Il grido e la preghiera di un’intera comunità

“Matteo, dono di Dio, questo significa il tuo nome, Matteo, prega con noi e per noi”

Le strade di S. Angelo in Theodice sono piene di manifesti, soprattutto il percorso che va dalla casa del piccolo Matteo, di cui oggi, domenica 5 giugno, si celebra il funerale, alla chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista. Ci sono quelli degli amici e colleghi del papà Marco Melaragni, che esprimono vicinanza e partecipazione, ce n’è uno particolarmente significativo che porta la scritta a caratteri cubitali, rallegrata da un angioletto e un mazzolino di fiori: “Ciao, Matteo! Resterai sempre nel nostro cuore. La Comunità Santangelese“. Nella sua semplicità dice di un affetto sconfinato e di una condivisione profonda e sincera di un dolore senza misura. E c’è il manifesto della famiglia, che annuncia che il 30 maggio in Recife (Brasile) è venuto a mancare all’affetto dei suoi cari, all’età di 4 anni, Matteo Melaragni e rende noti giorno ed ora del funerale. E lì, in alto a destra, c’è la sua foto, un visetto delicato, intelligente e simpatico, con due occhi che sembrano scrutarti e interrogarti fin dentro le profondità dell’animo.

Ci sono anche cartelli colorati e scritte a lui rivolte che lo invitano a “volare in alto” e lo chiamano “Supereroe”, perché lui, come tantissimi altri bambini, amava tanto i Supereroi dotati di poteri sovrumani come Superman, Spider-Man… Qualcuno addirittura ne indossa il colorato costume, un tentativo quasi ingenuo di far cosa gradita a Matteo, di farlo sentire vivo in mezzo alla comunità, di poter giocare ancora con lui come prima, anche se Matteo, ormai, non ha più bisogno di miti e favole perché è nella luce e nella verità di Dio, che onnipotente è davvero.

Ci sono palloncini e fiori di color arancione, la chiesa ne è piena, moltissime le persone che indossano la maglietta bianca con la scritta arancione “Ciao Matteo”. Sembra una festa, ma tutto questo addobbo, fatto – si intuisce subito – con un amore immenso e corale, stride terribilmente con il dolore che si legge sul viso di tutti i presenti, un dolore terribile, di fronte a cui ci si sente disarmati e impotenti a contenerlo.

In chiesa, a celebrare, c’è il parroco Don Nello Crescenzi e con lui sull’altare il vice parroco Don Juan Granados e Don Luigi D’Elia, della vicina parrocchia di S. Maria della Valle. Non certo facile trovare le parole giuste. Ma Don Nello fa ricorso alla fede, naturalmente, e opportunamente anche alla letteratura, ricordando un grande poeta – Giuseppe Ungaretti –  che provò lo stesso dolore anche lui, quando perse un figlioletto di 9 anni, Antonietto, volato in cielo proprio in Brasile. Legge alcuni versi di “Gridasti: soffoco“, toccanti. «… No, per sempre / sei animo della mia anima, e la liberi. / Ora meglio la liberi / che non sapesse il tuo sorriso vivo: / provala ancora, accrescile la forza, / se vuoi – sino a te, caro! – che m’innalzi / dove il vivere è calma, è senza morte».
Poi “Fratelli e sorelle – dice – cari Marco e Roberta, insieme con voi chiediamo aiuto a Dio perché da soli non ce la possiamo fare. L’abbiamo sperimentato in questi giorni e oggi questa nostra richiesta di aiuto diventa il grido e la preghiera di un’intera comunità, la nostra comunità di Sant’Angelo che ha chiesto e chiede a Dio di venirci incontro. E il Signore ci è venuto incontro con il Vangelo di questa domenica, un segno della sua vicinanza. Gesù, al vedere tanta gente che piange per la morte di un bambino, è preso da grande compassione, non lascia sola questa mamma nel suo dolore. Si commuove, le parla, si avvicina, addirittura restituisce la vita al bambino. Volesse il cielo – ha aggiunto – che noi potessimo vedere anche oggi questo miracolo per Matteo, ma ciò che davvero ci consola è questa vicinanza di Gesù, che non è indifferente, ma partecipa, comprende, consola, condivide. Questo piccolo miracolo possiamo farlo anche noi, il miracolo della commozione, della vicinanza, dell’affetto, della preghiera condivisa, del dolore partecipato. Dio ha già dato a Matteo ciò che attende tutti noi: il Paradiso, dove il figlio di Marco e Roberta, figlio, fratello e nipote di tutti noi gioca con gli angeli del Paradiso, supereroi della corte celeste”.

Il celebrante ha poi ancora caldamente consigliato di chiedere aiuto a Dio “perché da soli non possiamo farcela” e ha pregato: “Aiutaci, Signore, a non cadere nella tentazione di crederti o crederci responsabili della morte di Matteo. Salvaci dal pericolo di perdere la fede e la speranza, ma soprattutto donaci la forza di continuare a vivere e a pregare”. E ai due affranti genitori ha poi con saggezza raccomandato: “Non cadete nella trappola dei sensi di colpa, non cercate un capro espiatorio, non chiudetevi nella solitudine, ma appoggiatevi a chi vi vuole bene. Confidate nell’amore dei vostri familiari, dei vostri amici, di questa comunità che in questi giorni ha dato prova di comunione e di unità. Appoggiatevi soprattutto alla nostra preghiera che dal giorno che Matteo è volato in cielo, ininterrottamente si è alzata verso il cuore di Dio come richiesta di aiuto. Lui che ha permesso una prova così grande non vi lascerà soli: abbiate la forza di non ripiegarvi sulla vostra angoscia. Matteo, dono di Dio, questo significa il tuo nome, Matteo, prega con noi e per noi”.

Alla fine, ha affidato un ultimo messaggio: alla mamma Roberta di essere sempre felice, perché hanno raccontato che Matteo tutti i giorni le chiedeva se era felice e aggiungeva: “Mamma, promettimi che sarai sempre felice!”. E al papà Marco di sentirsi onorato di essere stato il papà di un bimbo che già parla con Dio!

Adriana Letta

Foto di Alberto Ceccon

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