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Omelia per la Domenica delle Palme 2021

Stemma di Mons. Gerardo Antonazzo

 Le variabili dell’amore e le varianti del male

Omelia per la domenica delle Palme

Sora-Cattedrale, 28 marzo 2021

 

 

La liturgia delle Palme inizia con le acclamazioni della folla che benedice Gesù, e finisce con le bestemmie della gente contro l’uomo della Croce: “Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo” (Mc 15,29). La gente di Gerusalemme grida: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! (Mc 11,9-10). Che cosa c’è realmente nei pensieri di coloro che acclamano la gioia per il “regno che viene”?  Più che una folla esultante si viene a contatto con gente esaltata. Che idea aveva del Messia di cui era in attesa? Qui sta il nodo della festa di oggi, anche per noi, per comprendere la profondità inesplorata dell’amore passionale di Cristo. Crediamo davvero alla potenza del suo amore umiliato, insultato, schivato e schifato? Chi è per noi Gesù di Nazaret? Merita davvero la nostra fiducia, è efficace nel guarire dalle varianti del nostro egoismo?

 

Non è così difficile lasciarsi tentare dall’idea di un Dio potente, vittorioso, che salva più credibilmente con un atto di forza nel contrastare la cattiveria degli uomini. Non è facile né scontato credere affidare il destino della propria vita al Dio di Gesù Cristo, che nessun filosofo o religione ha mai potuto pensare o immaginare prima del cristianesimo. Nel racconto della passione troviamo il panorama completo delle miserie degli uomini di fronte al mistero Dio che si rivela nell’Uomo condannato dalla giustizia umana: con la debolezza del suo amore divino, Gesù piega la forza del male che sconvolge la natura umana. Un agnello mansueto, che nemmeno scappa davanti ai suoi tosatori, che piega dolcemente la testa: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Is 53). Nessuno che punta ad avere successo nel mondo vuole esserlo; anzi, occorre farsi rispettare, non mostrarsi mai deboli e se è necessario, alzare la voce. Perché non possiamo lasciarci mettere “i piedi in testa”, da nessuno. In mezzo ai lupi, devi essere lupo feroce.

 

Ciò che Papa Francesco ha affermato per il razzismo, vale per il virus di ogni peccato: “È un virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è sempre in agguato” (21 marzo 2021). Nel racconto della Passione ritroviamo le sublimi variabili dell’amore di Cristo che guarisce dalle tante varianti delle fragilità umane, dai molti peccati che foraggiano l’opera del Male nel mondo. La liturgia delle Palme introduce e accompagna verso una straordinaria e impensabile storia d’amore di Dio nell’imminenza di farsi “passione”. Peraltro, ogni vero amore vive di passione, ogni forma di amore conosce le sue passioni. Alla passione d’amore si guarda a volte con sospetto. Ma quando non è macchiata di egoismo non fa perdere la testa, bensì coinvolge liberamente il cuore. Nella sua “passione” d’amore Gesù non ha “dato di testa”; ha donato la vita. Una vera “passione d’amore” non violenta la libertà altrui, ma anzi vive il rispetto dell’attesa, i tempi del silenzio, l’amarezza del rifiuto, la debolezza dell’incomprensione, persino il fallimento della fiducia e la fragilità del tradimento. Ogni “passione d’amore” malata di egoismo, di bramosia, di possesso, può arrivare all’estremo della follia di un “delitto passionale”. Ma questa sarebbe un’altra storia, che parla solo di egoismo predatore.

 

La purezza della passione di Cristo è dimostrata dalla “follia” di un amore che dona la propria vita perchè la vita dell’altro migliori e sia resa più felice. Gesù si consegna in piena libertà, la vita non gli è tolta: “Io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso” (Gv 10,17). La passione dell’amore libero e puro non può mai uccidere, anche a costo di soffrire per l’altro. Nel termine “passione” è custodito gelosamente il verbo soffrire, patire. Quello di Gesù è un “amore passionale”, perché arriva a soffrire pur di continuare ad amare, fino a morire Lui per amore! La passione di Cristo è una sublime scuola di amore per credenti e non credenti, agnostici e atei: “L’amore appassionato di Dio per l’uomo è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro sé stesso, il suo amore contro la sua giustizia. Il cristiano vede, in questo, già profilarsi velatamente il mistero della Croce: Dio ama tanto l’uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore” (Benedetto XVI, Deus caritas est, 10). Nella sua passione d’amore è Dio che si fa debole nella persona di Cristo, il quale “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo” (Fil 2, 6-7). Gesù ci serve con la vulnerabilità del suo amore, non compreso, né apprezzato, motivo di scandalo e di derisione. La sua vita è offerta per tutti, ma per molti la sua sofferenza si rivelerà inutile.

 

L’immagine di Dio che Gesù rivela è quella di un Amore che assume la nostra debolezza, la nostra vulnerabilità, che si sottopone fino in fondo alla libertà dell’uomo. Questa mansuetudine ci ha salvati. Nobiltà dell’amore divino! Nell’offerta della sua amicizia il Signore è stato e resta serio, sa giungere fino in fondo sottoponendosi a tutte le sue conseguenze, amando l’uomo e la sua libertà, pur di salvarlo dal male. “Poiché la potenza di Cristo si è rivelata nella debolezza, la luce di Dio si è rivelata nell’oscurità delle ore della croce, la gloria e la speranza di Dio si sono manifestate nel grido di dolore e di abbandono di Gesù, così che anche noi siamo chiamati alla conoscenza di un Dio diverso da quello che pensiamo” (C.M. Martini).

 

+ Gerardo Antonazzo