XVIII Congresso Nazionale Geriatrico “Dottore Angelico”

Da Ippocrate al Buon Samaritano:

un percorso storico di etica dell’assistenza ai malati.

Luigi Di Cioccio, Gerontologo e Geriatra,

Presidente Emerito Ordine dei Medici di Frosinone,

Direttore f.r. UOC Geriatria Ospedale DEA “S. Scolastica” Cassino,                

Socio Fondatore e Costituente AMGe (Associazione Multidisciplinare di Geriatria), Direttore Medico Scientifico Istituto San Raffaele Cassino

La rilettura della Parabola del Buon Samaritano dell’Evangelista Luca (Lc. 10, 30) mi ha dato lo spunto per un esame comparativo con il nostro Giuramento d’Ippocrate e con i Codici Deontologici della nostra Professione.

Assolvo a questo compito con una duplice emozione: la prima, ricordando il 1994 quando a Montecassino diedi vita alla  “Giornata del Medico”, istituendo il sigillo dell’Ordine ed una manifestazione culturale e di incontro generazionale tra i giovani iscritti all’Albo ed i colleghi al traguardo dei quaranta, cinquanta e sessanta anni.

La seconda emozione è legata alla nomina a Presidente Onorario dell’Ordine dei Medici di Frosinone a cui ho dato il massimo contributo negli anni della mia Presidenza.

Il Giuramento d’Ippocrate mi ha sempre affascinato, dal giorno della mia Laurea presso l’Istituto di Storia della Medicina, con in mano la pergamena con la firma del Preside di Facoltà dell’epoca prof. Cimino. Austere le sue parole, forbito il suo linguaggio, ieratico nei gesti mentre ci ammoniva sui precetti ippocratici quasi a voler trasferire un testimone a noi giovani medici.

Il fascino di quell’effige d’Ippocrate che traspariva dietro al testo in greco mi ha poi stimolato nella ricerca e nello studio del Giuramento, negli anni in cui contribuivo nella FNOMCeO alla stesura di diversi capitoli dei Codici Deontologici del 1995 e del 1998. Nacquero così le due edizioni del mio libro sul Giuramento d’Ippocrate e presto vedrà la luce una nuova edizione aggiornata e rinnovata .

Oggi voglio proporre una lettura comparata tra il Giuramento di Ippocrate e la Parabola del Buon Samaritano.

Lo faccio naturalmente con la massima umiltà, ma con la consapevolezza di un osservatore laico sì, ma forgiato nella cultura cattolica.

Ogni volta che ascoltiamo il Giuramento d’Ippocrate, riviviamo le emozioni dell’alba del nostro ingresso nella professione. Ora rileggiamo  i passi della Parabola del Buon Samaritano, oggetto della mia odierna lettura comparativa.

<<Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.

Per caso un Sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre, dall’altra parte.

Anche un Levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre.

Invece un Samaritano, che era in viaggio lo vide e n’ebbe compassione.

Gli si fece vicino.

Gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino.

Poi caricatolo sopra il suo giumento,

lo portò a una locanda e si prese cura di lui.

Il giorno seguente estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo : <<abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno>>.

Tenete ben a mente i personaggi : il Sacerdote, il Levita, il Samaritano.

Torniamo ora al Giuramento, dove Ippocrate di Cos fissa le regole per un comportamento etico-deontologico del medico che, partendo dalla beneficialità dell’atto medico e della difesa della vita, ne consacra  la sua forza ed attualità attraverso tutte le stagioni culturali di quasi tre millenni.

<<Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea e per tutti gli Dei e le Dee, chiamandoli a testimoni che adempirò secondo le mie forze e il mio giudizio questo giuramento e questo patto scritto. Terrò chi mi ha insegnato quest’ arte in conto di genitore e dividerò con Lui i miei beni, e se avrà bisogno lo metterò a parte dei miei averi in cambio del debito contratto con Lui, e considerò i suoi figli come fratelli, e insegnerò loro quest’arte se vorranno apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti. Metterò a parte dei precetti e degli insegnamenti orali e di tutto ciò che ho appreso i miei figli del mio maestro e i discepoli che avranno sottoscritto il patto e prestato il giuramento medico e nessun altro. Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un’ iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l’aborto. Conserverò pia e pura la mia vita e la mia arte. Non opererò neppure chi soffre di mal della pietra, ma cederò il posto a chi è esperto di questa pratica. In tutte le case che visiterò entrerò per il bene dei malati, astenendomi ad ogni offesa e da ogni danno volontario, e soprattutto da atti sessuali sul corpo delle donne e degli uomini, sia liberi che schiavi. Tutto ciò ch’io vedrò e ascolterò nell’esercizio della mia professione, o anche al di fuori della  professione nei miei contatti con gli uomini, e che non dev’essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa segreta. Se adempirò a questo giuramento e non lo tradirò, possa io godere dei frutti della vita e dell’ arte, stimato in perpetuo da tutti gli uomini; se lo trasgredirò e spergiurerò, possa toccarmi tutto il contrario.>>

Da Platone ad Aristotele, da Aristotele a San Tommaso d’Aquino, nessuno ha mai tentato di mettere una croce o un simbolo cristiano sul frontespizio delle opere di Aristotele che il sommo Teologo Tommaso interpretò come prolegomeni al pensiero cristiano.

