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Omelia per inizio del ministero pastorale di don Giansandro Salvi

Stemma di Mons. Gerardo Antonazzo

AMORE NUOVO, PERSONALE, INTIMO E GENEROSO

Inizio del ministero pastorale di don Giansandro Salvi

Pico, 18 giugno 2021

 

 

Cari amici,

carissimo don Giansandro,

il dialogo tra Gesù Risorto e Pietro narrato nel vangelo (Gv 21,15-19), è il respiro costante che sempre deve ritmare i battiti cardiaci dell’intimità della Chiesa con il suo Signore, di ogni anima cristiana con il Figlio di Dio, di ogni discepolo con il Maestro che lo ha chiamato alla grazia della sequela: “Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono” (Mc 1,16-18). Già, Simone, proprio lui, a cui Gesù cambia il nome: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro” (Gv 1,42). E sarà tutta un’altra storia.

Dialogo di misericordia

Grazie don Giansandro per il dialogo molto intenso, maturo, confidenziale con il tuo Vescovo, sacramento di Gesù Pastore. Ti sono molto grato per la tua saggia docilità tradotta in termini di incondizionata disponibilità nel servire la nostra Chiesa particolare.  Il tuo essere qui, oggi, in questa nuova comunità ti chiederà di scrivere nuove pagine nella storia d’amore tra te, il Signore, e il suo gregge. Oggi il Signore cambia il tuo nome, non quello della parrocchia da servire: ti cambia dentro, perchè dilata ancor di più il tuo cuore, dà un volto nuovo alla tua creatività, rilancia l’entusiasmo, mette in gioco la tua fiducia, ti pone davanti volti nuovi, compiti e sfide pastorali diverse. Il colloquio mette in risalto alcune qualità molto rilevanti nel rapporto tra Gesù e Pietro, e si pone come paradigma di ogni relazione tra Maestro e discepolo, tra te e il Signore che rinnova la sua chiamata lungo la riva già frequentata del tuo maturo ministero sacerdotale.

Il nome Simone, figlio di Giovanni fa eco alla scena della chiamata iniziale, nella quale era stata esplicitata per la prima volta la funzione ecclesiale di Pietro (Gv 1,42). Il rinnegamento dell’apostolo (Gv 18,15-27) è il motivo di questo riferimento da parte di Gesù alle origini della vocazione di Pietro, e comporta la necessità di una nuova partenza, della ripresa di una sequela compromessa dalla debolezza. Gesù tira fuori dal gruppo la persona di Pietro e con lui solo entra in confidente conversazione. Le parole riguardano tratti molto intimi del loro reciproco rapporto; e Gesù vuole innanzitutto rianimare il cuore rattristato di Pietro, così drammaticamente ferito e lacerato dall’amare caduta nella notte del rinnegamento. Lo cerca in disparte, loro due soli. Con la triplice domanda sull’amore di Pietro, Gesù non intende fare “la resa dei conti”, non vuole umiliare né rimproverare Pietro. Caro don Giansandro, il rapporto di ogni chiamato deve custodire sempre l’intimità con il Signore, la confidenza del dialogo soprattutto nella preghiera, vero filtro che purifica gioie e tristezze, travagli ed entusiasmi, slanci e fallimenti. Tutto deve essere posto e vissuto davanti a Lui! Nulla senza di Lui. È a questo che Gesù intende ricondurre Pietro, aiutandolo a superare ogni tentazione di vergogna e disagio dopo la notte della rottura. È nell’intimità del dialogo quotidiano con il Risorto che riusciamo a rimanere in piedi in ogni nostra situazione personale, fosse anche la peggiore.

