“Alzati, in fretta!” – Omelia del Vescovo per Don Loreto Castaldi, “Presbitero”

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“Alzati, in fretta!”

Omelia per l’ordinazione presbiterale

don Loreto Castaldi

Santopadre, 29 giugno 2017

Nelle ricorrenza liturgica dei santi Pietro e Paolo la Chiesa celebra la professione della propria fede apostolica e lo slancio evangelizzatore della sua vocazione missionaria, due dimensioni costitutive anche della sequela di ogni discepolo. Infatti Gesù: “Salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (Mc 3,13-14).

La scelta del Maestro, carissimo don Loreto, resta imponderabile e ci coglie sempre di sorpresa. Soprattutto perché non evita la concretezza della nostra “materia prima”, il nostro essere materia grezza, fanghiglia di debolezze e fragilità, poltiglia di miserie e limiti frammisti a sprazzi di luci e a scintille di nobili aspirazioni. La vocazione al presbiterato continua l’opera creazionale del nostro essere “polvere”, raccolta e lavorata dalle mani del Dio Creatore. Perciò non dobbiamo cadere nell’ingannevole illusione che “da preti” la grazia del ministero anestetizzi la nostra inaffidabile dimensione umana. La grazia della chiamata e della sequela di Cristo accadono “dentro” la nostra fragilità. Nessun sacramento è un premio per i buoni, o un podio per i “primi” della classe, per i migliori. Resta un dono di grazia, un chiaro segno di misericordia per i peccatori: “Rendo grazie a colui che mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me…Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io (Tim 1, 12.15). Ogni dono di grazia ci supera enormemente e richiede la risposta della nostra continua conversione, al fine di diventare sempre più idonei e degni del ministero affidato alle nostra povera persona. Si tratta di un processo continuo di trasfigurazione della nostra vita “con la grazia di Cristo”, come nel sacramento del matrimonio. L’ideale del nostro essere prete ci resta sempre davanti: è un progetto sempre da compiere. A noi spetta camminare verso una sempre più completa risposta alla grazia ricevuta.

La storia di Pietro, anche dopo la sua chiamata lungo la riva del lago di Tiberiade, sembra conservare tutti i difetti di sempre relativi al suo temperamento, alle sue abitudini di vita, alla durezza del suo mestiere di pescatore, alle intemperanze di una generosità tempestiva e allo stesso tempo insicura e inaffidabile. Questo dimostra come l’evento della “chiamata” non è l’inizio di un miracolo, ma un cammino di conversione: guai a ritenerci arrivati semplicemente perché ordinati preti! Saremmo gettati nella tentazione della continua ricerca di sicurezze umane, gratificazioni, accomodamenti, sistemazione anche economica, posizioni di prestigio, arroccamento in posizioni di autorità esercitata come accentramento di responsabilità, scippo della comunione fraterna soprattutto nel presbiterio, con il sinistro risultato dell’erosione dell’entusiasmo iniziale e della progressiva riduzione della propria fedeltà all’ideale ministeriale. L’autenticità del nostro essere preti è una scommessa mai vinta, sempre aperta e rischiosa. Pietro ha dovuto fare i conti con le tante prove e sfide difficili, dalle quali non sempre è uscito indenne. Gesù risorto per tre volte sollecita Pietro a dichiarare la sua reale disponibilità a seguirlo definitivamente: “Tu lo sai che ti voglio bene”. Solo ora, dopo tre anni di sequela, Gesù si può

fidare totalmente di lui: “E, detto questo, aggiunse: Seguimi” (Gv 21, 19). Dunque, la provata capacità di seguire veramente il Signore non sembra collocarsi all’inizio della chiamata: l’iniziale desiderio di rispondere a Lui non significa già la capacità stabile e matura di volerGli veramente bene con tutta la nostra esistenza.

