Intervento del Vescovo Gerardo nel convegno “La risposta cristiana alla violenza”, organizzato dalla Commissione Regionale per l’Ecumenismo e il Dialogo

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Commissione Regionale per l’Ecumenismo e il Dialogo

“LA RISPOSTA CRISTIANA ALLA VIOLENZA”

Intervento del Vescovo Presidente

La gratitudine
Rivolgo volentieri il mio cordiale benvenuto a tutti i Convegnisti. Un particolare e grato saluto ai Relatori. Alcuni dei quali rappresentano diverse Confessioni cristiane, e accompagneranno il nostro percorso di studio e di confronto sul tema “La risposta cristiana alla violenza”, illuminando la lettura multilaterale di un dramma che infiltra nelle più disparate situazioni di vita, dalle micro-realtà sociali (quali l’amicizia gruppale, la famiglia, la scuola, il lavoro…) alle macro-realtà nazionali e internazionali (conflitti di potere, tensioni sociali, terrorismo…).

La comunione fraterna tra le diverse confessioni cristiane, si radica nella condivisione dell’ascolto della Parola di Dio, dalla quale attingere sapienza spirituale, per testimoniare una salutare convergenza nel contrastare una criticità altamente cancerogena per l’intero tessuto sociale.

Papa Francesco nell’ Evangelii gaudium afferma che “i segni di divisione tra cristiani in Paesi che già sono lacerati dalla violenza, aggiungono altra violenza da parte di coloro che dovrebbero essere un attivo fermento di pace. Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! (n. 246).

La nostra coscienza di fronte alla violenza
La violenza lacera quotidianamente la società, assedia la nostra vita, interpella la nostra coscienza, sollecita la nostra reazione morale, culturale, politica, religiosa. Odio e amore, violenza e pace: due poli che, pur essendo di segno opposto, non si attraggono mai. La violenza che sembra dominare il mondo, in forma latente è in agguato in ognuno di noi: “…il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai” (Gen 4,7).

La violenza si manifesta nelle più svariate forme e la forza scatenante a volte è la sete di potere, altre volte bisogno di denaro, e altre ancora semplice pazzia, bisogno di sfogare i propri istinti repressi, le proprie angosce.

Anche laddove non sono in corso guerre o rivoluzioni, nelle metropoli industrializzate come nei piccoli centri rurali, la violenza è quotidianamente presente. Impossibile vedere un telegiornale o sfogliare un quotidiano e non apprendere episodi di violenza. Abbiamo paura di camminare per le strade delle nostre città quando è buio; ma anche in pieno giorno la micro delinquenza può colpire la povera vecchietta che ha appena ritirato la pensione o la ragazzina innocente che si lascia avvicinare senza troppe remore.

Tuttavia la violenza spesso dimora già nelle case: genitori inaffidabili che sfogano i loro istinti su creature innocenti e incapaci di ribellarsi. Spesso non si riesce ad arrivare in tempo e a strappare un bambino dall’inferno della sua famiglia.

La cronaca che ogni giorno i media ci propinano, ci parla di aggressioni, di omicidi, di violenze, spesso attribuibili a motivi futili. Per i media (televisione, carta stampata, internet), la violenza quotidiana è occasione di spettacolarizzazione e di lucro. L’approccio dei mezzi di comunicazione di massa alla violenza è ambiguo: da un lato promuovono la discussione e la riflessione, dall’altro indugiano morbosamente sui particolari più macabri e truculenti delle vicende rappresentate.

Violenza e religione
L’urto detestabile della violenza non conosce esclusioni o isole felici: contamina e avvelena il settore politico, sociale, religioso, familiare, culturale, e perfino quello religioso. Radici di violenza le rintracciamo, purtroppo, nella stessa appartenenza religiosa, assunta come motivo di conflitto piuttosto che di incontro. Si produce violenza in nome di Dio! La guerra di religione, come la guerra alla religione, sono due forme dell’identica perversione.

Il recentissimo documento della Commissione teologica internazionale (“Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza”) invita i cristiani a porre l’attenzione – a partire dalla verità di Gesù Cristo – sul rapporto fra rivelazione di Dio e umanesimo non violento. Prendendo anche in esame le cosiddette «pagine difficili» della Scrittura, quelle cioè che proprio per via di parole e gesti violenti «rimangono anche per noi credenti molto impressionanti e molto difficili da decifrare»: dalla distruzione di Sodoma e Gomorra alle piaghe d’Egitto, dalle forme di violenza sacrificale allo sterminio del nemico che segue la vittoria.