Né lo stesso fu fatto con le opere di Cicerone, che Tertulliano chiamava “anima naturaliter christiana”.

Lo ha fatto, invece, nel XII secolo un illuminato amanuense medievale con il testo del Giuramento d’Ippocrate, trascrivendolo in lingua greca con disposizione grafica che forma una croce. Il manoscritto originale si conserva nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

Vade et tu fac similiter”  “ Vai, e anche tu fai altrettanto”

Sono queste le parole, nel Vangelo di Luca,  con cui Gesù conclude la Parabola Buon Samaritano.

Con l’avvento del Cristianesimo si  realizza una vera e propria svolta nella storia dell’uomo che possiamo sintetizzare nell’invito: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.

Ed è così che l’amore verso il prossimo trova un suo qualificato piano di realizzazione nell’aiuto proprio del malato sofferente. Ma chi è il prossimo sofferente?

Per individuarlo teniamo sempre a mente il precetto “Ama il prossimo tuo come te stesso” . Ed allora il prossimo è colui che sta male, che soffre, e chi soffre non è solo il malato nel corpo, ma anche:

  1. il vecchio abbandonato
  2. il senzatetto
  3. il profugo
  4. il rifugiato
  5. il pellegrino

colui insomma che ha bisogno di cure e di conforto. Assisterlo è un’opera di misericordia da cui il credente, in particolar modo, non può esimersi.

Ed è “un’assistenza” che, se per il semplice cittadino è un imperativo morale, per il “religioso” è un preciso obbligo sancito da chiare e definite regole. Per questo nel tempo, fin da San Benedetto con la sua Regola “Ora et Labora” , la Chiesa si è presa cura dell’ assistenza di quanti malati e derelitti avevano bisogno di aiuto.

“Infirmorum cura ante omnia et super omnia adhibenda est” , “Dei malati bisogna avere cura prima di tutto e al di sopra di tutto” , così recita la Regola al Capitolo n. 36.

“Vade et tu fac similiter” : c’è una continuità indiscutibile tra il contenuto del Giuramento d’Ippocrate e quello della morale cristiana.

La continuità è data dal comune impegno nella promozione e difesa della vita, dal suo concepimento al suo naturale tramonto. Una continuità riconosciuta apertamente anche dal Santo Padre Giovanni Paolo II nella Enciclica “Evangelium vitae”, dove parla : “ dell’antico e sempre attuale Giuramento di Ippocrate, secondo il quale ad ogni medico è chiesto di impegnarsi per il rispetto assoluto della vita umana e della sua sacralità.”

Le linee portanti del Giuramento d’Ippocrate sono quattro:

  1. Un profondo rispetto della natura in generale
  2. Una concezione unitaria ed integrale dell’essere umano
  3. Un rigoroso rapporto tra etica personale ed etica professionale
  4. Una visione massimamente partecipa dell’esercizio dell’arte medica.

C’è quindi nel Giuramento d’Ippocrate una chiara propedeutica che introduce alla visione cristiana della vita, la quale sottoscrive, pur arricchendoli, tutti e quattro i presupposti ippocratici.

Ma è soprattutto nella difesa piena e totale della vita che la posizione del grande medico greco si fa predispositiva dell’accettazione della nozione cristiana di vita, quale partecipazione della vita stessa di Dio, proiettata nell’eternità.

E  c’è un punto chiave nel quale il pensiero di Ippocrate e quello cristiano coincidono.

Ed è proprio nell’escludere ogni possibilità di discriminazione all’interno della nozione di vita.

“E non darò a chiunque me lo chieda, un farmaco omicida, né prenderò l’iniziativa di simile suggerimento.”

“ Ne darò ad alcuna donna un pessario abortivo.”

Ippocrate assume la promozione e la difesa della vita come criterio ed indirizzo nell’esercizio della propria professione e come metro della sua onestà e correttezza di medico.

Egli sapeva molto bene che accettare possibili distinzioni, prevedere eccezione a questo principio, sarebbe stato equivalente a renderlo fragile e vulnerabile.

