Relazione di Suor Pina del Core tenuta alla Scuola dei missionari laici

L’«EDUCAZIONE DEL CUORE»

GUIDA PER UN DISCERNIMENTO PERSONALE

ALLA MISSIONARIETÀ

 

 

Pina Del Core, fma

 

 

 

Qualche premessa

 

Il mio intervento si colloca all’interno del percorso di formazione per laici avviato nella diocesi da qualche anno, nell’intento di qualificare meglio l’esperienza delle missioni popolari perché divengano sempre più uno spazio privilegiato di evangelizzazione.

È innegabile l’attualità di una scuola di formazione per missionari laici in un momento particolarmente significativo di rinnovamento della Chiesa, peraltro sollecitato da Papa Francesco con decisione, lungimiranza e concretezza.

Come si legge in Evangelii Gaudium a proposito della forza evangelizzatrice della pietà popolare (EG 122), Papa Francesco, facendo riferimento al documento di Aparecida la definisce come «un modo legittimo di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari» (EG 124). Essa, cioè, comporta la grazia della missionarietà, dell’uscire da sé stessi e dell’essere pellegrini, poiché «il camminare insieme verso i santuari e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in sé stesso un atto di evangelizzazione» (EG 106).

«Ora che la Chiesa – ribadisce il Papa – desidera vivere un profondo rinnovamento missionario, c’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa. Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada (EG 127).

Nel definire i cristiani come ‘discepoli missionari’ del Vangelo di Cristo, il Papa indica con chiarezza quale è la natura e il significato della missionarietà nel cammino di conversione pastorale della Chiesa ‘in uscita’.

Per dare avvio alla riflessione allora ci chiediamo come intendere tale missionarietà e quali sono i cammini di maturazione che i credenti devono compiere per divenire ‘discepoli missionari’? Quale formazione e quale accompagnamento sono necessari perché si realizzi questa ‘nuova’ vocazione, oggi così indispensabile?

Sono molti gli aspetti e le dimensioni da prendere in considerazione in un percorso di formazione alla missionarietà, specie se i destinatari sono chiamati a divenire operatori pastorali nei diversi ambiti di azione, dalla catechesi al ministero della diaconia e della carità. Tuttavia, dovendo fare una scelta tra le diverse dimensioni, ritengo necessario partire da quello che costituisce, a mio avviso, un asse portante del processo di crescita vocazionale missionario, e cioè l’educazione del cuore.

  1. Curare la formazione del cuore, compito primario per divenire ‘discepoli missionari’

Coloro che sono chiamati ad operare a servizio della persona, in particolare gli educatori, i catechisti, gli evangelizzatori, svolgono un ministero che per la sua intrinseca natura di ‘servizio’ e di cura, richiede che colui/colei che lo esercita sia capace di relazioni interpersonali, di contatto affettivo, di una equilibrata capacità di coinvolgimento emotivo propria dell’atteggiamento empatico. Viene chiamata in causa la persona stessa, ma soprattutto la sua maturazione affettiva e sessuale. Pertanto, la cura della dimensione affettiva, l’educazione del cuore, è centrale ma è anche piuttosto complessa; per questo è importante avere chiari i criteri e gli orientamenti per discernere e accompagnare la persona verso una “missionarietà” matura.

Il discernimento personale va realizzato all’interno di un cammino di formazione e di auto-formazione continua nella direzione di uno sviluppo o crescita personale. E tutto ciò comporta dei processi di ri-strutturazione personale e di ‘sintesi sapienziale’.

Ogni percorso o iniziativa di formazione, infatti, dovrebbe favorire la declinazione di tutti i saperi tipici di ogni cammino di educazione degli adulti: sapere, saper fare, saper essere.

