Intervista ad Ida Meglio

  1. Raccontaci di te.. come ti chiami, quanti anni hai, dove vivi, che lavoro fai, i tuoi hobby

Mi chiamo Ida Meglio, ho 38 anni, vivo a Sora, lavoro nell’ambito bancario/finanziario e i miei hobby sono difficili da spiegare: mi diletto, da qualche anno a questa parte, a scoprire storie di chi ce la fa nonostante le tante difficoltà che stiamo vivendo.

  1. Qual è il tuo ruolo in diocesi, da quanti anni rivesti questo incarico

Attualmente, amministratore diocesano di Azione Cattolica, ma con molta più disinvoltura mi piace dire anche che sono catechista ed educatrice parrocchiale ACR (San Bartolomeo Ap. a Sora) e mi occupo dei più piccolini. Son quasi due anni che faccio parte della bellissima famiglia di AC.

  1. Raccontaci della tue esperienza di incontro con Dio

Lui Padre buono e paziente, io figlia indisciplinata e irrequieta. Se dovessi descrivervi il nostro “rapporto” sarebbe ben raccontato dalla parabola del “Figlio prodigo”. Mi è sempre piaciuto incontrarlo nelle difficoltà degli altri, nei loro problemi, nelle loro incertezze e debolezze; non mi piace pensarlo solo Amore, quello statico, così tanto per parlarne, mi piace che l’Amore che Lui rappresenta per ogni Cristiano possa essere messo in pratica ogni giorno, cercandolo negli occhi delle persone che ogni giorno incontriamo, vivendolo in ogni persona che ci tende una mano in cerca di aiuto. Cerco di incontrarlo spesso, anzi me ne da possibilità continuamente … una volta un mio amico scrisse: “Chi dice ad un altro e chi lo dice a Dio: puoi contare su di me perché ti voglio bene, non conoscerà solo giorni di facile gioia e non senza fatica si eserciterà nella lealtà di pensare solo il bene. E ogni volta Dio esulta quando vede sorgere dal fango informe, bella come all’alba del mondo una persona capace di amare così.”

  1. Quali le difficoltà più grandi che hai incontrato durante questo periodo e come le hai superate?

La vera difficoltà probabilmente è rappresentata proprio da me stessa, perché non sempre negli incontri col mio prossimo e quindi negli incontri con Dio, l’animo è proiettato verso le necessità altrui, viviamo in un mondo troppo egoista e non sempre riusciamo ad evitare questa predisposizione. Ma ho provato la sua meravigliosa Pazienza e quando non lo cerco io, mi da sempre una nuova possibilità di trovarlo. E per usare un’altra frase famosa: “non Lo cercherei ogni volta, se non L’avessi già trovato.”

  1. Che prospettive si aprono oggi alla luce dell’unità pastorale

E’ senza dubbio un percorso difficile, fatto di ostacoli e qualche difficoltà, ma senza dubbio è un’opportunità straordinaria, soprattutto se la si vive nell’ottica di una nuova dottrina cristiana che stiamo vivendo: il vero Cristiano, non deve stare più chiuso in un luogo chiuso, il nostro cristianesimo va vissuto all’esterno, non deve più creare proselitismo, bensì attrattismo e questo essere proattivi ci porta senza dubbio a dover e voler lavorare tutti insieme su nuovi territori, anche più vasti di quelli che fino ad ora abbiamo considerato, verso una unica direzione.

  1. Le trasformazioni in seno alla famiglia stanno prendendo sempre più piede nella nostra società moderna. Cosa pensi di questi cambiamenti, quali le possibilità che potrebbero aprirsi con il convegno CEI di Novembre: ‘In Gesù Cristo il nuovo Umanesimo’?

L’argomento è veramente particolare, ma purtroppo non mi sento abbastanza preparata per una riflessione mirata; posso riassumere però il mio pensiero con la parte che di più mi ha colpito: il testo vuole porre l’accento proprio sull’unità, unità intesa anche come comune dignità degli individui, comune grazia di adozione filiale, comune vocazione alla perfezione, pertanto se ci addentriamo in un discorso prettamente spirituale uniche la salvezza, la speranza e la carità, senza divisioni. Nessuna ineguaglianza in Cristo. Per questo motivo si è costituiti in una nuova condizione, in una comunione che lega in un’unica vita, senza avere la presunzione di pensare che qualcuno valga più di un altro o, meglio ancora, che un cristiano abbia maggiore dignità di un altro sulla base della condizione sociale, della razza e del sesso. Questa perfezione a cui deve tendere l’essere umano dunque, deve essere il primo valore condiviso all’interno di una famiglia, che sia di nascita o di adozione o di larga concezione come quella dell’appartenenza ad una comunità religiosa poco importa, l’essenziale che tutti questi valori siano insegnati, spiegati, condivisi e fatti propri, nonché vissuti.

  1. Alla luce della tragedia di Parigi, Come vedi, la possibilità di vedere in futuro la pacifica convivenza di religioni ed etnie differenti? Una sorta di melting pot (un “crogiuolo di razze”) in cui può perdersi l’identità cristiana?