E ne è convinto a tal punto che il suo Giuramento approda ad una visione religiosa della vita. In apertura, infatti, del Giuramento il medico di Cos chiama in causa le divinità appropriate del pantheon greco. Ed in chiusura sembra richiamarsi alle parole iniziali quando arriva ad augurarsi che gli possa capitare ogni male qualora dovesse comportarsi da spergiuro.

C’è un altro aspetto dell’etica ippocratica che trova quasi un risvolto cristiano: la necessità che il medico nell’esercizio della sua professione sia al servizio del malato, non che lo serva per calcolo interessato.

“ Regolerò il regime dei malati a loro vantaggio, secondo il mio potere ed il mio giudizio, e li difenderò contro ogni cosa nociva ed ingiusta.”

“ In qualunque casa io entri, sarà per l’utilità dei malati”

“ Le cose che, nell’esercizio della mia professione o al di fuori di essa, potrò vedere e udire sulla vita degli uomini e che non devono essere divulgate, le tacerò, ritenendole come un segreto dei misteri.”

Ed Ippocrate è tanto convinto di questo da intravedere una ricompensa non utilitaristica quale premio di un corretto esercizio della sua professione.

Se a questo giuramento presterò intatta fede e saprò lealmente osservarlo mi sia data ogni soddisfazione nella vita e nell’arte, e possa avere meritata fama in perpetuo presso gli uomini.”

Un’attenta analisi del Giuramento di Ippocrate consente di pervenire ad una conclusione perentoria : poche categorie professionali possono concordare sui principi essenziali della propria attività come la categoria di coloro che sono al servizio della salute, cioè degli operatori sanitari. Identificando con le rette perpendicolari di una croce la visione cristiana del mondo ed il suo incontro-confronto con la visione o le visioni non cristiane, possiamo immaginare il servizio alla salute e, quindi , alla vita come il punto esatto in cui le due perpendicolari si incontrano.

L’accostamento tra Ippocrate ed il Buon Samaritano, che si riscontra in tutta la storia della Medicina ed in quella dell’assistenza sanitaria nel corso della quale la Chiesa è stata pioniera nei suoi duemila anni di storia, illumina un’altra verità, anch’essa richiamata dal Santo Padre:

Nel servizio a chi soffre è possibile quell’incontro tra tutti gli uomini di buona volontà che in altri campi si è confermato difficile, se non impossibile. Concezioni filosofiche, religiose, politiche, economiche, sociali possono conoscere divergenze insuperabili. Il servizio a chi soffre, invece, andando incontro alla più universale e più sentita delle aspirazioni umane, quella della salvaguardia e difesa della vita, rende possibile quell’ecumenismo delle opere, vero ponte verso la giustizia e la pace”.

Anche se alcuni secoli di storia separano il Giuramento d’Ippocrate (V secolo a.C.) dalla Parabola del Buon Samaritano (Luca 60-70 d.C.), c’è un legame che li unisce in modo indissolubile: il profondo rispetto per la persona umana.

In tutti questi anni, soprattutto nella presenza nei massimi vertici dell’Istituzione Ordinistica Provinciale e Nazionale, e nell’esercizio quarantennale della professione di Medico Geriatra, ho cercato di dimostrare che questo antico documento non è stato soltanto il documento più valido nella storia della Medicina ed il paradigma dell’etica medica, ma anche il modello di tutta l’etica professionale.

Abbiamo dunque analizzato, finora,  i punti di collegamento etico, comportamentale, religioso e di rispetto della persona umana presenti nel  Giuramento d’Ippocrate e nella Parabola del Buon Samaritano. Resta ora da fare una rilettura della Parabola del Buon Samaritano alla luce dei Codici Deontologici attuali, al fine di esaminare il comportamento dell’uomo ed in particolare del medico ed operatore professionale di fronte ad una situazione di urgenza.

Ricordiamo per un attimo i tre personaggi della Parabola: il Sacerdote, il Levita, il Samaritano.

Nella religione ebraica il Sacerdote, diretto discendente di Aronne, è una figura religiosa  preposta all’esercizio del culto ed alla mediazione dei rapporti con la divinità, e che risale in particolare, al servizio sacrificale presso il Tempio di Gerusalemme.

Un Levita è in generale un discendente della tribù di Levi (Es. 6:16-25). Ai Leviti era affidato il compito di sorvegliare il tabernacolo e il Tempio e di coadiuvare il Sacerdote. Oggi parleremo di Diacono. Al tempo di Gesù, l’ostilità tra Giudei e Samaritani è ancora molto viva, ed i Samaritani vengono considerati scismatici, se non veri e propri pagani. Diversamente dalla condotta del Buon Samaritano, quella mostrata dal Sacerdote e dal Levita costituisce oggi un reato di mancata prestazione di soccorso, punito dai moderni codici penali.

