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“Non lasciarti cadere le braccia”, omelia per l’inizio del secondo anno del cammino sinodale

NON LASCIARTI CADERE LE BRACCIA

Omelia per l’inizio del secondo anno del cammino sinodale
Mandato agli Animatori dei gruppi sinodali
Cassino-Chiesa Concattedrale, 16 ottobre 2022

 

 

Cari presbiteri, diaconi, operatori pastorali, assemblea santa di Dio,

mentre celebriamo il rendimento di grazie per il percorso compiuto nel primo anno dell’esperienza sinodale, apriamo l’animo al fuoco dello Spirito perché riscaldi il cuore, rinsaldi i vincoli, e illumini la mente. Nessuna tentazione riduca a ‘fuoco di paglia’ quello che Dio ha voluto accendere con l’ardore del suo amore. La sinassi eucaristica è atto princeps del cammino sinodale: evento di straordinaria grazia divina, fondativo della comunione ecclesiale, costitutivo della partecipazione e corresponsabilità alla vita e alla missione della Chiesa. La sinodalità ha la sua fonte e il suo culmine nella celebrazione liturgica dalla quale si lascia plasmare e modellare in modo performativo come cammino ecclesiale. Con la preghiera della Colletta abbiamo chiesto al Signore di compiere un atto straordinario sulla nostra assemblea orante: “Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele”. Se ci apriamo completamente all’azione trasformante del fuoco dello Spirito, il Signore donerà l’audacia di camminare con un cuore generoso e fedele: generoso nell’ascolto, fedele nell’obbedienza a quanto Dio indicherà per il bene della nostra Chiesa particolare.

Il kairòs dell’ascolto

Nella Parola di Dio c’è un filo rosso che unisce le braccia di Mosè elevate al cielo per farsi ascoltare da Dio, l’ascolto della Scrittura per formare “l’uomo di Dio”, il grido della vedova verso il giudice disonesto. La sua insistenza educa ad una preghiera capace di farsi invocazione, anzi gemito insistente per reclamare l’ostinato bisogno di essere ascoltati, nella certezza di strappare l’attenzione di Dio. Nella ricca tradizione biblica la preghiera è il kairos dell’ascolto: c’è un Ascolta Israele (Dt 6,4) di Dio verso l’uomo, e c’è anche un “Ascolta o Dio” da parte dell’uomo: “Dal profondo a te grido Signore; Signore ascolta la mia preghiera” (cfr. Sal 130). Purtroppo l’invocazione del pellegrino verso la Città santa è diventato il “De profundis” dei nostri funerali. Nel vangelo (Lc 18,1-8) l’ostruzionismo del giudice disonesto non scoraggia l’ostinazione della povera vedova. Cede all’insistenza della donna esclusivamente per la ragione più egoistica che si possa pensare: essere lasciato in pace. Fuor di parabola, l’applicazione teologica è interpretata con autorità dal Signore: se un giudice disonesto perché se ne infischia di tutto, finisce per prestare attenzione alla querela ostinata di una persona socialmente debole e per nulla autorevole, quale era una vedova nell’opinione sociale di allora, quanto più Dio non ascolterà la preghiera dei suoi “eletti”, cioè della comunità dei credenti? La finale del brano è inquietante perché pone un interrogativo assai provocatorio: “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Se la preghiera del credente non è audace, capace perfino di sfrontatezza nella relazione con Dio, che cosa potrà sopravvivere della fede al ritorno del Figlio dell’uomo? Tra la preghiera e la fede c’è una connessione di profonda corrispondenza: la forza della preghiera è proporzionale alla radicalità della fede. La preghiera è esercizio di fede. La fede è luce che brilla e illumina, mentre la preghiera è l’olio che alimenta la lampada e le permette di ardere. La preghiera è una relazione di abbandono in Dio, soprattutto quando non veniamo esauditi in ciò che gli chiediamo. Ricorda san Giacomo: “Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni” (Gc 4, 2-3). Il rapporto filiale e confidenziale con Dio non è di tipo commerciale, consumistico, ad uso e consumo delle mie richieste alle quali deve ad ogni costo corrispondere una prestazione da parte di Dio: “Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia” (Sal 131,2). Il Signore è disposto a cedere alle nostre insistenze, ma non ad accontentare in ciò che non ci fa bene: non delude mai l’ascolto, ma potrebbe deludere le nostre attese sbagliate. Non per questo Dio non ci vuole bene; non può che volere sempre e comunque il nostro vero bene. Non sempre lo comprendiamo: “Questa familiarità con Dio vince la paura o il dubbio che la sua volontà non sia per il nostro bene, una tentazione che a volte attraversa i nostri pensieri e rende il cuore inquieto e incerto o amaro” (Papa Francesco, 28 settembre 2022).

