Maria è la soglia che apre al mistero

Quando il mistero abbraccia l’esclusione

 Omelia per la solennità dell’Immacolata

8 dicembre 2017

Maria è immagine e modello della Chiesa: la sua bellezza deve risplendere nella concreta bellezza della Chiesa. Ci sono due punti che la Chiesa deve saper presidiare per poter giocare la partita della sua con­creta bellezza: fare spazio al Mistero, e abitare i luoghi dell’esclusione. In Maria, infatti, il mistero prendere dimora e si rivela nella carne umana di Gesù Cristo; e, allo stesso tempo, in Maria emerge la scelta preferenziale di Dio per i poveri, gli esclusi. L’uno e l’altro aspetto saranno riconosciuti e “cantati” da Maria nell’inno del Magnificat.

Maria è la soglia che apre al mistero

Maria è scelta da Dio per divenire la ‘tenda’ umana del Mistero. Anche la Chiesa deve porsi nella società secolarizzata come la ‘dimora’ di Dio nel mondo che lo ignora, lo rifiuto, lo contesta. I cristiani che appartengono a una società secolarizzata devono oggi saper sostenere la differenza tra le loro scelte di vita, tra i valori del Vangelo e il senso comune dominante (cfr. G. BOSELLI, Liturgia e spiritualità nell’età secolare). Credere in un tempo di indifferenza religiosa significa compiere una scelta pienamente libera ma del tutto priva di un contesto sociale Dio in una società senza Dio, essere la sua epifania in mezzo agli uomini. Se in passato i segni della presenza di Dio si potevano scorgere ovunque, oggi il segno più eloquente e in certe situazioni perfino l’unico che rende Dio presente in un luogo è lo stile di vita del credente. Nell’età secolare, la presenza e la visibilità di Dio nel mondo sono la sua comunità che lo celebra e lo confessa:Voi siete miei testimoni – oracolo del Signore – e io sono Dio” (Is 43,12). Il Midrash Sifre Rabbah  è incredibilmente denso su questo versetto di Isaia: “Ossia, se voi siete miei testimoni io sono Dio, e se voi non siete miei testimoni io, per così dire, non sono Dio”.

L’età secolare ricorda soprattutto che il Dio dei cristiani desidera entrare ed essere presente nella storia dell’umanità in modo precario, discreto, che giunge, nella kénosis del Figlio, ad essere espulso dalla città santa e messo a morte. Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) è stato l’esponente di spicco della teologia della secolarizzazione, nella lettera dal carcere di Tegel, datata 16 luglio 1944, scrive: “Dio si lascia cacciare fuori dal mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo. Ma essere la comunità santa che celebra Dio in un mondo senza Dio, significa pregare, intercedere per il mondo intero, memori dell’esortazione dell’apostolo: Raccomando prima di tutto che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini” (1Tm 2,1).

La liturgia epifania del mistero

Nella società secolarizzata la liturgia confessa che il Dio dei cristiani è pre­sente nella storia non attraverso il braccio politico di un regno, non grazie alla protezione dei potenti di questo mondo, a una legislazione civile e ancor meno grazie a un progetto culturale, ma solo e unicamente grazie alla fede della sua comunità che confessa la sua presenza nella storia.

“La que­stione seria del mistero è una frontiera su cui se­condo me oggi è necessario essere in una città. Nella città dovrebbe esserci almeno un luogo dove ci sia un’incessante e riconoscibile possi­bilità di preghiera. In città, forse in ogni città,  deve esserci un luogo di rife­rimento per i fedeli, al di là di tut­to il resto, dove tutti possano sape­re che lì c’è una finestra aperta su qualcosa che va al di là dell’uomo” (M. Magatti, in Orientamento pastorali, 10-2017). La vita urbana è cambiata, quindi la città deve avere alme­no un punto riconoscibile, visibile, in cui l’esperienza della preghiera sia lì, forte, chiara, presente, aperta a tutti, capace di parlare anche a tut­ti quelli che non vanno in chiesa, che hanno un momento di solitu­dine, di sconforto, e hanno sempli­cemente bisogno di stare in silen­zio. La presenza della preghiera in una città oggi – in un mondo astrat­to –è importante, non si può ba­nalizzare. E’ la presenza del mistero che rende bella Maria, il credente, la Chiesa nella città. 

La scelta preferenziale

Dio, consegnandosi al grembo di una giovane ragazza a Nazareth, decide per una scelta preferenziale, anzi prioritaria, a favore della debolezza umana. Dio abita la periferia, l’esclusione, l’insignificanza, l’anonimato, perché  guardando a Nazaret  punta sui poveri, sugli ultimi, sugli emarginati. Il villaggio di Nazareth è sconosciuto ai più, e quando se ne parla lo si fa con un senso di disprezzato: “Filippo trovò Natanaele e gli disse: Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret. Natanaele gli disse: Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?” (Gv 1,45-46). Si tratta di un piccolo villaggio sconosciuto ai più, sperduto nella regione della Galilea, considerata dai Giudei “impura” e non ortodossa motivo dei suoi rapporti con le regioni pagani circostanti. Nazaret non è mai menzionata nelle Scritture Sante come luogo di origine né del Messia né di altro personaggio importante per la vita del popolo di Dio. Nazareth è periferia, lontana e insignificante rispetto alle attività di ogni genere, sviluppate da centri urbani ben diversi. Anche Maria è una ragazzi conosciuta dagli stessi abitanti del villaggio, per nulla alla ribalta delle cronache.

La Chiesa non può oggi essere ancora così conservatrice, sognando illusoriamente la restau­razione del potere temporale. Ciò che rende bella la Chiesa è la sua capacità di presidiare i luoghi della povertà, della debolezza, dell’esclusione, dell’impotenza, non perché sei buonista, ma perché quello è il punto dove occorre arri­vare per essere concreti. In questo mon­do, che è un caos allo stato puro, la questione si gioca nella concretez­za…. Una Chiesa che non ha la pretesa di sa­perne più di tutti gli altri, ma dimostra di allineare le sue scelte a quelle di Dio e allearsi con le realtà umane più deboli e fragili, agire con i mezzi più precari, e rivestirsi di sobrietà  evangelica. E’ la stoltezza della croce che si rivela l’unica vera potenza che tutto trasfigura, redime e salva. Nella città degli uomini, la Chiesa deve presidiare i luoghi dell’invocazione, della disperazione, dell’attesa rivolta ad una mano tesa, quella dei credenti che riconoscono nel volto concreto del povero la rivelazione della bellezza divina.

                                                                                                     + Gerardo Antonazzo

 

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