Conosciamoci: Mauro Bucci

Raccontaci di te.. come ti chiami, quanti anni hai, dove vivi, che lavoro fai, i tuoi hobby

Mi chiamo Mauro Bucci  vivo a San Vittore del Lazio, un piccolo comune all’estremo sud del Lazio ai confini con la Campania. Lavoro in un’azienda di Credito dove mi occupo di contabilità e bilancio. Sono una persona estroversa e dinamica cui piace  mettersi sempre in discussione il che mi porta ad essere sempre impegnato in  diversi fronti. Dopo aver assolto i miei obblighi lavorativi e di padre, di tempo libero me ne resta pochissimo. Tuttavia riesco sempre a ritagliarmi dei momenti da trascorrere in allegria con gli amici o per fare escursioni immerso nella natura.

Qual è il tuo ruolo in diocesi?

Nella Diocesi ricopro il ruolo di Presidente dell’UNITALSI della ex-diocesi di Montecassino.

Da quanti anni rivesti questo incarico?

Ricopro questo ruolo da tre anni esattamente da gennaio 2011 quando, per la prima volta, dopo oltre venti anni di volontariato in questa associazione, sono stato scelto come guida dell’associazione.

Quali le difficoltà più grandi che hai incontrato durante questo periodo e come le hai superate?

In questi tre anni le difficoltà sono state molteplici prima fra tutti lo scetticismo delle famiglie dei disabili. Non è stato sempre facile avvicinarci a loro ma soprattutto parlare loro del Vangelo. Spesso è difficile parlare della gioia del Risorto a persone provate dal dolore, in contesti dove la malattia viene vissuta come una punizione divina. Tuttavia, proprio in queste situazioni ho sperimentato maggiormente l’intervento Divino. Vedere oggi quelle persone ieri tanto diffidenti partecipare con fede ai nostri pellegrinaggi o alle varie celebrazioni liturgiche diocesane ripaga di tutte le difficoltà incontrate. Sentire un mamma di un ragazzo disabile dalla nascita esprimere parole di ringraziamento verso Dio per aver incontrato l’UNITALSI quale scoglio di salvezza nelle mille difficoltà quotidiane riempie il cuore di gioia.

Cosa pensi dell’unione delle diocesi, cosa hai provato al momento dell’annuncio?

Dopo un primo momento di perplessità, dettata più che altro da un sentimento affettivo verso l’Abbazia, oggi vedo nell’unione delle Diocesi un preciso disegno di Dio. Una meravigliosa occasione di confronto e di crescita nel cammino comune, un allargarsi all’altro alla luce della stessa fede

Che prospettive si aprono oggi alla luce dell’unità pastorale?

Alla luce dell’Unità Pastorale ci viene offerta un’opportunità irripetibile di confronto costruttivo tra due realtà pastorali diverse. Una sorte di recipiente dove ognuno riversa la propria esperienza e dal quale ciascuno può attingere l’esperienza dell’altro e trarne insegnamento per il bene della Chiesa pellegrina sulla terra.

Quali possono esserne i pregi e i difetti, punti di forza e di debolezza, inizia ora un cammino di scoperta, di conoscenza, la bellezza di incontrare nuovi volti…

Dipende da ognuno di noi. Anche i punti di debolezza possono essere trasformati in occasioni di crescita nello scambio reciproco di esperienze vissute nell’impegno ecclesiale locale e diocesano. A tal proposito, in occasione del convegno diocesano dei catechisti, ho sperimentato la ricchezza del condividere esperienze che, seppur provenienti da culture diverse, arricchiscono il nostro bagaglio culturale di laici impegnati.

Le trasformazioni in seno alla famiglia stanno prendendo sempre più piede nella nostra società moderna. Cosa pensi di questi cambiamenti, alla luce delle decisioni del Sinodo straordinario sulla famiglia da poco concluso?

Negli ultimi 40 anni, si è legiferato su temi come  divorzio, aborto, riconoscimento delle coppie di fatto, … è una escalation che va in un’unica direzione:  la disgregazione della famiglia naturale, stabile e formata da un padre, una madre e dei figli. Stiamo assistendo giorno dopo giorno alla disgregazione della famiglia intesa come perno centrale della società dove ogni membro pensa ed agisce per il bene comune e l’affermazione della famiglia intesa come gruppo di singoli dove ognuno pensa al bene proprio. Si sta passando ogni limite. L’uomo è arrivato a tal punto, additandosi come il dio di se stesso, da ritenere come una sua prerogativa anche quella di scegliere il proprio sesso, dimenticando che nessuno nasce  per volontà propria ma per un progetto molto più ambizioso. Di contro, però, vi sono ancora un resto di famiglie cristiane, famiglie numerose, famiglie “tradizionali” che continuano, nel silenzio, a istruire ed educare i propri figli, nonostante tutto e tutti, ad accudire i propri anziani, a imparare, in quella battaglia che è la vita, ad amarsi l’un l’altro sempre più e sempre meglio. Mi auguro che questo “resto”  possa, un giorno, illuminare con la sua bellezza tutta l’umanità!

Come vedi, aldilà della paura del diverso, la possibilità di vedere in futuro la pacifica convivenza di religioni ed etnie differenti? Una sorta di melting pot (un “crogiuolo di razze”) in cui può perdersi l’identità cristiana?

La pacifica convivenza di religioni ed etnie differenti se da una parte mi spaventa in quanto potrebbe in qualche modo oscurare l’identità cristiana, dall’altra la vedo come un’occasione per ampliare la conoscenza dell’altro pur restando ognuno nella propria identità. Credo, quindi,  che la convivenza tra “diversi” per etnia e religioni sia possibile solo nel rispetto reciproco delle proprie tradizioni e del proprio credo.

Si può pensare ad una interazione giovanile che consideri la difficile situazione lavorativa e si metta in moto un accordo attraverso fondi con chi uscito dall’università con una laurea non sappia dove è come lavorare? Parliamo anche di immigrati e delle connessioni lavorative con l’estero.. ci possono essere possibilità?

Un progetto del genere potrebbe sopperire le lacune delle istituzioni non sempre vicine alle esigenze dei giovani.

La diocesi ora conta ancora più fabbriche e aziende, è auspicabile una pastorale del lavoro?

E’ auspicabile una pastorale del lavoro purché sia una “pastorale vissuta”  nel senso di una pastorale presente sui luoghi di lavoro.

A Cassino la Caritas sta seguendo la difficile situazione del carcere e la riappropriazione dell’identità umana dei carcerati, come amplificare questo servizio?

Da sempre la Caritas di Cassino ha seguito con particolare attenzione la situazione non solo dei carcerati, ma anche delle loro famiglie. Un impegno non sempre facile considerato il delicato ambito di azione. Ma proprio in considerazione di ciò e alla luce dell’ampliamento territoriale della diocesi, ritengo che tale azione vada  divulgata coinvolgendo tutte le associazioni ecclesiali sì che ognuna possa, nella propria specificità pastorale, apportare il proprio fattivo contributo.

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