FOSSERO TUTTI PROFETI
Inizio ministero pastorale di mons. Ruggero Martini
nella parrocchia-Cattedrale “S. Maria Assunta”,
Sora, 27 settembre 2015
La comunità parrocchiale della chiesa-Cattedrale riceve oggi dal cuore del Vescovo l’inizio del ministero di don Ruggero Martini, in qualità di parroco, e di don Joele Tamiok quale suo collaboratore pastorale. A entrambi il mio più sentito ringraziamento per la docile obbedienza nel servizio della Chiesa diocesana. A tutti voi, Sacerdoti, Autorità, sorelle e fratelli carissimi, il mio invito a riconoscere con la logica della fede i segni concreti dell’amore provvido e premuroso con cui il Signore si prende cura e guida la sua Chiesa, per saper celebrare in questa solenne eucaristia la sincera adesione e collaborazione con l’opera di Dio.
La liturgia della Parola di questa domenica ci istruisce in modo convincente su come adottare uno stile di governo orientato al servizio. Caro don Ruggero, eri presenti ieri sera nella celebrazione eucaristica ad Isola del Liri, e hai condiviso la mia riflessione sulla figura di Mosè, presente in questa domenica nel primo testo della Parola di Dio, del quale ho voluto presentare ieri quattro ritratti appresi dalla sacra Scrittura. Mentre affido anche a te quanto già detto , desidero sviluppare questa sera la mia meditazione sul ministero di Mosè. Nello stesso testo cogliamo un momento critico del suo servizio al popolo incamminato nel deserto. Ma è bene ripartire dall’inizio per capire anche il brano odierno. Il libro dell’Esodo ci presenta la figura di Mosè come il “privilegiato”, perché salvato dalla furia omicida del Faraone rivolta contro i figli maschi degli ebrei. La sua crescita nella corte egiziana gli farà contrarre la sindrome del “primo della classe”. Vizio, questo, che tenderà a conservare nello stile e nelle manifestazioni del suo temperamento. Sarà questo difetto a mettere a repentaglio la sua stessa vita quando, avendo assistito al maltrattamento di un ebreo da parte della guardia egiziana, uccide quest’ultimo, nascondendo il suo corpo nella sabbia. L’orgoglio lo acceca nella mente, la presunzione del “fai da te” gli confonde il cuore, la pretesa delle sue abilità lo debilita. Pretende di fare giustizia di sua iniziativa commettendo un omicidio. La sua prima uscita è stata davvero un fallimento.
Resposanbile della responsabilità di tutti
Anche nella prima lettura di oggi Mosè è tentato di agire come uomo solo al comando. E anche quando si troverà in pieno deserto alla guida delle tribù fuggiasche, sarà la saggezza del suocero, Ietro, a convincerlo di non poter illudersi di essere solo a capo di questa avventura: “Allora il suocero di Mosè, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: «Che cos’è questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera?… Ora ascoltami: sceglierai tra tutto il popolo uomini validi che temono Dio, uomini retti che odiano la venalità, per costituirli sopra di loro come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Mosè diede ascolto alla proposta del suocero e fece quanto gli aveva suggerito” (cfr. Es 18, 14-21).
Nel brano proclamato oggi Dio stesso prende l’iniziativa analoga a quella già sponsorizzata da Ietro. Il Signore scese nella nube e gli parlò: “Il Signore tolse parte dello spirito che era su Mosè e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono (Num 11,25). Dio “toglie” di forza una parte dello spirito della profezia da Mosè, per educarlo, meglio sarebbe dire “obbligarlo”, all’esercizio della corresponsabilità. Mosè capisce la
necessità di condividere la guida e il governo del popolo, perseguendo il coinvolgimento di molti e favorendo la loro partecipazione alla responsabilità del servizio. Caro don Ruggero, oggi la Chiesa ti affida questa comunità perché tu sia educatore e facilitatore della responsabilità di tutti coloro che sono in grado di condividere con te il tuo ministero di guida e pastore. Se farai tutto da solo, potrai dimostrare di essere capace, ma non sarai bravo. E’ bravo chi fa crescere, e sa crescere insieme agli altri e grazie agli altri. Il termine ‘corresponsabilità” contiene il verso ‘rispondere’: essa, infatti, non è una concessione benevola del parroco, ma è la riposta alla vocazione battesimale, per la quale ogni fedele laico è deputato alla partecipazione attiva nella costruzione della comunità cristiana: “All’interno delle comunità della Chiesa -leggiamo nel Decreto sull’apostolato dei laici- la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più raggiungere la sua piena efficacia” (Apostolicam actuositatem, n. 10).
