Intervista a Melania Marrocco Vicepresidente Giovani di AC

Raccontaci di te.. come ti chiami, quanti anni hai, dove vivi, che lavoro fai, i tuoi hobby

Mi chiamo Melania Marrocco, ho 30 anni, vivo a Rocca d’Evandro (CE), incantevole paese di confine tra Lazio e Campania. Sono storica dell’arte e guida turistica abilitata in cerca di occupazione stabile (ammesso che esista ancora la stabilità lavorativa!), amo la musica in genere, specie quella classica (inevitabile con un marito pianista!), l’arte per amore e lavoro e la cucina.

Qual è il tuo ruolo in diocesi, da quanti anni rivesti questo incarico

Presto il mio servizio prevalente in Azione Cattolica con l’incarico di Vice presidente per il Settore Giovani dal febbraio 2014. Da qualche mese, con la fusione delle diocesi di Montecassino e Sora-Aquino-Pontecorvo, condivido l’incarico con i mitici Agostino e Valentino, già Vice presidenti per il Settore Giovani della diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo.

Quali le difficoltà più grandi che hai incontrato durante questo periodo e come le hai superate?

Le difficoltà non mancano mai e sono convinta servano a crescere e maturare. Conciliare il servizio in parrocchia e in diocesi con il lavoro e la famiglia è una bella sfida, ma nulla che l’organizzazione e la pazienza di famiglia ed amici non possa risolvere. Nel caso specifico dell’AC, condividere la responsabilità con altre persone, come proprio della struttura associativa,  sicuramente è un aiuto imprescindibile, una vera Grazia e soprattutto la presenza costante del Signore che non ci fa mancare mai il suo supporto.

Cosa pensi dell’unione delle diocesi, cosa hai provato al momento dell’annuncio

La formazione della nuova diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo ha modificato profondamente alcune cose nella vita della nostra comunità diocesana abituata a pensare ed operare su un territorio non molto vasto. Sono fermamente convita che questo nuovo assetto territoriale porterà presto frutti buoni per tutti. Ovviamente il legame con l’Abbazia di Montecassino e con la cultura benedettina è insito nelle nostre vite, nelle nostre tradizioni e mai potrà essere dimenticato. Credo che ora più che mai sia nostra responsabilità trasmettere l’immenso patrimonio culturale benedettino alle nuove generazioni di questa nostra terra per far comprendere la straordinaria ed eccezionale storia del territorio in cui viviamo. Credo che l’unione sia un grande valore aggiunto e una Grazia di Dio che contribuirà a farci crescere e maturare non solo nella fede, una nuova sfida non priva di difficoltà, ma carica di stimoli.

Che prospettive si aprono oggi alla luce dell’unità pastorale

Le prospettive derivanti dall’unità pastorale sono molteplici e tutte fortemente stimolanti. La conoscenza di nuovi territori, nuove tradizioni, nuovi compagni di strada. Un valore aggiunto è sicuramente l’apertura e l’elasticità mentale necessaria nell’operare in un territorio vastissimo spalmato su tre regioni che presenta diversità culturali tutte da conoscere e scoprire. Chiaramente l’espansione territoriale e la fusione di due comunità diocesane sta comportando anche un incremento delle “forze in campo” dal punto di vista pastorale che sicuramente è una grande risorsa da sfruttare al meglio. Il Signore ci ha fatto un grande dono che dobbiamo assolutamente far fruttificare. Siamo stati chiamati ad operare in questo territorio e in questo tempo e non possiamo assolutamente fare passi indietro.

Le trasformazioni in seno alla famiglia stanno prendendo sempre più piede nella nostra società moderna. Cosa pensi di questi cambiamenti, alla luce delle decisioni del Sinodo straordinario sulla famiglia da poco concluso?

Credo che non possiamo non guardare con uno sguardo oggettivo ed analitico ai cambiamenti in seno alla famiglia che la contemporaneità ci propone come, del resto, lo stesso Pontefice per primo ci invita a fare. Ciò comporta una risposta sincera e dinamica nei confronti di tutte le famiglie, anche quelle “ferite” che vivono situazioni di difficoltà e disagio. L’accoglienza, l’ascolto e il supporto devono essere caratteristiche che tutte le comunità parrocchiali dovrebbero mettere a servizio delle famiglie pur senza rinunciare ai valori fondamentali della nostra cultura cristiana che considera la famiglia come nucleo fondamentale della società civile. Il recente Sinodo sulla famiglia ha lanciato input molto interessanti tutti da sviluppare e credo sia importante che i laici diano il loro contributo alla complessa  e delicata riflessione in merito.

Come vedi, aldilà della paura del diverso, la possibilità di vedere in futuro la pacifica convivenza di religioni ed etnie differenti? Una sorta di melting pot (un “crogiuolo di razze”) in cui può perdersi l’identità cristiana?

La vita quotidiana è piena di esempi belli ed arricchenti di integrazione. La diversità etnica e culturale non può e non deve essere un limite alle relazioni e la paura non deve assolutamente prevalere sulla bellezza della conoscenza ed accettazione reciproca. La pacifica convivenza tra etnie è possibile, la pace è possibile ed ognuno di noi deve impegnarsi a costruirla. È pur vero che spesso le differenze sembrano essere insormontabili e la convivenza può diventare difficile. I recenti fatti di Parigi hanno sicuramente aumentato le paure collettive in merito alle differenze culturali e religiose; il dialogo e la conoscenza reciproca devono essere le basi per la costruzione di una società aperta al “diverso” che però non rinunci ai valori che costituiscono le fondamenta della nostra cultura basata innegabilmente sui valori cristiani. Anche in questo ambito i cattolici non possono non contribuire attivamente e quotidianamente alla realizzazione di un’integrazione culturale vera e radicata che non annienti l’identità di ciascuno, ma che la valorizzi. Apertura ed accoglienza non possono essere, però, sinonimo di rinuncia ai valori fondamentali della nostra cultura cristiana. No agli integralismi, sì al dialogo.

 

 

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