Il mio cammino: Santiago de Compostela

Per la rubrica Conosciamoci riportiamo la toccante esperienza di Federica Lorini di Castelliri responsabile del coro della Chiesa di Santa Maria Salome e di altre tre ragazze che con lei sono appena rientrate da Santiago de Compostela proprio nei giorni precedenti all’inizio nella nostra diocesi per la prima volta del Cammino dei Giovani di Canneto, fortemente voluto dal nostro Vescovo, che vuol far scoprire a tanti giovani la bellezza del pellegrinaggio e di quanto questa fatica sia bella ed importante per giungere a Dio.

Vorrei parlarvi del Cammino di Santiago senza nozioni informative o storiche, molti di voi ne avranno sicuramente già sentito parlare e volendo il web è pieno di siti, blog e gruppi dedicati, non potrei dunque aggiungere nulla di nuovo, se non la mia personale esperienza.

Ho dedicato 9 giorni delle mie vacanze estive a questo viaggio, partendo a piedi con tre amiche da O’Cebreiro, tappa del cammino francese che dista da Santiago circa 160 km; distanza relativamente breve, visto gli 800km in cui si articola l’intero percorso, ma sufficiente, considerando i 100km invece necessari a ricevere la Compostela.

Ricordo le prime impressioni: non ci aspettavamo tanti spagnoli lungo il cammino, altrettante famiglie con bambini, e poi il fresco, le foreste,  il paesaggio nord europeo di quella insolita regione spagnola della Galizia.

Siamo arrivate con un buon equipaggiamento, sufficiente e leggero (su internet è possibile trovare molti consigli utili sull’abbigliamento e l’attrezzatura) e con tante aspettative costruite nei mesi precedenti sulle testimonianze e le immagini raccolte. Ci sentivamo pronte e timorose allo stesso tempo, nei confronti di un’esperienza a cui non sapevamo se o cosa chiedere.

I giorni passavano, come le decine di chilometri percorsi, la testa nel frattempo si svuotava dei vecchi pensieri per riempirsi della bellezza e della semplicità dei paesaggi. Quello che non passava, invece, era l’inquietudine nel capire il perché io fossi lì, che senso avesse quel cammino, quella fatica e quella sofferenza a cui io e gli altri, insieme ad innumerevoli uomini pellegrini nei secoli, ci sottoponevamo. Un’inquietudine accresciuta poi dalla non eccezionalità di quella quotidianità: c’erano uomini,donne, bambini, case rupestri, chiese e strade, animali, campagne e foreste verdi; realtà non poi così nuove, insolite o lontane.

Personalmente ho iniziato a trovare il mio senso nel dolore fisico. Sentire le gambe pesanti, indolenzite, che chiedevano riposo, insieme a piedi e schiena, e continuarli a trascinare sotto la pioggia per chilometri: ecco, questo fare assurdo ha innescato un meccanismo nella mia testa, inspiegabile a parole, per cui io reputavo giusto patire e compatire quel percorso. È stato come se la sofferenza mi fosse servita da chiave, per passare dallo stato razionale a quello emotivo. Ricordo di aver ringraziato Dio per quella pioggia incessante che ci accompagnò da Melide ad Arzua.

Cominci così a vedere tutto sotto un’ottica diversa, la realtà esterna diventa una metafora di un mondo interno, così il dolore, lo zaino, le persone che incontri e lo stesso “Buen camino”, che tutti i pellegrini si scambiano quando si incontrano, diventa un augurio sentito per il tuo percorso interiore. Un giorno incontrammo un colombiano che ci diede la sua compagnia lungo tutti i 37km che ci avrebbero portate all’ultima tappa prima di Santiago, parlando gli chiesi di dedicarmi un suo pensiero, lui mi disse: “El camino es el reflejo de tu vida”; ora che le penso e le scrivo, credetemi, queste parole prendono ancora più significato.

Sul cammino sei portato a diventare fatalista anche se per natura non lo sei e non lo sei mai stato, sembra che nulla accada per caso, come se tutto facesse parte di un puzzle che senti di aver bisogno di accettare e comporre. Chiariamoci, non avvengono miracoli, tutto singolarmente rientra nella normalità, ma è l’insieme, il come si intersecano cose e persone ,che diventa particolare, inaspettato e personalmente significativo. Emblematica la frase di Paulo Coelho nel suo libro sul cammino di Santiago :“Lo straordinario risiede nel cammino delle persone comuni”.

La professoressa di Viterbo, da poco operata ad una caviglia, che decide di intraprendere all’ultimo momento il cammino, in maniera del tutto impreparata, insieme a tre amici, che si ritrova sola a percorrerlo e a terminarlo, e che a Finisterre, con un sassolino nella mano, ci ricorda di non smettere mai di dire “Grazie”.

L’ingegnere egiziano che soffriva di solitudine e che era lì in cerca di una ragazza, durante il cammino inspiegabilmente diventa uno dei pellegrini più socievoli, simpatici e conosciuti. Lo vedi a Santiago con gli occhi colmi di gioia e una ragazza al suo fianco con cui sembra riuscire a comunicare più con gli occhi che con le parole.

La ragazza italiana che il giorno del suo compleanno si ritrova a vivere in un’insolita Finisterre, avvolta da così tanta nebbia da sembrare la Scozia, il sogno di una vita; la vedi guardare l’infinito dell’oceano avvolta dal suono di una cornamusa e dire di voler ringraziare Dio per quell’immenso regalo che faceva alla sua persona più vera e profonda che da anni aveva chiuso e dimenticato dentro di sé.

La spagnola e il messicano della via della Plata, che da giorni percorrevano il loro cammino insieme al cagnolino Paco, capaci di trasmetterti un animo così ricco e profondo quanto gli oltre 2000km che sommati, in due avevano percorso fino a Santiago.

E poi ci sei tu, con le tue paure, i tuoi problemi, le tue croci, il tuo passato a cui tutti sembrano in qualche modo parlare, e capisci che è proprio quel passato ad averti condotto su quel cammino, perchè in fondo avevi bisogno di vedere e sentirti dentro.

Spesso durante i nostri discorsi ci siamo chieste perché tanta importanza a questo apostolo di cui effettivamente poco si sa dopo la morte di Gesù. Tenete presente che nel primo millennio il Cristianesimo consacrò sacre tre rotte: la prima conduceva al Santo Sepolcro di Cristo a Gerusalemme, la seconda alla tomba di San Pietro a Roma e la terza portava proprio ai resti mortali dell’apostolo San Giacomo. Da allora ancora oggi sono migliaia e migliaia i pellegrini che si recano a Santiago de Compostela spinti dalle più svariate motivazioni.

Ecco, io ritengo che al di là della storia, della leggenda, al di là che tu sia credente o meno, San Giacomo, o se si preferisce, Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e Maria Salome, ancora oggi continua visibilmente a radunare tutta un’umanità lungo i cammini che portano alla sua tomba; ed è proprio questa umanità, che semplicemente ed unicamente si ritrova sotto il suo nome, a fare del Cammino il suo più grande miracolo.

– Federica Lorini

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