Non è dei nostri
La corresponsabilità deve bocciare ogni forma di privilegi e di esclusioni forzate. Non può conoscere gelosie, faziosità, simpatie e antipatie, muri, confini, limiti imposti. Nella prima lettura e nel vangelo ritroviamo due situazioni analoghe: la fatica di riconoscere i segni di Dio oltre i nostri schemi umani, fino ad impedire e proibire che questi segni di bene accadano. Così Mosè rimprovera Giosuè: ”Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!” (Num 11,29). La gelosia, la maldicenza, il pettegolezzo, il protagonismo, il formalismo, sono virus deleteri per la comunità cristiana, fino a disgregarla. Giovanni riferisce a Gesù di aver impedito ad un tale di compiere un esorcismo “perché non ci seguiva” (Mc 9,38). Appena i discepoli hanno messo fine alle loro dispute su chi di loro sia il più grande, Gesù prende posizione su una loro reazione settaria. Si indigna al vedere che i discepoli volevano impedire ad un tale che non faceva parte del loro gruppo di agire nel suo nome. Due reazione contrapposte: i discepoli costringono quel tale, estraneo, all’inattività pur di difendere e di non rompere l’equilibrio interno al loro gruppo, mentre la reazione di Gesù lo include. Egli dichiara un principio irrinunciabile: non bisogna impedire a nessuno di fare il bene, perché “chi non è contro di noi è per noi” (v. 40). Caro don Ruggero, chi è posto come guida deve vegliare sulle tentazioni di settarismo, di chiusura, di esclusione, di gelosia e di élite. Il pastore non deve lasciarsi condizionare dalle spinte di difesa del ‘potere’, del ‘prestigio’, del proprio ruolo, costruendo muri di difesa per impedire a tanti gli altri di partecipare e di fare del bene. I collaboratori considerati “più stretti”, pure necessari e validi, non possono diventare il gruppo chiuso e blindato “dei nostri”, ma devono essere sempre solleciti e aperti, accogliente in vista di un maggior bene, perché il bene può provenire da chiunque, molto più spesso dalla periferia, in vista di maggiori possibilità di collaborazione nell’opera di evangelizzazione del territorio.
Il pericolo dello scandalo
Riguardo allo scandalo causato dalla mano, dal piede o dall’occhio (vv. 43-47), non possiamo interpretarlo nel senso di colpe morali, ma nella direzione della comunione ecclesiale all’interno della comunità-parrocchia. Le membra citate da Gesù si rifetiscono al corpo umano, e sono indicate cquelle composte in coppia. Questo corpo articolato in diverse membra è la comunità cristiana, dove ognuno deve vivere e agire in comunione e in funzione del bene dell’altro. Le condanne che seguono sottolineano con forza l’importanza della posta in gioco: nessun organo umano, per quanto prezioso, merita di essere conservato se ferisce l’altro organo, e gli impedisce l’ingresso nel regno di Dio. A tale proposito s. Agostino invita anche il pastore a non diventare motivo di scandalo per il greggo con il suo cattivo comportamento: “Una pecora infatti, anche se sana, osservando che il suo pastore abitualmente vive male, se distoglie gli occhi dalla legge del Signore e guarda l’uomo, comincia a dire in cuor suo: Se il mio superiore vive così, chi mi vieta di fare altrettanto? In tal modo il pastore uccide la pecora sana. il pastore, che dinanzi al popolo si comporta male, per quanto sta in lui, uccide colui dal quale viene osservato (Discorso 46,9).
Carissimi, continuate il vostro cammino insieme con il nuovo parroco. Non dimenticate, però, che in quanto comunità parrocchiale “S. Maria Assunta” siete anche la chiesa-Cattedrale del Vescovo e della Diocesi. Per la peculiarità della sua natura, questa comunità dovrà essere di modello nell’azione liturgica e pastorale, nobile negli affetti spirituali che la contraddistinguono, esemplare nello stile ecclesiale dell’obbedienza e della collaborazione con il ministero episcopale.
+ Gerardo Antonazzo