  • L’obbligo di soccorrere in caso di urgenza è la prima lezione deontologica della parabola.

Al tempo di Gesù le comunità dei Giudei e dei Samaritani si disprezzavano vivamente per le loro differenze etniche e religiose. La parabola è una eloquente  difesa del superamento, nell’amore evangelico per il prossimo, dell’incomprensione e degli odi ancestrali. Allo stesso modo l’etica professionale ordina agli operatori sanitari di servire con la stessa dedizione e competenza tutti i pazienti, qualunque sia la loro condizione.

  • La seconda lezione deontologica che ci dà il Buon Samaritano è quella di astenerci dall’effettuare discriminazioni tra le persone che assistiamo.

L’Autore del racconto della Parabola è il Medico Luca e possiamo legittimamente immaginare che l’agiografo Luca, mentre scrive il libro ispirato fedelmente a quanto dettato dallo Spirito Santo, non può evitare di continuare ad essere Medico. Proietta inevitabilmente la sua personalità in quello che scrive; proietta se stesso Medico nella figura del Buon Samaritano. Il Buon Samaritano appare come un Buon Medico. Lo mostrano i suoi gesti, il suo cuore umano che si muove a compassione. Scende dalla cavalcatura e, agendo come un buon professionista, esamina le ferite, valuta la situazione clinica, estrae dalla borsa che porta con sé bende, balsamo e vino e presta le prime cure. Pone poi il ferito in condizione di essere trasportato, lo accomoda sul suo cavallo e lo porta fino all’albergo più vicino. Lì lo sistema e si occupa di lui tutto il giorno e forse anche la notte.

  • La storia del Buon Samaritano ci insegna una terza lezione deontologica : quella della benevolenza medica, l’affetto del medico per il ferito e per il malato.

Solo il giorno seguente, confermato il prognostico favorevole, il Buon Samaritano, dopo aver dato all’albergatore istruzioni precise sulle cure da somministrare al ferito, gli anticipa del denaro per le spese immediate e parte, promettendo al paziente che sarebbe tornato a vederlo, e all’albergatore, che gli avrebbe pagato le eventuali spese.

  • Il Buon Samaritano ci dà la quarta lezione deontologica : il dovere supererogatorio di servire gratuitamente il paziente ed anche di aiutarlo generosamente.

Da Ippocrate al Buon Samaritano ed ai Codici Deontologici si delinea così un percorso costante di Etica Medica a difesa della vita del paziente. E tutto ciò è rimasto, cari colleghi, invariato nel tempo, passando dall’Era cosiddetta Paternalistica a quella attuale dell’Alleanza Terapeutica, ma sempre continuando a promuovere il bene supremo della vita del paziente.

In sintesi : assicurare beneficialità nella fiducia del rapporto medico/paziente.

In chiusura, dopo quest’esame comparato, non possiamo non ricordare i grandi principi che guidano l’esercizio attuale della nostra professione di Medici:

  • Il principio della giustizia
  • Il principio della beneficialità e non maleficità
  • Il principio dell’autodeterminazione del paziente

Allo stesso tempo ricordiamo qual è il bene del paziente che il medico deve sempre promuovere:

  • Il bene supremo di difesa della vita
  • Il bene biomedico
  • Il bene del paziente in quanto persona
  • La percezione da parte del paziente del proprio bene

Concludendo: “Vade et tu fac similiter”, “Vai, e anche tu fai altrettanto”. La vita è un valore, un bene non negoziabile. Il Medico e la Medicina hanno inciso nel proprio DNA la difesa e la salvaguardia della vita.

Ed il messaggio per i giovani colleghi che si accingono ad esercitare l’arte antica del grande Ippocrate di Cos, è quello di tenere sempre davanti alla propria mente l’antico Giuramento ed i passi dell’Evangelista Luca, ricordando sempre che tutta la Medicina è Arte e Scienza insieme. L’Arte è patrimonio del singolo , è la sua capacità di relazionarsi, di comunicare, di fare; la Scienza invece è il patrimonio di tutti, perché è la conoscenza dei processi bio-patologici e farmacologici ripetibili sperimentalmente in ogni ambito del nostro pianeta.

L’attività medica è poi un incontro costante, giornaliero tra la fiducia e la coscienza : la fiducia di un uomo segnato dalla sofferenza e dalla malattia e perciò bisognevole; che si affida alla coscienza di un altro uomo il quale si fa carico del suo bisogno, gli va incontro per curarlo, guarirlo quando possibile, assisterlo sempre.

In tutto ciò io vedo una continuità indiscutibile tra il contenuto del Giuramento d’Ippocrate e la Parabola del Buon Samaritano.

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