Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce

XXVIII Domenica del tempo Ordinario, Anno C

Ciò che leggiamo oggi nel Vangelo dovrebbe ispirarci un profondo spirito di gratitudine verso il Signore che è il datore della vita e di ogni bene. Da sempre il Signore ci ricolma di benefici eppure non riusciamo ad accorgercene e anche quando riceviamo un grande beneficio, superiore alle nostre forze, ci dimentichiamo di Lui e diamo il merito del nostro bene al caso o alle nostre forze.

            In realtà tutto è predisposto da Dio per la nostra salvezza. Tutto è predisposto perché lo lodiamo in vista della partecipazione alla sua lode eterna nel cielo. Anche la malattia e la morte possono diventare occasioni di lode verso il Signore. I dieci lebbrosi, condannati dalla comunità umana a stare ai margini, già socialmente e spiritualmente morti, si rivolgono al Signore Gesù nella speranza suprema di un miracolo.

            Gesù è talmente buono che compie pure il miracolo della carne guarita … ma il vero miracolo, la fede, la gratitudine, la sequela del Signore, non è avvenuto.  I 9/10 dei lebbrosi, guariti nel corpo, continuano ad essere lebbrosi nel cuore. A che serve la loro guarigione se la salute eterna, la sequela di Cristo, è da loro rigettata?

            Il mondo moderno vive precisamente questo tipo di apostasia e di auto-condanna. Lo spasimo per la cura del corpo cela immancabilmente la trascuratezza per la salute dell’anima. Le leggi tutte orientate alla tutela dei “diritti individuali” perdono di vista il “bene comune”, che è quello eterno della comune salvezza.

            I nove su dieci lebbrosi che non ringraziano sembrano una proporzione alta di umanità che finge di seguire il Signore, o meglio, pensa di seguirlo a suo modo nell’intento di ricevere benefici materiali e quando si tratta di esprimere i valori della lode, della sequela, della disponibilità alla sua volontà, subito si ritira. Crediamo in Dio nella misura in cui Egli realizza i nostri bisogni e desideri mondani.

            Gesù con enfasi sottolinea che tra i dieci lebbrosi guariti si trova solo uno straniero che è venuto a render gloria a Dio, a rendere il ringraziamento dovuto per il beneficio ricevuto. Gli altri dove sono? Dove sono? Lontani da Dio e dal retto pensiero sulla vita e sulla storia! Gesù è il Signore della storia e non ve ne sono altri. Dunque la vita deve essere orientata a Lui. Non è un’opzione che serve temporaneamente alla mia vita. Né è un mezzo di cui servirmi per stare bene. Se fosse così l’uomo solo sarebbe al centro del mondo, di ogni interesse e di ogni realtà.

            Invece l’uomo è corona della creazione, l’anello più alto che deve dare gloria a Dio elevandosi verso il cielo: ed una volta raggiunta la meta, che riceveranno? Saranno saziati dell’abbondanza della tua casa e li disseterai al torrente delle tue delizie. Al riguardo, nessuno vada col pensiero al piacere carnale: dalla sorgente invisibile deriva tutt’altro genere di godimento invisibile (S. Agostino, Discorso 306a,1). La tua fede ti ha salvato: parola di Gesù all’unico lebbroso grato. Segno che gli altri lebbrosi, pur godendo la salute del corpo, non sono guariti, non sono salvi. Cerchiamo la fede e saremo salvati!

            Nella seconda lettura, Paolo dà prova soprannaturale di fede, pur essendo in catene continua a professare la fede: La parola di Dio non è incatenata. Egli porta le catene come un malfattore, ma ciò non gli impedisce di lodare Dio e di godere con Lui: se con Lui perseveriamo, con Lui anche regneremo.

            Naaman il Siro vorrebbe ricolmare il profeta Eliseo di ogni bene per la salvezza ritrovata. Il profeta rifiuta e questo dà occasione al capo dell’esercito assiro di professare la sua fede e manifestare il suo culto verso l’unico Dio: sia permesso almeno al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore.

            Un pagano capisce che per rendere culto a Dio bisogna fare atti concreti d’amore che abbiano la loro ragione spirituale. E’ il significato della liturgia: non uno spettacolo per l’occhio ma un movimento ricco d’interiorità che offra a Dio il ringraziamento, l’atto di culto gradito.

            Nella santissima Eucaristia avviene il massimo atto di culto verso Dio. Il nome stesso “Eucaristia”, rendimento di grazie, significa offrire a Dio la vittima sacrificale, Cristo, per dare al Signore il sommo della lode. Siccome il sommo della lode a Dio la può dare solo Dio ecco che il santo sacrificio del Calvario, misticamente ripresentato nelle specie eucaristiche, diventa l’unico culto possibile e sufficiente da rendere a Dio.

            Se noi partecipiamo degnamente a questo celeste sacrificio partecipiamo dei meriti infiniti di Cristo per avere dal Signore la sua amicizia e l’unione che vi è tra il Padre ed il Figlio: un legame indissolubile d’amore che rafforza la nostra vita.

            La Santa Vergine Immacolata ha vissuto del Sacrificio del Calvario entrando per sempre nella vita di Dio e sperimentandone la ricchezza di benefici dei quali trabocca immensamente a nostro vantaggio. Accostandoci alla Vergine saremo guidati con sicurezza da Lei per partecipare al Santo Sacrificio di Cristo, l’unico che rende gloria a Dio.

di P. Luca M. Genovese

Fonte: Settimanale di P. Pio

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