Una formazione che si presenti equilibrata deve puntare sia sul sapere in quanto tale, cioè sulla conoscenza, sia sul saper fare, cioè sull’acquisizione di abilità e di competenze, ma soprattutto sul saper essere, cioè sulla promozione di capacità relazionali e di ascolto, della riflessività, dell’interiorità, e in particolare sulla sapienza della vita. È indispensabile, tuttavia, che i processi formativi abbraccino tutte le dimensioni della persona e non solo sull’asse emotivo-razionale o su quello prevalentemente cognitivo, né tanto meno si fermino solo ai comportamenti da trasformare o ancora all’esperienza.

La formazione, del resto, non può essere solo teorica o teorico-pratica ma deve condurre alla trasformazione della persona, o meglio del cuore. Non si tratta, dunque, di acquisizioni nell’ambito del sapere o del saper fare, ma di una formazione che sia attenta ai processi di cambiamento, i quali riguardano gli atteggiamenti personali più che i comportamenti e vanno a modificare anche le abilità consolidate.

Ma cosa si intende per “formazione” perché sia veramente ‘trasformativa e soprattutto perché divenga educazione del cuore?

Benedetto XVI nell’Enciclica Deus Caritas Est riprende la parola ‘cuore’ – termine pieno di risonanze bibliche nella tradizione biblico-patristica – per esprimere tutto un programma di educazione umana integrale che ne comprende, sia gli aspetti cognitivi sia quelli emotivi e affettivi nell’ottica della verità profonda dell’uomo. Infatti, a proposito delle organizzazioni caritative della Chiesa, sottolinea che accanto alla disponibilità nel servizio alle persone, in particolare quelle che sono afflitti da varie forme di sofferenza, è necessario assicurare negli operatori innanzitutto la competenza professionale che «è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore. […] Quanti operano nelle Istituzioni caritative della Chiesa devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità. Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la «formazione del cuore»: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore (cfr Gal 5,6)». (Benedetto XVI, Deus Caritas Est  n. 31/a)

È fondamentale allora curare la formazione del cuore per essere capace di incontrare veramente l’altro, di comprenderlo e di aiutarlo ad essere se stesso, per essere in grado di guardare il proprio mondo emozionale, la propria sessualità nelle sue dimensioni di tenerezza, di piacere e di fecondità senza eccessivi timori, di riconoscere le proprie immaturità, di vincere le resistenze o le eventuali difficoltà di relazione.

Chi è deputato all’educazione, e in particolare all’accompagnamento formativo, dovrebbe aver raggiunto un livello maturo di consapevolezza di sé, una trasparenza di sé che gli consenta di gestire le relazioni interpersonali con una certa libertà e creatività, in modo da generare vita e libertà intorno a sé.

  1. “Educazione del cuore” come processo di maturazione affettiva nel cammino di crescita personale e vocazionale

 

Nel percorso di crescita personale e vocazionale verso la costruzione di una identità di vita liberamente scelta la maturazione e l’integrazione affettiva occupa un posto centrale. Ogni scelta di vita, ogni progetto vocazionale trova la sua solidità e, nello stesso tempo, la sua realizzazione piena sulla base di una personalità sufficientemente autonoma, che abbia costruito un concetto di sé abbastanza armonico e unitario tale da costituire il nucleo centrale dell’identità personale, culturale e vocazionale. In tal senso, è lecito interrogarsi se potrà essere autentica l’educazione che trascuri la consapevolezza di sé, l’autostima, l’empatia e la relazionalità che si correla con la solidarietà.

