Omelia per Natale 2016

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

Il presepe sfregiato

Omelia per Natale 2016

Il primo presepe della storia, quello di carne, nasce sfregiato “… perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2,7). Non lo vogliono a Scuola; non lo preparano a casa. Le pubbliche istituzioni non ammettono eccezioni: né presepi né crocifissi. Non segni di fede, per assicurare uguale rispetto; di tutela del patrimonio e di identità culturale manco a parlarne, per il dovere di accogliere tutti. Insomma, il presepe è proprio un fastidio, un grosso problema. Per Giuseppe, Maria e il Bambino non si trova un alloggio. Migranti anche loro!

Dio può anche provare ancora a nascere, ma non avrà vita facile. Anzi, più di qualcuno gli darà filo da torcere: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto (Gv 1,11). Ci hanno provato da subito, rendendo difficile la nascita, per poi rendergli “impossibile” la vita.

Il rifiuto della vita

Non di rado i nostri presepi allestiti in piazze e cortili vengono sfregiati;  la scena della “natività” è violentata da bravate e atti insensati. San Giuseppe e la Madonna servono da tiro a segno, la statuetta del bambinello trafugata, il bambinello trovato impiccato…

Ogni forma di sfregio del presepe continua a raccontare il dramma insensato del rifiuto di Dio. La sua “natività” è contestata, vilipesa, offesa  nelle forme più riottose e crudeli: di Dio non abbiamo bisogno! Per molti è preferibile celebrare la sua “morte”, o almeno la sua esclusione da questo mondo, piuttosto che fare festa per la sua nascita. Se non viene, se non c’è, dal momento che oltretutto la sua esistenza è tutta da dimostrare, è meglio per tutti. Una grande immagine giallo-nera  in città ricorda che “dieci milioni di italiani vivono bene senza D”, cioè senza Dio.

Lo sfregio del presepe continua nella storia di umiliazioni e violenze che affliggono milioni di esseri inermi. Lo sfregio assume i tristi contorni dell’abbandono dei poveri, obbligati a un destino di miseria, senza nessuno che li ascolti, scarto di una società arrogante e tristemente destinata al fallimento. Lo sfregio del Bambino continua nella violenza che deturpa l’innocenza, che ruba l’infanzia a molti bambini, costretti in ogni parte del mondo a imbracciare le armi, e ad uccidere per odio e vendetta. Il Bambino non trova alloggio nel cuore di chi  umilia i bambini con mutilazioni e privazioni, depravazioni da parte chi li sfrutta con ogni sorta di delitto. Non può trovare alloggio il Bambino Gesù nell’esistenza negata di bambini sepolti sotto le bombe, sfigurati da terribili esplosioni, vittime innocenti di guerre senza scrupoli,  e di colpevoli senza nomi e senza condanne. Sotto lo sguardo ipocrita del nostro mondo, colpevole di complici silenzi e imperdonabili omissioni! Lo sfregio del presepe si consuma  nell’assurdo mutismo di un pacifismo imborghesito che non osa, e non usa più gridare la denuncia e il dolore per le molte ingiustizie.

Il Bambino Gesù non trova alloggio nelle migliaia di aborti che violano crudelmente il diritto di ogni creatura, quello di nascere: “Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente” (Papa Francesco, Misericordia et misera, n. 12).

Non trova alloggio nella fabbrica di armamenti di ogni genere, causa di terribili e irrimediabili distruzioni. I profeti avevano annunciato che il Messia avrebbe assicurato la giustizia e la pace, ma sia la giustizia sia la pace non producono reddito, quindi né l’una né l’altra interessa ai potenti di turno che non rinunciano ai guadagni legati al commercio delle armi, e non intendono rischiare l’affossamento di loschi commerci e profitti.

Forti della debolezza di Dio

Dunque, rinunciamo al Natale? No, anzi: dinanzi a immani tragedie, di questo Dio-Bambino abbiamo certo bisogno! Sul Bambino di Betlemme vogliamo continuare a scommettere. A Natale la debolezza di Dio ci imbarazza. E’ la grande scommessa della fede: il Bambino di Betlemme, più di ogni altra creatura, è la “carne” della debolezza di Dio, incarna l’amore disarmato, rivela la tenerezza indifesa. Si fa debole, si dona, non si impone, perché Dio parla solo di amore. Perché Dio è soltanto amore.

Il Natale è la forza dell’umiltà con la quale Dio accetta anche le umiliazioni per essere umiliato in ogni uomo e donna sfregiati nella loro dignità e bellezza spirituale. Dio coniuga la sua onnipotenza con la nostra scabrosa debolezza, la sua immutabilità con l’assunzione della nostra miserabile condizione, la sua trascendenza nel volto di ogni povero della storia. L’Infinito è dentro un guscio di umanità, l’Immenso dentro uno spazio piccolo e angusto. Dio ha cancellato ogni distanza, per farsi prossimo ad ogni uomo e samaritano di ogni ferita.

Non è facile ammettere in Dio la scelta della debolezza. La nostra comoda logica preferirebbe forse un Dio potente ad un bambino che ha bisogno di latte, piange, non è indipendente. Dentro questi segni poveri cresce il regno di Dio. Solo un Dio pazzo poteva decidere di farsi debole come ogni uomo. In ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di diventare dèi, di elevarsi al di sopra di tutti: “Salirò in cielo, sopra le stelle di Dio innalzerò il mio trono… mi farò uguale all’Altissimo” (Is 14,13-14). Dio facendosi uomo, si fa servo della nostra miseria, e permette all’uomo di partecipare alla sua divinità e di  elevarsi ad una dignità incomparabile. Dio ha un debole per noi, per questo si fa debole: per amarci da Dio con un cuore umano, e farci partecipi della sua divinità.

La gioia di una Chiesa serva e povera

La nascita di Cristo rende evidente un Dio che sceglie la povertà e la debolezza. E’  un monito a quanti sono tentati di credere nella logica della forza e del potere: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,5-7). L’abbassamento di Cristo diventa regola della Chiesa, umile e debole, povera serva dell’amore e non ricca schiava dei potenti. Nei segni della debolezza umile e silenziosa la Chiesa non ricerca una gloria umana, ma libera l’azione redentrice di Cristo.  “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”: pochi giorni dopo la sua elezione, il 16 marzo 2013, Papa Francesco riproponeva, parlando ai rappresentanti dei media, il tema antico e straordinariamente attuale di una Chiesa vicina alle fasce sociali più emarginate, ai diseredati, agli indigenti, a chi subisce soprusi e ingiustizie. Cristo si fa uomo per piegarsi ai piedi di costoro. Alla Chiesa Gesù non ha offerto un cenacolo alternativo, o un rito sostitutivo della lavanda dei piedi. Riconoscendo Cristo nei poveri, 42 vescovi vollero firmare, 50 anni fa, un documento, che venne sottoscritto da circa 500 vescovi, per mettere in evidenza, nella Chiesa che si rinnovava con la forza del Concilio, l’opzione per i poveri e uno stile di vita sobrio. Il Natale resta per sempre e per tutti la scelta delle periferie del mondo. Non ammette ricorsi.

 

+ Gerardo Antonazzo

 

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