Omelia per la solennità del Natale

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Un presepe inquietante

Omelia per la solennità del Natale

25 dicembre 2015

E’ il Natale della misericordia! Il Natale è misericordia: “È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11). Plachiamo ogni ansia, tacitiamo ogni rumore, pacifichiamo ogni tensione. Il Natale merita il nostro felice raccoglimento, perché “mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso, la tua parola onnipotente dal cielo…si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio” (Sap 18,14-15).

Il Natale di questo Anno santo annuncia a tutti, giovani e anziani, sani e ammalati, onesti e corruttori, genitori e figli, credenti e praticanti, lavoratori e disoccupati, spensierati e disperati, amici e nemici, poveri e ricchi, che Dio viene per tutti, che la sua misericordia non è solo “eterna” ma è soprattutto “universale”, perché la tenerezza del Padre raggiunge ciascuno, e si prende cura di noi perché abbiamo bisogno di Lui. Il Natale dimostra la condiscendenza di Dio che discende per parlare con un linguaggio di padre e di madre: “Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva d’Israele; io vengo in tuo aiuto, tuo redentore è il Santo d’Israele (Is 41,14).

 

La gioia del perdono

 

Papa Francesco fa riferimento alla domanda che sant’Ambrogio si pone circa la creazione dell’uomo e della donna: “Perché Dio dice “molto buono”? Perché Dio è tanto contento dopo la creazione dell’uomo e della donna?”. Perché alla fine aveva qualcuno da perdonare”. E commenta il Papa: “È bello questo: la gioia di Dio è perdonare, l’essere di Dio è misericordia” (Catechesi del 9 dicembre 2015).

All’inizio della creazione il Signore gioisce dell’armonia dell’intero universo, soprattutto per l’essere umano plasmato a sua immagine e somiglianza. Dio guarda, contempla e gode dell’opera delle sue mani. Lo sguardo iniziale di Dio sulla creazione è felice; i suoi occhi brillano di gioia nel vedere la bontà delle sue opere. La sua bontà si riflette nella bellezza dell’intero universo, ma Dio rimane stupito soprattutto della bellezza ineguagliabile della prima coppia umana e del loro reciproco amore e fecondità.

Dio però si rattrista e rabbrividisce quando si accorge che la condizione primordiale di armonia è stata ferita dall’inganno del serpente, dal veleno del peccato. La disarmonia ha preso il sopravvento, ha modificato drammaticamente i rapporti trasformandoli in vincoli assoggettati al peccato e alla morte. L’uomo ha paura di Dio, ha vergogna di se stesso, non si fida più dell’altro. Il veleno del Male ha intossicato la bontà della Vita.

“Facciamo-ci uomo”

In principio Dio ha pronunciato parole regali per la creatura più amata: “Facciamo l’uomo…”. In seguito al dramma del peccato Dio deve inventare parole nuove per ricostruire la speranza. Dio si obbliga ad una decisione impensabile, a parole indicibili e decide così: “Facciamoci uomo”. Come la prima volta, anche adesso è tutto il mistero della Trinità che si mette in movimento a favore dell’uomo. E’ una questione di amore, è la passione irrefrenabile del Creatore per la sua creatura decaduta e degradata. Dio non si rassegna, non si arresta e non arretra nel suo amore, può solo avanzare e sorprendere: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3, 16). Dio Padre manda nel mondo il Verbo-Dio per manifestare l’amore più grande, quello della Croce. Dio non molla la sua creatura: noi siamo ‘preda’ del suo amore, non della sua violenza o della sua vendetta. Mette in gioco il suo bene più grande, il Figlio. Il Verbo eterno, Parola increata, che “era presso Dio” (pros ton teon) perché “tutto è stato fatto per mezzo di lui” (Gv 1,3), nel Natale si rivela come il Volto rivolto verso l’uomo: “Misericordiae Vultus”, ‘sacramento’ della misericordia di Dio. Colui che dall’eternità “era presso Dio”, entra nel nostro tempo come colui che è “presso l’uomo” (pros ton antropon).

“Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre…Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth… Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore” (Bolla di indizione, 1). “E il Verbo si fece carne”: il Verbo-Dio che era dalla parte di Dio, ora si fa Verbo-Uomo e si sbilancia a favore dell’uomo: “Ecce homo”: in questo Volto noi accogliamo la prova certa della tenerezza del Padre: “Guardando il suo volto che cosa vediamo? Innanzitutto il volto di un Dio ‘svuotato’, di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cfr Fil 2,7). E quel volto ci guarda. Dio diventa sempre più grande di sé stesso abbassandosi. Se non ci abbassiamo non potremo vedere il suo volto. Non vedremo nulla della sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato” (Discorso del Papa al convegno di Firenze).

 

Non addomestichiamo il presepe

Questo volto di misericordia è adagiato nella mangiatoia: dopo aver allestito il presepe, guardiamolo con verità e coraggio. Sì, ci vuole proprio coraggio, perché il presepe non è per gli inetti e i rinunciatari. La nostra sensibilità umana si lasci provocare dalle raffigurazioni presepiali piuttosto che farsi addolcire da sterili sentimentalismi.

Lasciamoci inquietare dal presepe; esso ci provoca ad andare oltre lo sguardo superficiale. Non dobbiamo “addomesticare” il presepe con sensazioni provvisorie e passeggere. Esso deve alimentare umili gesti di misericordia gratuita. La comunità cristiana deve sapere che non si può fare il presepe e non volere che bambini stranieri si iscrivano a scuola. Non si può come parroco fare il presepe e poi dichiarare di non voler ospitare profughi. Non si può difendere il presepe come politici e poi lavorare per ostacolare ogni presenza straniera sul territorio. Il presepe, come la croce, non è semplicemente un segno della fragile umanità, ma anche segno della profezia con cui Dio riscatta il povero, l’emarginato, lo straniero, l’orfano, la vedova, lo zoppo, il cieco e si prende cura anzitutto di essi, mettendoli al primo posto. Il presepe è denuncia dell’arroganza del potere che esclude e crea gli “ultimi”; è rifiuto dell’ossessione del prestigio, della forza e dell’affermazione di privilegi; è provocazione all’umiltà, al disinteresse, alla gratuità dei gesti, al silenzio del servizio che non fa notizia, alla disponibilità che non discrimina. E’ scomodo il presepe, perché turba i nostri sonni fin troppo tranquilli, anche se non meritati dal momento che le nostre parole hanno ferito, i nostri giudizi hanno condannato, le nostre rigidità hanno schiacciato. Lasciamo al presepe la libertà di espressione, la libertà di stampare nel nostro animo ispirazioni reali e concrete di conversione, lasciamo che ci rimproveri tutto quello che di noi non piace a Dio e fa male agli altri. Diamo voce a Giuseppe e a Maria nel loro peregrinare e nel loro emigrare perché perseguitati da chi ha paura di quel presepe. Non addomestichiamo la violenza pacifica e rigeneratrice del presepe, e lasciamo che il Verbo con i suoi vagiti esprima il grido di quanti invocano la misericordia del cuore di Dio.

Sarei oltremodo contento se il presepe conservasse la sua forza dirompente, sovversiva. Davanti al presepe si sta da peccatori come i pastori e non presunti santi; solo così saremo illuminati nella notte delle nostre disgrazie interiori.

Impariamo una volta per tutte la lezione del presepe: “Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13).

+ Gerardo Antonazzo

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