Omelia per il 50° di sacerdozio di don Aurelio Ricci

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Stare alla presenza del Signore

 Giovanni Incarico, 13 agosto 2017

Cari amici,

celebriamo la gratitudine al Signore per il dono della vocazione e del ministero presbiterale di don Aurelio. Con te e per te, caro don Aurelio, invochiamo una rinnovata effusione dello Spirito perché la grazia di Dio ricolmi ancor più abbondantemente di consolazioni il tuo cuore sacerdotale. La Parola di Dio che stiamo celebrando ci presenta due storie vocazionali particolarmente esemplari: quella di Elia si pone all’origine del profetismo classico in Israele, quella di Pietro a fondamento della comunità cristiana. I due quadri letterari disegnano due percorsi spirituali intensi e paradigmatici.

Il profeta è l’uomo di Dio

Elia è reduce da un successo importante: sul monte Carmelo l’uomo-profeta dimostrato la grandezza e la verità del Dio di Israele, contro la pretesa idolatrica dei falsi profeti di Baal. Ora incombe su Elia la disastrosa minaccia della regina Gezabele che tanto aveva favorito in Israele la diffusione di culti fenici. Minacciato e impaurito, Elia si inoltra nel deserto, per invocare su di sé la morte: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri” (1Re 19, 4). Al grande fervore dell’esperienza del Carmelo, segue la dura stagione dell’incomprensione, della disfatta, del deserto affettivo, della solitudine profetica, della tentazione, del rifiuto della missione, ritenuta umanamente insopportabile. E’ la depressione della fiducia, che inaugura la tentazione del rifugio ingannevole in una sorta di rassegnazione irriducibile. Dio, invece, non si rassegna, e non dà tregua al profeta. Piuttosto, lo incalza: “Àlzati, mangia… Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb” (1Re 19, 8). Elia è messo nelle condizioni di ricominciare, di riprendere in mano la sua storia vocazionale e lasciarsi rimotivare a partire da una forte esperienza di Dio.

Dio, la sua chiamata, le ragioni della sequela, la fede in Lui, le cose che facciamo per Lui, le cose che diciamo di Lui, ciò che riguarda Lui e noi: tutto questo non è mai da ritenersi scontato, messo al sicuro, custodito nel caveau delle nostre certezze. Prima o poi arriva la notte: “Elia entrò in una caverna per passarvi la notte” (v. 9). E non sappiamo cosa fare per superare la notte; essa sembra davvero interminabile, e la luce del nuovo giorno ritarda il suo arrivo, accrescendo la nostra ansia e sfiducia. Nel cuore della notte gli viene rivolta la parola del Signore: “Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore” (v. 11). Il verbo uscire richiama la necessità di un esodo interiore per migrare continuamente dalle nostre logiche umane, con le loro sconfitte, alla presenza del Signore che rischiara le tenebre interiori. Il profeta deve saper stare e rimanere sempre alla presenza del Signore: ” Per la vita del Signore, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia…” (1Re 17, 1). Così è iniziata la missione di Elia: questo è l’atteggiamento con il quale Dio preparare i suoi uomini. Ecco quindi come inizia la scuola del Signore per Elia. Quando Elia si scoraggia, è disperato, è perchè si accorge di non essere rimasto “alla presenza del Signore”. Deve necessariamente recuperare il primato di Dio! Elia recupera la presenza di Dio percependo la delicatezza del mormorio di un vento leggero: si copre il volto e si prostra in adorazione. Ricomincia da lì la sua missione profetica.

Nel vangelo odierno la tempesta del lago rimanda alla tempesta della fede: Pietro, come Elia, è confuso. Il suo entusiasmo nel seguire il Maestro è messo alla prova. Anche per Pietro arriva la notte della paura, dello smarrimento. I venti sono contrari, e Pietro non sa come superare quella maledetta notte di pericolo.  Alla paura della tempesta si aggiunge anche il terrore di un fantasma che appare e scompare sulla cresta del lago in burrasca: “Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: È un fantasma!”. La paura ripiega Pietro su se stesso gettandolo nella confusione generale, tanto da non riconoscere Gesù.  E anche quando si sente dire: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”, non riesce a fidarsi. Vuole una prova certa, lancia la sua sfida, pone condizioni: “Se sei tu…”. Gesù ricambia volentieri la sfida: raccoglie la provocazione e lo invita ad andare verso di Lui, camminando sulle acque. Lascio immaginare cosa avranno pensato gli altri presenti con Pietro sulla barca. Lui inizia a camminare, ma prevale la paura perchè si concentra  nuovamente sul forte vento e su se stesso, piuttosto che fidarsi della parola del Signore. Solo tenendo fisso lo sguardo su Gesù, si possono attraversare le acque agitate della vita e portare a compimento la propria missione.

Caro don Aurelio, nel tuo ministero hai conosciuto come Elia il deserto e la brezza dello Spirito, come Pietro la bonaccia e la tempesta; hai celebrato la tua fede e hai provate anche le debolezza delle tue paure, hai camminato sulla terra ferma ma anche nell’incertezza dei dubbi, delle insicurezze umane e della confusione. Come Elia e Pietro, anche tu hai compreso come si entra nell’agitazione umana quando non camminiamo alla presenza del Signore. La forza del ministero non viene dalle nostre capacità, ma dalla presenza del Signore: sul monte si prostra Elia in adorazione, si prostrano sulla barca i pescatori: “Davvero tu sei Figlio di Dio”. 

La Madonna della Guardia custodisca e vegli sulla tua fede, renda gradita a Dio  la tua gratitudine per il ministero a te affidato, la sua materna intercessione alimenti il desiderio di compiere solo la volontà di Dio.

                + Gerardo Antonazzo

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