 

Lo stupore di un incontro

Il fondamento dell’esperienza cristiana non è una grande idea, “bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Benedetto XVI, Deus caritas est). La preghiera è il respiro che apre all’incontro con Lui, ponendo la nostra persona sotto lo sguardo di Gesù vivo: “Dio è venuto a noi con suo Figlio –che è la sua Parola- per incontrarci … Quando mi incontro con il Signore nella sua Parola, nasce e rinasce un sentimento di stupore… Lo stupore è il profumo di Dio che sta passando in quel momento… E’ vero che la fede nasce dall’ascolto, ma l’incontro comincia con il vedere” (Papa Francesco, Introduzione a La vita di Gesù, di Andrea Tornielli). In questo incontro con il Signore ciò che colpisce è il ripetuto sguardo con cui Gesù plasma in modo nuovo e cambia radicalmente la vita. E’ la forza della Parola pregata che si fa relazione intima: “La forza che, in silenzio e senza clamori cambia il mondo e lo trasforma nel Regno di Dio, è la fede, ed espressione della fede è la preghiera. Quando la preghiera si colma d’amore per Dio, la preghiera si fa perseverante, insistente, diventa un gemito dello spirito, un grido dell’anima che penetra il cuore di Dio” (Benedetto XVI, 21 ottobre 2007). Nell’intimità dell’amicizia divina il credente scruta le scelte evangeliche grazie alle quali elabora le decisioni giuste da assumere, conformi a ciò che Dio attende e desidera: “La preghiera è un aiuto indispensabile per il discernimento spirituale, soprattutto quando coinvolge gli affetti, consentendo di rivolgerci a Dio con semplicità e familiarità, come si parla a un amico. È saper andare oltre i pensieri, entrare in intimità con il Signore, con una spontaneità affettuosa. Il segreto della vita dei santi è la familiarità e confidenza con Dio, che cresce in loro e rende sempre più facile riconoscere quello che a Lui è gradito. La preghiera vera è familiarità e confidenza con Dio…” (Francesco, 28 settembre 2022). L’ascolto della Parola e il discernimento secondo lo Spirito non possono fare a meno della preghiera, per imparare come camminare con fede alla presenza del Signore.