Già nell’Antico Testamento «il senso ultimo dell’alleanza di Dio con l’antico popolo rimane la rivelazione della sua misericordia e della sua giustizia». «L’amore della potenza – si legge nel documento – non è mai stata neppure la prima parola di Dio. È stata la parola, invece, della tentazione e del delirio di onnipotenza del primo Adamo, che rimosse l’evidenza della creazione, e contaminò per sempre – ma non insuperabilmente – il linguaggio dell’umana teo-logia».

Tutto questo diventa poi ancora più chiaro nella figura di Gesù che nel disegno della salvezza diviene via per il superamento della violenza: “Gesù disinnesca radicalmente il conflitto violento che egli stesso potrebbe incoraggiare, in difesa dell’autentica rivelazione di Dio”, scrivono i teologi.

Papa Francesco afferma che “non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace”.

E all’Angelus del 18 agosto 2013: “Il Vangelo “non autorizza affatto l’uso della forza per diffondere la fede. E’ proprio il contrario: la vera forza del cristiano è la forza della verità e dell’amore, che comporta rinunciare ad ogni violenza. Fede e violenza sono incompatibili. Gesù è la nostra pace, è riconciliazione, ma questa pace non è la pace dei sepolcri, non è neutralità, non è compromesso a tutti i costi..Seguire Gesù comporta rinunciare al male, all’egoismo e scegliere il bene, la verità, la giustizia, anche quando ciò richiede sacrificio e rinuncia ai propri interessi”.

Homo homini lupus?
A pagare il doloroso prezzo del clima brutale in cui viviamo sono quasi sempre i più deboli : i bambini, i vecchi, gli stranieri, le donne, i poveri. La spregiudicatezza, l’arroganza, la prepotenza, l’affermazione incondizionata di se stessi sembrano oggi diventate delle virtù da ammirare e da coltivare. L’orgoglio individualista e arrogante non nutre nessuna pietà per le vittime, per gli ultimi. Chi non ce la fa, chi è in difficoltà, perde, e merita soltanto il nostro disprezzo o la nostra indifferenza.

Dobbiamo forse rassegnarsi ai rigurgiti riprovevoli dell’antico adagio latino: Homo homini lupus?
L’espressione, il cui precedente più antico si legge nel commediografo latino Plauto, è stata ripresa e discussa nel XVII secolo dal filosofo inglese Thomas Hobbes. Secondo Hobbes, la natura umana è fondamentalmente egoistica, e a determinare le azioni dell’uomo sono soltanto l’istinto di sopravvivenza e quello di sopraffazione. Egli nega che l’uomo possa sentirsi spinto ad avvicinarsi al suo simile in virtù di un amore naturale.

Nello stato di natura, cioè uno stato in cui non esista alcuna legge, ciascun individuo, mosso dal suo più intimo istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei suoi desideri. Ognuno vede nel prossimo un nemico. Da ciò deriva che un tale stato si trovi in una perenne conflittualità interna, in un continuo bellum omnium contra omnes (letteralmente “guerra di tutti contro tutti”), nel quale non esiste il torto o la ragione che solo la legge può distinguere, ma solo il diritto di ciascuno su ogni cosa, anche sulla vita altrui.

La risposta cristiana
L’11 gennaio 1992, Tonino Bello scrive su Avvenire: i pacifisti “non hanno smesso di gridare che la guerra è sempre sporca e non c’è aspersorio, laico o clericale, che possa purificarla, che le armi sono fisiologicamente inadatte a partorire la pace, che non ci sono mai cause di forza maggiore che possano legittimare l’uccisione di una sola vita umana, che la distruzione di tutte le chiese [ciò che stava avvenendo in Jugoslavia] è un delitto che non pareggia la gravità dell’annientamento di un uomo soltanto; che vanno incoraggiate tutte le madri che, in Serbia o in Croazia, implorano i figli a deporre le armi» (Scr. A.B., vol. 1, p. 115). Dunque, la vita di una qualunque persona vale più di una chiesa, come afferma anche la tradizione islamica riguardo alla moschea della Mecca. E le madri che invitano i figli a disertare la guerra sono da lodare”.

Quale risposta cristiana alla violenza? Nelle sue parole di Gesù Cristo e del suo Vangelo troviamo indicate chiaramente le cause della violenza: “Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo” (Mc 7,20-23).

La risposta cristiana alla violenza parte dall’evangelica “metànoia”, ed esige la rieducazione del cuore e della mente, a favore del rispetto inviolabile di ogni persona umana, per l’accesso di ciascuno ai diritti umani più elementari e inalienabili.

La risposta cristiana contro ogni forma di violenza si costruisce, in definitiva, intorno al paradosso della Croce.
La sapientia crucis è scuola di riconciliazione e di pace, è storia di alleanza.

La sapientia crucis bonifica il cuore e lo dispone alla redenzione di ogni forma di ingiustizia e di violenza.

Grazie e buon lavoro a tutti.

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