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Missione nelle piaghe del mondo

Lunedì scorso il pontificale nell’anniversario della dedicazione della Cattedrale
Nell’omelia del vescovo Antonazzo una riflessione sull’essere Chiesa diocesana

 

Sono passati 968 anni da quando la cattedrale di Sora, dedicata a Santa Maria Assunta, fu solennemente consacrata da papa Adriano IV il 9 ottobre 1155.

Lunedì 9 ottobre, il giorno dell’anniversario, festa per la diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, è stato celebrato con un solenne pontificale presieduto dal vescovo Gerardo Antonazzo, al quale ha preso parte un gran numero di fedeli e una rappresentanza del clero locale, il parroco della cattedrale don Ruggero Martini e il suo viceparroco don Joel Tamiok, il vicario zonale don Ercole Di Zazzo ed i sacerdoti don Danilo Messore e don Maurizio Marchione.

Le origini dell’edificio sacro risalgono II sec a.C., quando su una base di mura ciclopiche dell’antico forum aureum fu costruito un tempio romano, successivamente convertito in cristiano. Pochi edifici testimoniano epoche e temperie stilistiche tanto lontani e differenti quanto la cattedrale di Sora, oggetto di interventi succedutisi in fasi di costruzione, ricostruzione e restauro, dal 100 a.C. ad oggi, senza soluzione di continuità. L’ultima radicale trasformazione dell’edificio nel primo millennio è legata al nome del primo vescovo di Sora, Giovanni, sulla cattedra sorana fra il 493 e il 496. All’iniziale titolare della cattedrale, l’apostolo Pietro, fu aggiunta in seguito, nel 1074, la Madonna, rimasta unica dedicataria del luogo di culto, come riportato nel portale di Roffrido risalente all’anno 1100. Nel 1229 l’imperatore Federico II fece incendiare e radere completamente al suolo Sora. Sorte di distruzione e incuria toccò all’antica cattedrale, riedificata a spese del reale erario e solennemente consacrata il 9 ottobre dell’anno 1155 dal papa Adriano IV, di ritorno dalla Puglia con un ampio seguito di cardinali e vescovi. Tali vicende storiche fanno della Cattedrale il monumento per eccellenza della storia della città, un illustre simbolo dell’unità civile e politica rivestita nel tempo.

«Oggi il Signore ci raduna – ha detto il vescovo Antonazzo all’inizio della sua omelia – nella memoria della dedicazione di quest’edificio che ha segnato la storia della nostra Diocesi, rimanendo, nei secoli che l’hanno impreziosita della ricca eredità spirituale, storica e culturale delle tre Chiese locali di Aquino, Pontecorvo e Cassino, il cuore della vita della Chiesa diocesana, in quanto sede della cattedra del Vescovo e chiesa madre delle nostre comunità parrocchiali». Poi, trascendendo il riferimento alla bimillenaria storia religiosa, il Vescovo ha penetrato l’oggi credente con l’esortazione a discernere la volontà del Signore circa «il nostro “essere Chiesa”, alla luce anche del Cammino sinodale che essa vive in comunione con le altre Chiese in Italia». A dischiudere il senso della ricerca è stata la stessa Liturgia della Parola della feria, che nella pagina del libro del Profeta Giona ed in quella del Vangelo secondo Luca ha presentato le due fondamentali prospettive costitutive della Chiesa: «essere missionaria» ed «essere presenza nelle piaghe del mondo». Nell’esperienza del recalcitrante Giona, in fuga nella direzione opposta al comando divino, rifulge l’universalismo della volontà di Dio, che dall’eletto Israele si estende fino ai popoli pagani: «la nostra Chiesa diocesana, irradiazione di tale chiamata, è missionaria, “per” il mondo, memore di dover essere una Chiesa “inquieta” nelle inquietudini del nostro tempo – ha affermato il Pastore diocesano ricordando “le consegne” di Papa Francesco ai referenti diocesani del Cammino sinodale italiano il 25 maggio 2023 – smettendo di essere autoreferenziale e disancorata dalla realtà e dai bisogni dell’uomo». Antonazzo immagina «una Chiesa ferita che capisce le ferite del mondo, come il samaritano che fa sue le ferite del malcapitato»: «i cristiani» – ha ricordato il Presule – «non sono comunità di perfetti, ma di chiamati alla salvezza: dipende soltanto dall’incontro con Cristo, che li salva, se essi sono capaci di un abbraccio compassionevole al mondo piagato. Entrambe le prospettive esigono l’impegno di abitare il mondo, le case delle donne e degli uomini di oggi, i loro tempi, orari, ritmi, gioie e speranze. Questa è la sfida del nostro “essere Chiesa”».

Andrea Pantone