Omelia per la domenica delle Palme del vescovo Gerardo

stemma vescovo sora

DAI RAMI DI PALME ALL’ORTO DEGLI ULIVI

 Omelia per la domenica delle Palme

Sora, chiesa Cattedrale, 29 marzo 2015

La liturgia delle Palme è segnata dal chiaro-oscuro dell’ “osanna” della folla esaltante e del “crucifige” sotto il palazzo di Pilato. Sembra paradossale, ma è inevitabile l’intreccio tra la gloria e la croce non solo nella vita del Messia, ma anche nel destino della Chiesa e di ogni discepolo del Signore. Partecipare oggi di questo rito significa celebrare nella vita il paradosso della sequela di Cristo ed imparare a vivere la speranza soprattutto nel tempo della prova e della desolazione.

Come un eclissi di sole

L’eclissi di sole del 20 marzo scorso è stato un evento astronomico di portata speciale che ha elettrizzato l’attenzione di milioni di persone nel mondo. Il significato di questa celebrazione delle Palme lo possiamo cogliere proprio nel processo di un’eclissi di sole. Infatti il rito inizia con lo splendore del canto e della gioia, accompagnata dalla danza e dalle acclamazioni della folla, per poi volgere progressivamente verso un oscuramente sempre più cupo, quello della “passio Christi” nelle tenebre dell’abbandono, dell’insulto e del disprezzo.

Le parole di introduzione alla benedizione dei ramoscelli recita: “Questa assemblea liturgica è preludio alla Pasqua del Signore. Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione”. Preludio richiama un evento che da lì a poco lascerà il posto a qualcosa di nuovo, un’evoluzione dai risvolti imprevedibili. Certo, nessuno avrebbe potuto immaginare che il preludio dell’Osanna messianico avrebbe preso la piega dell’abbandono drammaticamente descritto nella profezia del Servo sofferente: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. (Is 53, 2-4).

Guardo le nostre mani e vedo due tipi di ramoscelli, quello della palma e quello dell’ulivo. Anche questo è segno del paradosso cristiano: ben presto si passa dal giardino delle palme all’orto degli ulivi. I due rami ci aiutano a considerare la discontinuità e rottura tra due momenti contrastanti. La folla che oggi va incontro per accogliere il Messia, tra qualche giorno andrà in cerca di Gesù per arrestarlo nell’orto del Getsemani, utilizzando il gesto sacro del bacio per il tradimento.

Malattia delle Palme e degli Ulivi

Come si spiega il capovolgimento così sconvolgente della situazione? Come mai la folla cambia repentinamente il suo atteggiamento verso Gesù, passando dall’accoglienza all’ostilità? Consideriamo attentamente quanto sta accadendo sia agli alberi di palma sia agli alberi secolari di ulivo, soprattutto nel Salento. Capiremo anche quello che può accadere alla nostra vita cristiana. La palma è aggredita dal punteruolo rosso, un coleottero curculionide, originario dell’Asia, micidiale parassita di molte specie di palme. E’ possibile trovare  i diversi stadi di sviluppo dell’insetto sulla stessa piante su cui rimane fino alla totale distruzione  facendone assumere il tipico aspetto ad ombrello.

Gli ulivi seccano per una concausa (un “complesso”) di elementi tra i quali vi è un batterio parassita, la “xylella fastidiosa”. Quest’ultimo è il problema più grave. Si tratta di un batterio che non si era mai presentato in Europa e soprattutto non aveva mai attaccato l’olivo ma che in California e in Brasile era stato capace di distruggere migliaia di ettari di vite e agrumi. La specie ritrovata nel Salento ha dovuto subire una mutazione genetica per riuscire a intaccare l’ulivo. Su questa pianta agisce ostruendo i vasi xilematici (che possiamo paragonare alle vene sanguigne degli alberi) e bloccando il passaggio della linfa che alimenta la pianta. Da qui il disseccamento.

Carissimi, le palme e gli ulivi che oggi ritroviamo tra le nostre mani, sono espressione della nostra fede che può facilmente essere attaccata dal punteruolo rosso e dalla xylella, da parassiti che fanno morire la linfa della vita di Cristo in noi. Quali sono i batteri che fanno seccare e inaridire la nostra vita cristiana? La sclerocardia, la durezza del cuore, colpisce molti credenti. Siamo ben coscienti che Dio parla ad un cuore umile e amante del silenzio; ad un cuore scavato dai solchi del limite e della sofferenza. Ci aggredisce il batterio della sordità di fronte alla voce della nostra coscienza, la distrazione e l’indifferenza rispetto alle esigenze delle sue provocazioni. Il nostro è un terreno che fa fatica ad accogliere e a custodire il seme della Parola, il quale non è nelle condizioni di poter fruttificare nel nostro quotidiano agire. In noi è attivo anche il batterio della complicità con il male, con il compromesso, con l’indifferenza di fronte alle miserie dei fratelli. La nostra preghiera è aggredita dal virus delle formule e delle devozioni sterili, piuttosto che sciogliersi in un dialogo personale e confidenziale con Gesù. I sacramenti sono ridotti a “pratiche religiose” invece di viverli come eventi di salvezza e di conversione.

“Rimanete nel mio amore”

E’ evidente, pertanto, che questa celebrazione odierna, perché non si risolva in un bel rito di esaltante godimento emotivo, deve diventare un’autentica celebrazione della vita nuova. Non il rito, ma la celebrazione cambia la vita, a condizione che la celebrazione si faccia decisione di condividere con Gesù il suo destino di gloria e di passione. D’altra parte, nella preghiera di benedizione dei nostri ramoscelli abbiamo chiesto al Signore di “di rimanere uniti a lui, per portare frutti di opere buone”. Per vincere ogni batterio che prosciuga la linfa della grazia di Cristo, dobbiamo intensificare il nostro rapporto e la nostra adesione a Lui. Gesù stesso, nel vangelo di s. Giovanni, descrive e spiega il legame del discepolo con Lui tramite l’allegoria della vite e dei tralci: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,4-5). La sequela di Cristo non consiste in un’operazione concettuale, intellettuale e astratta. E’ vivere di Lui, prendere vita dalla sua linfa perché scorra nei tessuti delle nostre scelte e nei vasi delle nostre relazioni. Solo così i lineamenti della nostra esistenza prenderanno l’impronta del Vangelo, e il Volto del Signore resterà impresso sull’asciugamano del nostro servizio ai fratelli.

+ Gerardo Antonazzo

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