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Mio figlio Marco

I coniugi Vannini raccontano la faticosa ricerca della verità e della giustizia

 

Una storia di dolore, una storia di giustizia conquistata. Di questo si è parlato sabato 30 sera nella chiesa di S. Antonio a Cassino per la presentazione del libro “Mio figlio Marco. La verità sul caso Vannini” di Marina Conte con la narrazione di Mauro Valentini, i cui proventi sono interamente destinati ad opere sociali nel nome di Marco nella zona di Cerveteri e Ladispoli. Presenti i genitori di Marco, che per sei anni si sono battuti perché giustizia fosse fatta ed il giornalista che li ha aiutati nella stesura del libro. A presentare e moderare gli interventi la giornalista cassinate Angela Nicoletti. Il caso fece molto scalpore in Italia. Accadde nel maggio 2015 quando Marco Vannini, diciannovenne, trovandosi a Ladispoli in casa della fidanzata Martina Ciontoli, dove era presente tutta la famiglia di lei, padre, madre e fratello, fu colpito all’improvviso da un colpo di pistola partito dall’arma detenuta da Ciontoli, sottufficiale della Marina. Ma non fu subito doverosamente soccorso e morì. I Ciontoli cercarono di depistare le indagini e l’iter processuale prese una piega sbagliata. Il processo di primo grado per omicidio condannò a 14 anni Ciontoli e a pene minori gli altri membri della famiglia; in appello addirittura fu ridotta la pena da 14 a 5 anni e solo sei anni dopo, il ricorso in Cassazione confermò le condanne e ripristinò la giustizia.

Introducendo la storia di Marco, Valentini ha raccontato di aver conosciuto i genitori proprio a Cassino, in occasione del Premio Piersanti Mattarella. Ed ha aggiunto: Conoscere Marco, secondo me, arricchisce tutti. Marina, la mamma “guerriera”, che per difendere il figlio ha combattuto “una grande guerra con molte battaglie”, ha raccontato emozionata che all’inizio era assolutamente digiuna di termini giuridici, ma seguendo tutte le udienze, riuscì ad entrare in quel mondo e a condurre la sua battaglia, insieme al marito Valerio, per ristabilire la verità sulla fine di Marco e ottenere giustizia, perché “Marco per noi era l’essenza della vita, chi lo conosceva non poteva non amarlo, perché era bello dentro e fuori“. Ha parlato dello strazio terribile di ascoltare la registrazione delle telefonate al 118, in cui si sentiva ancora la voce di Marco morente chiedere aiuto: “era come vivere la morte di nostro figlio in diretta”. Quando la sentenza d’appello ridusse la condanna, per lei fu tanto inaccettabile che protestò fieramente contro il giudice. Poi sperò che i giudici di Cassazione “leggessero” davvero le carte e così fu e infatti il processo riprese la via giusta “e noi cominciammo a riprendere le forze” e la nuova sentenza, definitiva, ci dette ragione. Perciò, se si crede in qualcosa, bisogna lottare e non arrendersi mai”.

Si è anche osservato come la vicenda di Marco Vannini richiami altre vicende simili: quella di Marta Russo e quella di Serena Mollicone. Questi giovani, lasciano il segno e ci sarà qualcuno che lo raccoglierà, perciò questi fatti vanno raccontati. Come dice Marina “la storia di Marco deve essere dentro le case degli italiani” e il libro potrà essere di stimolo a qualcuno. La stampa deve tenere i riflettori accesi e analizzare come avviene il processo ma senza condizionarlo. Raccontando la storia di Marco, essa si lega ad altre storie e questo può aiutare a migliorare la legislazione.

Nel suo breve ma incisivo intervento, il Vescovo Gerardo Antonazzo ha detto: questa sentenza chiude un processo importante. Se siamo qui in tanti, non è per curiosità, ma per dare un contributo a sostenere questo dolore. La ferita giudiziaria è chiusa, ma non la ferita degli affetti, noi vogliamo fare in modo che possa essere pian piano se non guarita, rimarginata. Vogliamo far diventare questa tragedia un fatto educativo: la vita è sacra e va rispettata e custodita; questa verità, non scontata, va affermata, perché la vita viene spesso degradata, vilipesa, oltraggiata: noi qui vogliamo coltivare questo seme di speranza.

Anche il Sindaco Enzo Salera è intervenuto, affermando che la tragedia più grande è che i genitori sopravvivano ai figli e se non ci fosse stata l’affermazione della giustizia, la tragedia sarebbe ancora più grande. Ha poi aggiunto con orgoglio che tra i membri della Cassazione che ha dato la giusta sentenza c’era la giudice cassinate Alessandrina Tudino.

Interessanti le parole del giudice Antonio Minchella, fratello di Don Benedetto, il quale ha affermato che la verità non è una creazione del processo, ha una vita sua, una sua forza e si impone agli occhi degli esseri umani e i tentativi di soffocarla non giungono mai a buon fine.

Angela Nicoletti ha concluso, rivolta ai genitori di Marco: la vostra grande dignità ci ha arricchito stasera, e Valerio Vannini ha ringraziato tutti perché “vedo che siete presenti col cuore”.

Don Benedetto ha osservato che questi ragazzi, che desideravano servire lo Stato, diventare magistrati, migliorare la società, misteriosamente hanno comunque raggiunto lo scopo. Poi, mostrando il grande quadro con le foto e il libro preparati con fiori e lumi, ha ricordato che domani sera alle 18 si celebrerà, come ormai da tradizione, una S. Messa in suffragio dei giovani defunti prematuramente ed ha segnalato tra i banchi la presenza di altri genitori che vivono la tragedia della perdita di un figlio. Infine ha consegnato in dono ai coniugi Vannini una mattonella con il nome di Marco e la dedica, che sarà apposta su parete a ricordo.

Adriana Letta