Indue me, Domine. L’arte tessile nella liturgia

L’uso delle vesti liturgiche nella Chiesa cattolica deriva dalla propensione di ogni società umana a comunicare attraverso l’abbigliamento ed a manifestare con esso ruoli, missioni e funzioni. Di particolari norme da seguire nelle vesti rituali si ha notizia, tuttavia, solo a partire dal IV secolo, in seguito alla liberalizzazione della religione cristiana da parte di Costantino. Da quel momento gli indumenti sacri, derivati dai vestiari di uso comune, subirono nel tempo varie modifiche, ma le tipologie rimasero sostanzialmente le stesse; le vesti sacre fondamentali, chiamate anche paramenti, furono in passato e sono tutt’ora tre: la pianeta, la tonacella ed il piviale, ciascuna con i propri accessori, il manipolo, la borsa e la stola. La serie completa di questi indumenti costituisce il parato.

La pianeta si deve allo sviluppo di un antico mantello, in latino planeta, di forma circolare con un foro al centro per passarvi la testa, che sostituì nel II secolo la toga romana, diventando un segno distintivo dei senatori. Per rendere più agevole il movimento delle braccia, la pianeta fu progressivamente tagliata e ristretta in corrispondenza del petto, fino ad assumere l’attuale forma di manto aperto totalmente ai lati. In passato si ebbero pianete di vari materiali, ma dalla Controriforma in poi fu obbligatorio realizzarle in seta.

La tonacella o dalmatica, indossata dai diaconi, è una tunica con maniche svasata in fondo, che si assicura al corpo con cordoni e fiocchi, poiché come la pianeta è aperta sui due lati.

Il piviale, dal latino pluviale, era usato in origine come mantello da viaggio per ripararsi dalla pioggia. E’ costituito da un ampio semicerchio di stoffa e si pone sulle spalle allacciandolo all’altezza del petto con fibbie metalliche. Sul retro, in corrispondenza della schiena, è sovrapposto lo scudetto, un rettangolo di stoffa, anticamente di forma ovale, che probabilmente allude al cappuccio del mantello originario.

Più difficile da identificare sono le origini della stola, che troviamo con questo nome verso la fine del VII secolo. In precedenza era chiamata orarium  (da os, oris, bocca), poiché, portata attorno al collo, veniva usata  per detergere la bocca ed il volto dal sudore. Utile ai predicatori ne divenne l’insegna e pertanto fu adottata anche dai ministri della Chiesa che la indossavano in maniera diversa in base alla dignità ecclesiastica.

I colori delle vesti rispondono ad una precisa simbologia che segue il calendario liturgico.

I paramenti sacri obbediscono a prescrizioni rigorose, ma immensa è la gamma dei tessuti utilizzati nel loro confezionamento, e delle tecniche di decorazione impiegate dalle manifatture nel corso dei secoli con un’ attenzione sempre costante agli stili dettati dalle arti maggiori.

Qui si riportano tre manufatti appartenenti al ricco patrimonio tessile della Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, come esempi delle tre tipologie di indumenti, della varietà degli stili e  soprattutto dell’amore per il bello e della lode a Dio, che umili maestranze realizzarono, nel silenzio dei chiostri monastici o in laboratori nascosti, ma operosi, per la dignità della liturgia e lo splendore dell’arte. (Vincenzo Tavernese)

Il primo è una pianeta del XVII secolo, ricamata con ampie volute di foglie d’acanto, che producono e inglobano grandi fiori, snodandosi in verticale ai lati della colonna, dove tulipani, peonie e fiori a cinque petali si uniscono a formare un candelabro. Il ricamo è eseguito in seta policroma; nel Seicento, infatti, ancora non si era affermato l’uso dell’oro, che sarà, invece, una caratteristica degli sfarzosi paramenti settecenteschi. Il disegno si inserisce nella produzione tessile tipicamente secentesca che ai soggetti figurati del secolo precedente preferisce la rappresentazione dettagliata di diverse tipologie di fiori, attinte dai numerosi erbari diffusi in quel periodo. Ispirandosi alla contemporanea produzione di stoffe e ricami, la decorazione degli indumenti sacri abbandona ogni riferimento simbolico e religioso, mentre il nuovo spirito del secolo, dinamico e animato, informa le strutture compositive dei motivi naturalistici di grandi dimensioni, che si amplificano ancora di più sviluppandosi verso l’alto e in maniera speculare attorno ad un’asse centrale. La decorazione è vivacizzata da forti contrasti cromatici e da trapassi non gradualmente sfumati, ma netti e ben definiti. All’interno la pianeta è rifinita con galloni in filo d’oro coevi, mentre sull’orlo e sulla scollatura sono stati applicati in epoca posteriore galloni in filo d’oro e di seta decorati a spina di pesce.

Il secondo paramento è una tonacella risalente al XVIII secolo decorata interamente a filo d’oro. Il ricamo ha un’impostazione simmetrica e uno sviluppo verticale costituito da foglie di acanto che si innalzano in volute da un motivo a baldacchino, producendo rami fioriti e tralci con grappoli d’uva, pampini e viticci. Le volute si riuniscono al centro incorniciando un fascio di spighe innestato su una cartouche decorata con paillettes di ispirazione rococò. A partire dal XVIII secolo la presenza dell’uva e delle spighe, che alludono all’Eucaristia, ritorna spesso nella decorazione dei paramenti che in questo modo si arricchisce di significati simbolici, trascendendo la pura rappresentazione naturalistica ispirata ai ricami contemporanei.

L’ultimo manufatto è un piviale in seta bianca ricamato in seta policroma, oro filato e laminetta d’oro. Qui il ricamo, che sembra snodarsi libero sulla superficie, in realtà si dispone simmetricamente ai lati dello scudetto, con piccoli grappoli d’uva, cartouches decorate da paillettes, e fiorellini rosa e azzurri sorretti da esili steli dorati. Il paramento si può datare dopo la seconda decade del XVIII secolo, quando tra le forme astratte, sempre realizzate in oro e argento, riappaiono motivi floreali in sete policrome. In particolare, per le delicate sfumature delle corolle, l’ariosità del disegno e l’andamento lieve e sinuoso degli steli e delle volute fogliacee, il ricamo si inserisce pienamente nella produzione settecentesca di più spiccato stampo rococò. Il piviale è rifinito da un gallone a doppio corpo in filo d’oro e di seta e conserva l’originale fodera in ermisino su cui è stata applicata in epoca posteriore un tessuto in seta rosso di rinforzo.

Romina Rea

BIBLIOGRAFIA: V. Tavernese, R. Rea [a cura di], Splendori del passato nella liturgia, Pontecorvo, 2008

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Categorie: Tracce: arte & cultura

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