Non lasciarti cadere le braccia

Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Al capo della sinagoga che implora Gesù per la sua figlia in pericolo di morte, il Maestro replica: “Non temere, soltanto abbi fede!” (Mc 5,36). Abbi fede, continua pregare! Non lasciarti mai cadere le braccia. La pedagogia della fede non passa con la sola dottrina, ma attraverso l’amicizia con Dio. Così ne parla la Dei Verbum del Vaticano II: “Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi”. E’ l’intrattenimento del reciproco e amichevole ascolto “perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tim 3,17), come oggi ci ricorda l’apostolo Paolo. Completo e preparato: l’apostolo Paolo, riferendosi al suo discepolo Timoteo, offre il binomio di una buona formazione spirituale, sempre necessaria alla serietà della vita cristiana e allo svolgimento di qualunque ministero ecclesiale. “Il servizio necessita di radicarsi nell’ascolto della parola del Maestro (‘la parte migliore’, Lc 10,42): solo così si potranno intuire le vere attese, le speranze, i bisogni … Si apre il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale, che focalizza l’ambito dei servizi e ministeri ecclesiali, per vincere l’affanno e radicare meglio l’azione nell’ascolto della Parola di Dio e dei fratelli: è questo che può distinguere la diaconia cristiana dall’impegno professionale e umanitario” (CEI, I cantieri di Betania).  Cari amici, se non vogliamo cadere nell’eresia dell’autosufficienza (pelagianesimo) dobbiamo rigenerare la robustezza e la solidità della nostra formazione spirituale. Voi laici, per favore chiedete ai nostri sacerdoti di pregare, permettete loro di pregare di più; noi preti dobbiamo insegnare a pregare ai fedeli laici, perché tutti chiamati a vivere da contemplativi nell’azione quotidiana: con la mente nella Parola, e con il cuore nel Tabernacolo della divina presenza, con le mani operose nel servizio. Scriveva san Charles De Foucauld: “L’ora meglio spesa della nostra vita è quella in cui amiamo di più Gesù … Teniamo senza tregua lo sguardo rivolto all’immenso amore di Dio per noi” (Pensieri e massime). La casa di Betania è il cantiere dell’amicizia, lo sa bene Lazzaro, Marta e Maria. Ciascuno di loro può raccontare un’esperienza personale di ascolto: Lazzaro viene riportato in vita dall’ascolto della voce del Signore; Maria ascolta il Maestro, accoccolata ai suoi piedi; Gesù ascolta il burrascoso richiamo di Marta; Marta ascolta e accoglie in silenzio la reazione di Gesù; Marta e Maria avranno imparato ad ascoltarsi reciprocamente, evitando conflitti e contrapposizioni. Una regola vale per tutti: l’ascolto fa sempre bene, anche quando non ci va bene perchè non piace. Per questo, l’ascolto non deve essere mai ‘addomesticato’. Se Gesù parla di una sola cosa necessaria, e la indica come la ‘parte migliore’, credo sia quella di non perdere mai di vista innanzitutto la relazione prioritaria con Lui a partire dall’ascolto della sua Parola annunciata, compresa e pregata. E’ l’ascolto di Lui che rende contemplativa la nostra azione, e rende operosa la nostra contemplazione. L’uomo di Dio, completo e ben preparato, si forma solo in una esistenza contemplattiva (don T. Bello).

Cari amici,
come Mosè, non lasciamoci cadere le braccia.
Dobbiamo pregare con fede, sempre, senza stancarci mai.
Non lasciamoci cadere le braccia
dinanzi alle dure prove, con la tentazione di tirare i remi in barca.
Non lasciamoci cadere le braccia
quando pensiamo che Dio non voglia ascoltarci,
perché sordo dinanzi al grido dei nostri bisogni.
Non lasciamoci cadere le braccia
se non sempre ci sentiamo ascoltati dalla Chiesa,
quando non troviamo neanche un prete per chiacchierar.
Non lasciamoci cadere le braccia
se il cammino sinodale sembra non produrre nulla,
e dimentichiamo la logica del seme caduto in terra
perché germogli e porti frutto a suo tempo.
Non lasciamoci cadere le braccia
quando ci sembra che tutto sia ormai perduto,
e ci rattristiamo per i fallimenti della Chiesa
invece di scrutare i segni e i germogli di vita nuova.
Non lasciamoci cadere le braccia
se pensiamo di avere fede da vendere,
e poi crollare dinanzi alle nostre responsabilità.
Non lasciamoci cadere le braccia
quando siamo tentati di camminare
piuttosto da soli che male accompagnati,
per evitare di farci carico delle fragilità.
Non lasciamoci cadere le braccia
se ci accorgiamo troppo tardi di avere preso con noi
la lampada della fede senza l’olio della preghiera.
Non lasciamoci cadere le braccia
quando ci siamo illusi di essere noi
a cambiare la Chiesa senza diventare Chiesa. Amen.

                                                                    + Gerardo Antonazzo

 

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