Diocesi Sora Cassino Aquino Pontecorvo
Omelie Vescovo Vescovo Gerardo Antonazzo

“Il Signore è il mio pastore” – Omelia per l’inizio del ministero del parroco don Andrea Pantone (Pontemelfa e Settignano in Atina, 15 ottobre 2023)

IL SIGNORE È IL MIO PASTORE

Omelia per l’inizio del ministero del parroco don Andrea Pantone
Ponte Melfa e Settignano in Atina, 15 ottobre 2023

 

 

Carissimi fedeli,

l’incipit della liturgia della Parola offre un messaggio di felice speranza. Il profeta Isaia annuncia che “preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, dii vini raffinati”. Dio è dentro una storia difficile, ferita, conflittuale per trasfigurarla con la sua azione salvifica; promette di realizzare l’umanamente impossibile!

 

Tutto posso in Lui

Carissimo don Andrea,

ti ringrazio, e con me le comunità parrocchiali di Santa Scolastica e di San Ciro, per la disponibilità ad intraprendere il tuo ministero tra fratelli e sorelle che per te oggi gioiscono, riconoscendo il dono della presenza amorevole e provvida del Signore che si prende cura del suo popolo. Condividi la missione profetica di Isaia: annunciare il banchetto del Signore e invitare a prendere parte alla gioia dell’amore universale di Dio. L’invito è per tutti i popoli e per tutte le nazioni. Per preparare il banchetto dell’amore di Dio, lasciati preparare come pastore e guida, e sostenere come “servo” dell’amore nuziale di Dio: il Signore è il mio pastore! Ti accompagni la preghiera comunitaria (Colletta) che ha introdotto la nostra assemblea alla celebrazione eucaristica: “Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, Signore, perché, sorretti dal tuo paterno aiuto, non ci stanchiamo mai di operare il bene”. Lasciati raggiungere e forgiare dalla grazia, dalla gratuità dell’amore di Gesù buon Pastore, che ti precede nel dono impagabile e impareggiabile della fede e nella chiamata alla sua sequela come discepolo per essere maestro sapiente, testimone coerente della gioia del vangelo del Regno. La fiducia nella sua grazia sia la tua vera forza: “So in chi ho posto la mia fiducia e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato” (1Tm 1,12).

Non manco di nulla

La fiducia è tutta nella bontà del Signore, da Lui impariamo l’arte di guidare e amare la porzione di popolo di Dio che affida alle nostre cure premurose. La conformazione sacramentale a Cristo Pastore bello nel cuore divino e buono negli affetti umani, ti impegna nella dedizione d’amore a tutti. Il legame con il Signore sia davvero l’unica ragione dalla quale fondamentalmente ricevi la necessaria energia per il tuo infaticabile servizio per le comunità a te affidate. Lui solo ti rende veramente libero e capace di amare: “So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza”. Con la stessa fiducia dell’apostolo Paolo confida: Tutto posso in colui che mi dà la forza. Se rimani fedele al suo amore, ti chiederà di condividere per amore la vita delle persone più ferite, dei più poveri soprattutto: anziani, persone sole, famiglie in difficoltà, giovani senza speranza di un futuro abitabile, genitori provati dalla mancanza di lavoro, persone ammalate. Pronto a tutto, sarai servo di tutti, e tutti saprai amare e invitare al banchetto nuziale del Figlio, Gesù Cristo. Se imparerai a capire i poveri, i poveri ti capiranno. E quando i primi invitati, quelli che immaginiamo i più disponibili, non accetteranno il tuo invito, ti rivolgerai soprattutto agli esclusi, i quali passeranno avanti e saranno i primi ad entrare: Venite alle nozze! Ma quelli non se ne curarono … Gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze … Quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il prete non vive di successi umani, di vittorie a tavolino, di palcoscenico, di applausi a scena aperta. Invitare significa soprattutto uscire, per esplorare strade e crocicchi spesso non abitati dal Vangelo, esplorare gli anfratti di ogni esistenza umana disprezzata, abbandonata, debole e delusa. Invitare è andare alla ricerca, perché chi non c’è non tornerà più se non sarai tu a cercarlo e incontrarlo là dove consuma rabbia, delusione, attesa. Se nelle nostre comunità ci si chiede sempre ‘dove sono i giovani’ è perché forse non sappiamo dove siamo noi adulti, rispetto al loro tempo, che deve essere anche il nostro tempo. È dei nostri contemporanei che abbiamo perso le tracce e smarrito il linguaggio. Lontani da casa. Per molti venire con noi non è desiderabile, manca non solo di fattibilità, ma di fascino. Non è forse ‘altrove’ che ci attende il Risorto? Siamo rimasti dentro, quindi indietro. Le persone ‘altrove’ si sentono più compresi. I ritmi del lavoro, della cura di figli e anziani, dell’economia domestica e sociale sono tiratissimi, sono strettissimi e la vita religiosa non è prevista. Questo è un nodo che la parrocchia sembra non riuscire a vedere. Celebrazioni e attività mantengono gli orari e le caratteristiche che avevano già nei primi decenni dopo il Concilio. Uscire è “superare molti, frustranti, e obsoleti automatismi ecclesiali” (S. Massironi). Insomma, invitare significa inventare una relazione possibile!

E’ qui la festa

La festa di nozze è pronta…chiamateli alle nozze. Chiamateli: per invitare alla festa bisogna decidere di andare ai crocicchi delle strade, uscire per ascoltare, accompagnare, intercettare domande, e vivere inquieti nelle inquietudini del mondo, come invita Francesco. La sala del banchetto nuziale si fa costruzione di ambienti in cui le inquietudini sono vissute come comuni, legittime. Allora si può assaporare la gioia, e gustare l’amore di Dio: Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze. Servi per amore, servi dell’amore, servi della nuzialità della Pasqua di Cristo, collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1,24). Uscire, per invitare alla festa altri, diversi dai primi invitati i quali hanno o rifiutato a motivo dei loro affari o hanno addirittura disprezzato anche drasticamente l’invito. E’ qui la festa? Domandiamoci quale festa nelle nostre monotone assemblee domenicali, spesso una somma di individui invece di comunità fraterna e amica, perfetti sconosciuti, vicini di banco ma solo per caso. Non folla, o gente, ma amicizia di volti, voci e storie che rispondono di sé, della propria narrazione, come dono di vita a chi sa ascoltare e accogliere, senza pregiudizi né giudizi. Se altri ci scopriranno testimoni di vera fraternità, la sala del banchetto diventerà un luogo di racconti pasquali, narrazioni di incontri con il Risorto. E’ qui la festa! Beati gli invitati alla cena dell’Agnello: aria, serve aria di gioia e di contentezza, non volti tristi senza fascino. Serve una liturgia che lasci sprigionare una forte illuminazione, una trascendenza che già penetra nelle crepe di un mondo a pezzi. Lo stesso invito al banchetto da tanti non verrà neppure accettato a motivo delle false priorità, di altri interessi, o perché incapaci di staccarsi dall’illusione del saper fare per conto proprio, di sciogliere le false immagini di Dio e della Chiesa e restare imbrigliati nell’accattivante illusione dell’autosufficienza.

                                                                                                                                    + Gerardo Antonazzo

Clicca qui per leggere e scaricare l’omelia in Pdf.