Intimità dell’amore

Gesù desidera sanare, guarire quella ferita che ancora gli brucia dentro e gli grida tutta la vigliaccheria di cui Pietro è stato capace. Gesù prova a cancellare tutto, se anche Pietro lo desidera, con la ripetuta domanda: “Mi ami tu?”. Gesù vuole riportare Pietro all’entusiasmo dell’inizio, ricostruire la fedeltà ferita. La sabbia lungo la riva del lago rimanda alla sabbia del deserto nel quale Dio-sposo, decide di riportare Israele-sposa. Dio desidera “punire” l’infedeltà del suo popolo non con il castigo, ma purificando il tradimento dell’idolatria con l’entusiasmo del primo amore: “La punirò per i giorni dedicati ai Baal, quando bruciava loro i profumi, si adornava di anelli e di collane e seguiva i suoi amanti, mentre dimenticava me! Oracolo del Signore. Perciò, ecco, io la sedurrò la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,15-16).

Caro don Giansandro, cari amici,

prima delle nostre vedute, opinioni, discorsi, progetti e programmi a Dio sta a cuore la disponibilità e il desiderio sincero di amarlo “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 4,5). Da quel dialogo con Gesù risorto Pietro capisce finalmente di dover scommettere su una pretesa importante: il Signore richiede tutto l’amore del discepolo che ha scelto. È la ragione dell’amore celibatario che nutre, arricchisce e sostiene la nostra vita sacerdotale come amoris officium, un esigente impegno di amore (S. Agostino, Commento a Giovanni, 123,5). Il Signore non                                                                                                                                                                                                                      chiede mai conto dell’efficienza delle nostre iniziative, dei risultati sbalorditivi dei nostri progetti, ma solo dell’intensità del nostro amore. Un amore a bassa intensità sarà sempre esposto alla fragilità dell’insignificanza, se non proprio del rinnegamento. Un amore ad alta intensità è possibile a condizione della totalità del cuore: integro, verginale, puro, libero, docile, generoso.

Donazione martiriale

La totalità del nostro amore verginale per Gesù orienta l’apostolo immediatamente al servizio per coloro che Lui ama: Pasci i miei agnelli. È la missione che Pietro riceve nuovamente da Gesù; l’apostolo sente su di sé la bellezza della fiducia ritrovata quando Gesù sigilla definitivamente il rapporto con Pietro con l’invito che conclude il dialogo: Seguimi. Questo verbo sarà ormai “figlio” di una generosità ritrovata, fondata e radicata nella carità di un cuore guarito: “Quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi»”. L’amore generoso di Pietro si purificherà e si perfezionerà nella donazione martiriale della propria vita spirituale e fisica per il suo Maestro. Viene chiamato a partecipare della funzione del “buon pastore” che era stata descritta da Gesù in Gv 10. Ma questa funzione non condurrà alla gloria, bensì al martirio. L’espressione tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi fa riferimento sia alla dipendenza dovuta all’età avanzata, sia al supplizio della crocifissione che l’apostolo subirà (cfr Clemente, Lettera ai Corinzi, 5,4). Le prove nel ministero sono diverse: siamo tentati di non entrare in esse, perché non le vogliamo guardare in faccia, per paura di non riuscire ad affrontarle a viso aperto. Il nostro entrare nella prova non è soltanto un incidente di percorso, bensì un ingrediente del ministero. Un ingrediente educativo perché attraverso di esso il discepolo giunge all’amore radicale per il suo Signore.

Caro don Giansandro,

la gestazione continua della nostra paternità pastorale avviene nel grembo della sofferenza, della pazienza, della perseveranza. La nostra consolazione più matura non sarà mai al di fuori, ma dentro le prove. L’avvenire di Pietro, fatto di grandezza e di umiliazione, è dentro il severo cammino della sequela. E ci riguarda. Accoglilo con particolare fiducia, fondata non sulla bravura, competenza, capacità o spavalderia, ma esclusivamente sulla forza della Sua parola a noi rivolta e condensata in quel rinnovato invito con il quale Gesù risorto segna anche la tua ripartenza: Seguimi.

+ Gerardo Antonazz