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Omelia per la festa di S. Biagio: IL MARTIRIO DELLA PAROLA

IL MARTIRIO DELLA PAROLA
Omelia per la festa di S. Biagio
Biagio Saracinisco, 3 febbraio 2020

 

Permettetemi di condividere insieme con la comunità, con voi confratelli presbiteri e Sindaci qui presenti una riflessione, una meditazione non frettolosa, un po’ articolata, su alcune considerazioni che afferiscono immediatamente alla liturgia in onore di san Biagio. La celebrazione del suo martirio e il racconto della liberazione di un bambino dal soffocamento causato da una spina rimasta in gola, con il grave pericolo di morte, permette di meditare in particolare sul “martirio della parola”. Anche attraverso il martirio della parola, come per ogni forma di martirio, passa la testimonianza della fede e il coraggio della libertà interiore, fino al sacrificio di sè. Il miracolo della gola fa pensare alla necessaria e urgente liberazione della parola da ogni forma di “soffocamento” che rischia di porta alla morte l’intera esistenza dell’anima cristiana.

Il martirio della parola è innanzitutto testimonianza della bellezza “sacra” di ogni parola. Il parlare del credente deve conformarsi e lasciarsi educare dalla forza e potenza che Dio dà alla sua parola. La prima lettura di oggi, dal libro del Siracide cap. 51, fa cenno all’uso improprio, degradato, della parola. Dice il testo “ti glorificherò Signore perché mi hai liberato dal laccio della lingua calunniatrice, dalle labbra che proferiscono menzogna”; e ancora più avanti: “Mi hai liberato dal profondo seno degli inferi, dalla lingua impura mi hai liberato”. Il testo parla di una parola “liberata”, perché pulita, purificata e guarita da ogni forma di cattiveria che danneggia e distrugge. Gli accerchiamenti degli istinti umani e peccaminosi, inquinano la parola e spesso la avvelenano: “Una calunnia di lingua ingiusta … la mia anima era vicina alla morte”.

Gesù ci promette che nella nostra vita di discepoli sarà lo Spirito del Padre a parlare in noi: cosa significa? Lo Spirito ci educa, educa il cuore, e ci aiuta a parlare nel modo in cui Dio parla, da sempre. E com’è il parlare di Dio da cui noi dobbiamo imparare? La Sua è una parola di bene, di gioia, di fiducia, di grazia, di benedizione, di creazione, quindi di vita e di amore. Ecco il parlare di Dio, è un parlare creativo, è un parlare che genera la vita. Quanto è bella la prima parola con cui Dio parla nella Bibbia: “Sia la luce”. Il parlare di Dio diffonde luce, genera la vita, e la sua parola è vita per il mondo. Come il parlare di Dio, anche le nostre parole devono “creare” e non distruggere, dare luce e non gettare nelle tenebre, dare vita e non morte, dare esistenza e non negare la vita dell’altro. E’ la sfida di tutti i giorni sui nostri social, è la sfida di tutti i giorni nel modo di interloquire con gli altri, di confrontarsi, di discutere e dibattere rispettando le differenze e le divergenze, per non cadere nell’abisso di parole che danno morte. Il libro di Genesi ci regala una verità ancora più bella, quando lascia intendere che il parlare di Dio è un’azione sacra. E’ tanto sacra questa azione del parlare, che il libro di Genesi la presenta secondo una struttura liturgica, una struttura sacra; il parlare con cui Dio crea la luce e poi gli astri, poi il sole, poi le acque, poi il cielo, poi gli uccelli e il mare, i pesci, ecc… è come pregare nel tempio; quindi il parlare di Dio è sacro, è liturgico, è solenne. Di conseguenza anche il parlare del cristiano è un’azione sacra se ci avvicina alla qualità spirituale della parola di Dio. La parola nutre, nella Bibbia è paragonata al cibo. Anche noi compiamo un’azione sacra quando apriamo la bocca e le nostre parole “celebrano” un’azione liturgica di benedizione, di lode, di gratitudine, di stupore, di vita.  Avrei molto da dire, avrei piacere di dire, ma questa prima parte basta così. E un po’ questo il “martirio della parola”, la buona testimonianza della parola che “crea”.

Il martirio della parola riguarda anche il coraggio e la libertà del cuore: “Sia invece il vostro parlare: «Sì, sì», «No, no»; il di più viene dal Maligno” (Mt 5, 37). Il “martirio della parola” richiede il coraggio nel parlare, e il coraggio nel tacere. A volte abbiamo voglia di parlare e dobbiamo stare zitti. Altre volte dobbiamo parlare e invece stiamo zitti. Allora il martirio della parola significa che il nostro parlare non deve essere schiavizzato, sottomesso a logiche di interessi, di furbizia, di scaltrezza, di raggiri, di scuse, di bugie, di alibi. I martiri davanti alla minaccia delle torture hanno avuto il coraggio di parlare chiaro, in tutta verità. La forza del coraggio veniva anche dalla consapevolezza che la loro forza e audacia nel professare la fede e nel parlare con verità rafforzava anche la vita cristiana degli altri che li vedevano morire in maniera così coraggiosa. Quando il martire offre la propria vita nel dolore, non si dimostra coraggioso soltanto nell’ amare il Signore, e di restare sino alla fine a Lui fedele. Dimostra anche l’amore per i suoi fratelli, rafforzati da questo loro sublime esempio. Morivano nella fermezza della verità cristiana, professata ad alta voce davanti all’autorità minacciosa, consapevoli che altri cristiani potevano essere consolati e rafforzati nella loro fede. Dunque, il martirio della parola testimonia l’amore per Gesù Cristo e l’amore per il prossimo.

Allora cari amici, oggi credo che il Signore, attraverso il martirio di San Biagio ci chieda di dare molto valore al nostro parlare di ogni giorno, come azione sacra che testimonia la bontà della parola Dio; lo stesso martirio di s. Biagio ci chiede di parlare con la libertà del cuore, per testimoniare con coraggio e coerenza la verità della fede davanti a chiunque e in qualunque condizione.

 

Testo da registrazione

 

Gerardo Antonazzo