Anche questo argomento meriterebbe riflessioni profonde e ben ragionate; per quanto mi riguarda credo fermamente che non esista Religione che abbia come ideale la propria diffusione attraverso l’odio, la divisione o la guerra stessa, credo che la crudeltà non sia propria di un Dio, qualsiasi nome Egli abbia, bensì sia una predisposizione negativa prettamente umana. Credo che l’unione e la convivenza di diverse religioni ed etnie possa tranquillamente coesistere, senza che nessuno sia costretto a perdere la propria identità, l’unico modo secondo me per realizzarlo veramente è solo col rispetto. Per meglio intenderci riporto banalmente le parole che ho utilizzato recentemente a chi mi ha chiesto una opinione sui fatti di Parigi. Se ospito in casa mia un fratello musulmano, non lo obbligherò mai a cibarsi di cibi che ha deciso, per sue credenze, di non mangiare, gli mancherei di rispetto nel suo credo, di contro però non verrò mai meno al mio di credo, pertanto in casa mia non leverò  il crocifisso perché in qualche modo può tubarlo, sarebbe invece questa una mancanza di rispetto verso me stessa; se un mio fratello si sente libero di rappresentare la mia religione con disegni un po’oltre le righe, io ci sto male, non li accetto, ma non per questo mi sentirò autorizzata a fargli del male, ne limitandolo nella sua libertà di espressione, ne tanto meno dandogli “un pugno”. Gli farei presente che mi fa male e lo farei nella stessa modalità con cui si è comportato lui: esprimendo, con rispetto e a granvoce il mio dissenso. Ecco alla base di tutto come vedi c’è il rispetto ed un principio fondamentale che credo stia andando perduto: non fare agli altri ciò che non vorresti sia fatto a te, l’unica e più semplice modalità per dare vita al crogiuolo di razze che hai menzionato, senza che nessuno perda la sua identità e dignità.

  1. Si può pensare ad una interazione giovanile che consideri la difficile situazione lavorativa e si metta in moto un accordo attraverso fondi con chi uscito dall’università con una laurea non sappia dove è come lavorare? Parliamo anche di immigrati e delle connessioni lavorative con l’estero… ci possono essere possibilità?

Ma decisamente si ed è molto più semplice di quanto possa apparire; il primo passo è quello di credere veramente nelle potenzialità dei nostri giovani e semmai in loro ci sono mancanze di volontà o impegno nel darsi da fare, il primo passo che spetta a noi rappresentanti di una qualsivoglia comunità è quello di fare in modo con qualsiasi mezzo, di indirizzarli verso la creazione di opportunità, ad esempio lavorative che in questi ultimi periodi, risultano essere il male maggiore. Il premio nobel Yunus disse una volta, “non diamo loro del pesce, ma insegnamo loro a pescare”. Non impegnamoci solo a dare lavoro a questi giovani, visto il momento drammatico, insegnamo loro come crearselo.  Educhiamo principalmente i nostri giovani a essere artefici del loro destino e poi come comunità non dimostriamoci insensibili alle loro difficoltà e reticenze… Beh sugli immigrati poi si tocca un argomento a me troppo caro; ultimamente nel convegno sulle Migrazioni promosso proprio dalla nostra diocesi, sono venute fuori tre domande: Quali sono gli attuali scenari, come accogliere e come rispondere alla loro esigenza lavorativa. Gli immigrati nel nostro paese, anche di seconda generazione sono tantissimi ormai e nel principio di solidarietà e fraternità, una giusta accoglienza assolutamente non va negata, diamo loro, soprattutto ai giovani che hanno studiato, le stesse opportunità che vogliamo dare ai nostri giovani italiani. Le istituzioni ad esempio hanno chiesto proposte; un meccanismo di finanza dal basso che dia una opportunità di avvio di impresa ai giovani italiani e ai giovani immigrati potrebbe essere una proposta interessante secondo me e su questo credo molto, tanto da aver trasformato il mio studio di una piattaforma di crowdfunding, basata sul prestito sociale per lo startup d’impresa anche per immigrati, nel mio hobby preferito, visto che nella prima domanda mi è stato chiesto!

  1. La diocesi ora conta ancora più fabbriche e aziende, è auspicabile una pastorale del lavoro?

Una idea assolutamente da prendere in considerazione. Se pensiamo ad esempio alla dottrina sociale della Chiesa ed in modo particolare alle encicliche sociali di papa Wojtila, il mondo del lavoro e le opportunità ad esso collegate sono di vitale importanza. Vorrei proprio rispondervi con le parole del Papa Santo nella sua Laborem Exercem:  si deve riconosce la piena legittimità del diritto di iniziativa economica,  che deve mirare sempre al bene della persona umana, perché “il lavoro è per l’uomo, e non l’uomo per il lavoro”.  Di fronte ai conflitti della vita economica, il Papa afferma il “principio della priorità del lavoro nei confronti del capitale” richiamando, con precisione, i “diritti degli uomini del lavoro”, parte integrante dei diritti dell’uomo. Il “problema fondamentale” del mondo dell’economia consiste nell’ “agire contro la disoccupazione”, anche attraverso la leva della formazione e dell’aggiornamento dei lavoratori. Cui vanno garantiti un salario proporzionato alle necessità delle famiglie, prestazioni sociali, ferie e riposo settimanale, la libertà di associazione sindacale.  Infine, dopo aver  respinto ogni discriminazione contro i lavoratori disabili ed immigrati, l’enciclica ­delinea i tratti della spiritualità del ­lavoro: partecipazione,  con Cristo,  all’opera del Creatore. Anche questo è un tema a me molto caro, sin dai tempi dell’università e della tesi di laurea proprio nella dottrina sociale della Chiesa Cattolica, realizzare dunque una pastorale del lavoro è un altro modo efficace di prendersi cura in modo solidale della società e di orientarla verso il bene.

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