La Città invisibile

Rappresentazione teatrale di detenuti della Casa Circondariale di Cassino

 Venerdì 8 aprile, nella Casa Circondariale di Cassino, si è svolto l’evento finale del laboratorio teatrale del progetto “Parole che aprono gli occhi al mondo” tenuto dall’Associazione “Tutto un altro genere” (che ha realizzato anche un laboratorio di scrittura per i detenuti comuni, conclusosi lo scorso 30 gennaio), lo spettacolo teatrale “La Città invisibile”, tratto dal romanzo “Le città invisibili” di Italo Calvino. E’ il frutto del lungo lavoro cominciato in ottobre e guidato, settimana dopo settimana, nel laboratorio teatrale da Paola Iacobone e Vincenzo Schirru, responsabili del Progetto, con i detenuti della sezione protetta della Casa Circondariale. L’evento si è collocato tra le iniziative intraprese per la ricorrenza della 3ª Giornata Mondiale del Teatro in Carcere ed è stato altresì inserito nel cartellone del Festival di teatro civile Cassino Off.

Cimentarsi con un autore come Calvino non è certamente impresa semplice, ma credere nel progetto e lavorare con convinzione ha dato i suoi risultati, che corrispondono alle finalità stesse del progetto e ne segnano il successo. Il lavoro laboratoriale ha promosso una riflessione personale e di gruppo sulla propria condizione, vissuta attraverso il corpo e la voce, propria e degli altri, mirando al recupero di un’adeguata autostima e di migliori capacità relazionali.

Nove i detenuti che hanno dato vita allo spettacolo, svolto nel cortile della loro sezione, in un magnifico pomeriggio di aprile. Un cortile solitamente spoglio che però, con poche mosse, si è trasformato in palcoscenico, non sopraelevato rispetto al pubblico ma segnalato da una distesa di tappeti, da un sipario sul fondo, alcune sedie bianche e una chitarra appoggiata ad uno sgabello. Poche cose, che hanno funzionato a meraviglia, creando davvero la finzione scenica.

E i ragazzi si sono impegnati con serietà e partecipazione, in parte seguendo il testo di Calvino, in parte interpretandolo e portando avanti la loro riflessione nata da quel testo. Nel suo libro Calvino immagina un dialogo tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, che lo interroga sulle città del suo impero. Marco Polo descrive città reali, immaginarie, frutto della sua fantasia, che colpiscono sempre più il Gran Khan. I nove capitoli del libro, che descrivono ben 55 città – ognuna con un nome di donna – divise in 11 categorie, consentono al lettore, anzi ve lo inducono, di “giocare” con la struttura dell’opera, quasi smontandola e rimontandola a proprio piacere. E’ quella “letteratura combinatoria” che riserva un posto centrale proprio al lettore, che si trova appunto a “giocare” con l’autore, nella ricerca delle combinazioni nascoste nell’opera e nel linguaggio. E così è stato. Il Gran Khan è stato interpretato da un uomo di colore, dal portamento possente e dal costume sfarzoso che, trovata geniale!, parlava con Marco Polo nella sua lingua di origine, ben lontano dal cinese e da ogni lingua asiatica, ma creando un effetto di esotismo molto efficace. E l’interprete traduceva in napoletano, tanto per giocare con il linguaggio! Gli altri uomini, tutti vestiti uguali, pantaloni chiari rimboccati, camicia bianca, piedi scalzi, interpretavano le varie scene, relative alle città di Ersilia, Diomira, Smeraldina e Eutropia. Col sottofondo di una chitarra e con canti e musiche dal vivo molto ben eseguiti. Ed infine una città, Marina, scritta dagli stessi detenuti. Frutto di una scrittura comune davvero suggestiva. “Una poesia”, non a torto, l’aveva chiamata all’inizio, nel presentare la performance, la responsabile Paola Iacobone.

Le città, nel libro di Calvino, diventano simbolo della complessità e del disordine della realtà, e le parole di Marco Polo sono un tentativo di dare un ordine a questo caos. Ciò che Calvino vuole dimostrare, e lo afferma alla fine del libro, è “l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme” e i due modi per non soffrirne: “Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più”. Il secondo modo, “rischioso” e che “esige attenzione e apprendimento continui”, è quello che gli autori-attori hanno fatto proprio, ed hanno scandito tutti, uno alla volta, salendo ognuno sulla sedia: “cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Parole che sono risuonate forti e chiare, convinte e dense di significati e di speranze.

Forti gli applausi che hanno accolto la fatica teatrale di docenti e discenti, occhi lucidi e commozione per un risultato di livello. Lo ha sottolineato la Direttrice dott.ssa Irma Civitareale, che ha osservato come siano i detenuti che fanno riflettere gli operatori e, in fondo, permettono loro di migliorare il proprio lavoro, perché se immettono in ogni recluso il desiderio di un “altrove” migliore dell’attuale, lo aiutano a ricominciare una vita migliore.

«La scelta del testo di Calvino come guida e contenitore del laboratorio teatrale – ha spiegato Paola Iacobone, regista, insieme a Vincenzo Schirru, della pièce – è stata dettata dalla volontà di avere un riferimento forte, ampio, che ci permettesse di viaggiare al suo interno, prendere quanto fosse necessario e costruire dell’altro».

La presidente di “Tutto un altro genere”, la giornalista Manuela Perrone, ha affermato che «l’esperienza teatrale indirizzata ai detenuti protetti, isolati dagli altri in un settore ad hoc, ha voluto sviluppare il lavoro di gruppo e la socializzazione, nonché la riscoperta della sfera emotiva e degli strumenti per gestire le relazioni in modo da rispettare gli altri e se stessi». Più in generale, “Tutto un altro genere” testa sul campo l’efficacia del rafforzamento dei fattori protettivi rispetto al rischio di recidiva, ricercando nella socialità e non nell’isolamento la prevenzione dell’aggressività e della violenza. Non soltanto contro le donne.

Agli attori è stato consegnato l’attestato di partecipazione al laboratorio teatrale; essi hanno voluto ringraziare i responsabili del progetto perché “hanno creduto in loro”. L’attestato è stato consegnato anche a coloro che hanno partecipato ai corsi di Attività Motorie e Lingua Inglese, consegnato dai rispettivi docenti.

Adriana Letta

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