, anzi della corsa della Parola, come ci ha ricordato l’apostolo, per ben proporre e rappresentare non solo l’esistenza cristiana personale, ma la vita della comunità stessa. “Quella parola iniziale che Dio dice ad Abramo, il padre di tutti i credenti- “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti in­dicherò” (Gen 12,1) -è ancora la stessa che Egli dice alla Chiesa del nostro tempo e a ciascuno di noi. Dobbiamo ricominciare da questo paradigma. Percepire che l’appel­lo del viaggio è più necessario di quello delle sedie. Come diceva il Don Chisciotte di Cervantes, la strada ha da in­segnarci più della locanda (J. T. Mendonça, Elogio della sete). E quando avremmo svolto “una missione possibile”, non resta che l’umiltà di dire: ho fatto semplicemente il mio dovere, anzi la metà del mio dovere! Il Signore ci chiede di riconoscerci “servi inutili”, per vincere la presunzione dei nostri meriti e non vanificare la sua opera.

Rivolto a tutti voi l’augurio finale dell’apostolo: “Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo”. L’amore di Dio e la pazienza di Cristo ci educano alla costanza e alla perseveranza nella sequela fedele di Gesù, maestro e pastore.

 

Gerardo Antonazzo

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