Omelia per il Giubileo della Cultura presso l’Università di Cassino

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

UNIVERSITA’ DI CASSINO E DEL LAZIO MERIDIONALE

GIUBILEO DELLA CULTURA

Cultura e Fede, e Verità dell’Uomo

7 novembre 2016

 

E’ oltremodo illuminante l’affermazione della prima lettura proclamata nella Liturgia della Parola: “La sapienza è splendida e non sfiorisce” (Sap 6). Tale affermazione chiede di riflettere sul valore e sul significato della sapienza, per comprendere come questa si ponga al servizio della verità.

 

Il “Giubileo della cultura”

Prima di addentrarci nella riflessione, mi preme rendere ragione ad una questione preliminare: perché un Giubileo della cultura? Mi pare evidente e ragionevole la stretta connessione tra cultura e misericordia. Sia la cultura che la misericordia si volgono a favore della persona umana. Nel catalogo della catechesi tradizionale, troviamo le prime due opere di misericordia spirituali così formulate: consigliare i dubbiosi e insegnare agli ignoranti. Il Giubileo di oggi celebra qualcosa di più pregnante ancora: attenziona la cultura come atto umano fondamentale, quale significativa “opera di misericordia” verso l’uomo, necessaria al fine di accrescere la sua mai compiuta “umanizzazione” grazie alla progressione continua delle suo conoscenze.  Promuovere la  cultura è esercitare la misericordia, perché fare cultura è servire l’uomo, attraverso la crescita delle sue domande, l’esercizio della sua ragione, il discernimento delle sue ragioni, lo sviluppo delle sue conoscenze, l’acquisizione della “sua” verità (ossia la verità su di lui).

Reciprocità tra cultura e sapienza

A queste istanze di misericordia la cultura può rispondere nella misura in cui si fa “sapienza”. Ritorno, dunque, ben volentieri sulla frase citata all’inizio: “La sapienza è splendida e non sfiorisce”. Il significato antropologico della “cultura” non è distante dal contenuto della “sapienza”. In via generale si può affermare che nell’antico Israele la sapienza non riguardava il semplice sapere, ma era ciò che si acquisiva at­traverso l’educazione, e mirava a una comprensione acuta e profonda del reale, e aveva l’obiettivo di condurre a un “saper fare” per educare ad un “saper vivere”, in cui avevano largo spazio valori morali (come il coraggio e la lealtà), e aspetti più propriamente religiosi come il timor di Dio.

Anche il significato di “cultura” fa appello all’ “umano”, dal momento che non riguarda semplicemente l’acquisizione di nozioni, informazioni, conoscenze. La cultura non è semplice istruzione, anche la più ricca e dotta possibile. E’, piuttosto, un sistema di conoscenze che consente ad un individuo di costruire, attraverso la conoscenza (il saper), il proprio orientamento di vita (il saper vivere). Tutto questo a condizione che la cultura lo renda capace di discernimento: e cioè, abile nell’esaminare i varie problemi, per rispondere con successo ai diversi aspetti della vita quotidiana. Il discernimento, infatti, deve orientare la persona al “saper vivere”. Il significato di “cultura” incrocia quello di “sapienza”, e l’una e l’altra afferiscono al sapere che si fa “sapore” e arte di vivere.

Ricerca della verità

Il Giubileo della cultura “esalta” la ragione umana che non pretende di dare o imporre la verità,  ma che si dona alla verità, perchè si dispone umilmente, e senza arroganza, alla sua ricerca: la verità,  “nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano”. Non siamo noi a “possedere” la verità, ma è la verità che ci possiede e ci conquista:Nessuno può dire: ho la verità, nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei. Solo se ci lasciamo guidare e muovere da lei, rimaniamo in lei, solo se siamo, con lei e in lei, pellegrini della verità, allora è in noi e per noi. Penso che dobbiamo imparare di nuovo questo ‘non-avere-la-verità’…la verità è venuta verso di noi e ci spinge. Dobbiamo imparare a farci muovere da lei, a farci condurre da lei. E allora brillerà di nuovo: se essa stessa ci conduce e ci compenetra (Benedetto XVI, 2 settembre 2012).

A noi spetta cercare la verità, anche attraverso il dubbio epistemologico. Non il dubbio scettico, che è invece un dubitare per dubitare e nel quale il dubbio è fine a sé stesso per la totale sfiducia nelle qualità dell’uomo. Al contrario, quando la ragione pretende di possedere già la verità, senza lasciarsi trovare da essa, in tal caso la nostra è una ragione narcisista o intossicata dall’ideologia, ad essa sottomessa e asservita, e da essa orientata e condizionata.

Nel vangelo Gesù ci mette in guardia da questa deriva quando dice che Dio, il Padre, vela-nasconde la verità “ai sapienti e ai dotti”, e la rivela ai “piccoli”. Ciò significa che un pensiero arrogante e autorefenziale non può mai favorire la ricerca onesta e ragionevole della verità.

Le due ali della verità

La fede poi non inibisce né la ragione né la ricerca della verità, anzi la esalta.

Leopardi scrive nello Zibaldone che “la perfezione della ragione consiste in conoscere la sua propria insufficienza a felicitarci”. E ancora: “La ragione non può essere perfetta se non è relativa all’altra vita”. La ragione al suo apice si apre alla fede, spalanca la sua finestra sul Mistero. In tante pagine dello Zibaldone Leopardi afferma che le sue idee si completano con il cristianesimo, che può spiegare quella parte della “natura delle cose” che nel suo sistema resta “oscura e difficile”, come ad esempio l’origine dell’uomo, la facilità dell’uomo a decadere e a “perdere il suo stato primitivo”.

Il Giubileo della Cultura celebra una fede ragionevole e una ragione capace di fidarsi e di superarsi, per andare oltre. La ricerca della verità esige una fede fondata sulla ragione,  e una ragione che, riconoscendo i propri limiti, sa guardare oltre se stessa e lasciarsi illuminare da una luce misericordiosa e divina che le sta di fronte e le giunge dall’alto.

 

+ Gerardo Antonazzo

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