Caro don Loreto, oggi tu esprimi l’impegno di donare per sempre la tua vita al Signore: Lui ti consacra con la potenza dello Spirito Santo, riversato su di te con l’imposizione delle nostre mani e la preghiera di ordinazione, per esercitare nel suo Nome il sacro ministero. La tua obbedienza a Lui, riposta e accolta dalle mani e dal cuore del tuo Vescovo, è semplicemente segno di questa tua fedeltà. La fedeltà dell’amore si misura soprattutto nell’obbedienza; non per diventare servili, ma per continuare a servire con un amore non inquinato da interessi o torbidi tornaconti personali, bensì purificato dal desiderio di spendersi per Cristo: “Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario…vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore” (Gv 10,11-13). La fedeltà dell’amore a Cristo è anche il primo sostegno nella stagione delle difficoltà: “L’invio in missione da parte di Gesù non garantisce ai discepoli il successo, così come non li mette al riparo da fallimenti e sofferenze. Essi devono mettere in conto sia la possibilità del rifiuto, sia quella della persecuzione. Questo spaventa un po’, ma è la verità. Il discepolo è chiamato a conformare la propria vita a Cristo, che è stato perseguitato dagli uomini, ha conosciuto il rifiuto, l’abbandono e la morte in croce. Non esiste la missione cristiana all’insegna della tranquillità!” (Angelus del 25 giugno 2017). Dobbiamo considerare queste difficoltà come la possibilità per essere ancora più missionari e per crescere in quella fiducia verso Dio. Caro don Loreto, nella nostra vita di preti dobbiamo vigilare sulla tossicità della mondanità spirituale, la quale consiste nel servirsi delle cose “sacre” non per fare gli interessi di Dio ma per raccogliere consensi e favori umani. Per noi non contano i successi ma la fedeltà a Cristo, riconoscendo in qualunque circostanza, anche le più problematiche, il dono inestimabile di essere suoi discepoli missionari.

Il testo degli Atti degli apostoli ci racconta di Pietro in catene, vigilato a vista, prigioniero per volontà di Erode. C’è una Chiesa che prega per lui: “Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui” (At 5,12). C’è una Chiesa che prega anche per te don Loreto: è la nostra Chiesa qui rappresentata dal Vescovo, dai presbiteri, dai diaconi, dai consacrati, dal fedeli laici. Non puoi e non devi sentirti solo, pur consapevole delle catene pesanti che limitano le molte aspirazioni, e delle prigioni interiori che impediscono la totale libertà del cuore. Il Signore libera i prigionieri (cfr. Sal 145): “Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò…e le catene gli caddero dalle mani” (At 12, 7). Nella presenza dell’angelo dobbiamo riconoscere l’iniziativa di Gesù risorto che chiede a Pietro di seguirlo ancora, ma a precise condizioni: “Alzati, in fretta!…Mettiti la cintura e legati i sandali…Metti il mantello e seguimi” (At 12, 7-8). Come si vede, la liberazione di Pietro viene raccontata seguendo una tipologia esodale. Vari indizi, infatti, rinviano al racconto dell’uscita dall’Egitto, in Es 12: la liberazione ha luogo di notte (Es 12,8); l’angelo ordina di affrettarsi, di mettere la cintura e legare i sandali (Es 12,11); l’espressione “strappare dalla mano di Erode” (At 12, 11) riproduce la formula “strappare dalla mano del faraone” (Es 18,8-10); infine, l’invito “seguimi” dà inizio al cammino dell’esodo, come quello di Mosè con il suo popolo.

Caro Loreto, iniziando oggi il tuo cammino presbiterale, sei posto dal Signore a guida del suo popolo: Lui ti sosterrà nelle prove bibliche del deserto, evocate dalla fame e dalla sete; ti aiuterà a fronteggiare ogni genere di difficoltà, di sfiducia, di solitudine pastorale. Sperimenterai molto concretamente che solo la sua potente azione porterà a compimento il tuo generoso servizio: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2Tim 4, 7). Lui ti sorprenderà ancora, ancora di più a sessant’ anni. Forse oggi vivi lo stesso stupore di Pietro, il

quale “non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo” (At 12, 9). Invece, è realtà ciò che oggi sta succedendo anche nella tua vita; non è una visione: “Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo” (At 12,11). Anche il Rito di ordinazione ti richiama a tale consapevolezza quando ti viene ricordato: “Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore”. Amen.

+ Gerardo Antonazzo

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