Imparare a rimanere in contatto con il proprio mondo emozionale e con esso saper interagire con la realtà in certe situazioni della vita è un traguardo di salute mentale che sostiene uomini e donne durante tutto l’arco della vita. La mancanza di educazione degli affetti impedisce una crescita corretta e fissa su oggetti inadeguati o sbagliati una quantità di energie che invece dovrebbero trovare, specie nell’adulto, oggetti più specifici, più “umani”. Se a livello educativo si curasse di più l’educazione del cuore (o educazione degli affetti) e la capacità di rimanere a contatto con le proprie emozioni, molte difficoltà e crisi si potrebbero prevenire e le persone darebbero più disponibili e aperte ad andare incontro all’altro, sia nelle relazioni quotidiane, sia nella missione pastorale. Le conseguenze di tale mancanza di educazione affettiva si visualizzano spesso nella vita familiare o nelle interazioni sociale: bambini che non imparano a leggere il proprio codice emotivo e rimangono “fissati” sui bisogni infantili, adolescenti che leggono la realtà secondo un codice emotivo interiorizzato nella relazione arcaica con la madre, donne scontente perché non sempre possono esprimersi in modo adulto e uomini che si induriscono nel tentativo di dimostrarsi “razionali” in ogni situazione, incapaci di esprimere il loro mondo interiore o qualsiasi emozione, sia essa positiva che negativa, nelle relazioni con gli altri, soprattutto coloro con cui hanno stabilito un legame affettivo.

Ma il problema dell’affettività è da ripensare, come pure l’educazione del cuore, in un contesto storico-culturale totalmente cambiato in rapporto al modo di concepire gli affetti, le relazioni, la corporeità e la sessualità. Oggi, le sfide del tema sono molteplici, non sempre facili da individuare e tanto meno da affrontare.

Nella cultura contemporanea, di fronte alle radicali trasformazioni dell’affettività e della sessualità tipiche di una società della globalizzazione, da un lato si costata la difficoltà a trovare modelli interpretativi adeguati, dall’altro si rileva un’accresciuta attenzione ai processi di crescita (risorse e compiti evolutivi) e alle dinamiche relazionali che sono alla base dei processi di maturazione affettiva.

Inoltre, occorre prendere in considerazione la diversità delle culture e il tipo di educazione ricevuta nell’ambiente di provenienza, e soprattutto i paradigmi mentali che sottostanno al concetto di affettività e di sessualità. In tal senso, sono molto utili le indicazioni derivanti dalle scienze umane, in particolare l’antropologia culturale e la sociologia dei processi culturali e dell’educazione.

Parlare di educazione del cuore comporta una certa conoscenza delle scienze dell’educazione per poter individuare i presupposti di una lettura ‘educativa’ della situazione attuale. A mio avviso, occorre identificare in primo luogo i nodi antropologici sottostanti, per riuscire a trovare le chiavi di lettura dei fenomeni ricorrenti senza cadere in approcci moralistici nei riguardi dell’affettività e sessualità, che meritano invece di essere valutati con serietà e profondità sia a livello scientifico che educativo.

Gli studi e le ricerche sull’argomento fanno emergere come tutte le problematiche legate all’affettività e sessualità ruotano intorno a tre temi che, in ultima analisi, costituiscono anche i tre nodi antropologici della cultura contemporanea: centralità della persona, conflittualità tra sentimento e vissuto, alterità/relazione. [1]

È importante, inoltre, prestare attenzione alle risorse e ai processi di crescita, o meglio alle esigenze e compiti di sviluppo che caratterizzano le diverse stagioni della vita, più che ai problemi, alle difficoltà o altre forme di disagio e di patologia.

L’educazione del ‘cuore’, infine, trova la sua efficacia inequivocabile nella centralità della relazione, in particolare nella relazione educativa, che si attua sia nel processo di accompagnamento personale che di gruppo: la messa in moto dei dinamismi affettivi attraverso la relazione interpersonale permette una più adeguata e realistica conoscenza di sé e del proprio mondo emozionale (conoscere ‘dentro’ l’esperienza).

La capacità di sperimentare affetto, di esprimere la propria affettività attraverso un’emotività armonica, è indispensabile per la formazione di una personalità sana. Per questo, la maturazione affettiva riguarda il soggetto nella sua globalità e non soltanto i suoi aspetti somatici o le funzioni pertinenti alla sfera sessuale.

L’affettività e la sessualità sono dimensioni della persona, che tuttavia è sempre una realtà unitaria: esse infatti devono coniugarsi con l’intelligenza, la corporeità, la volontà e il proprio sistema di valori. In tal senso, un’affettività e sessualità poco integrata o disturbata comporterà sempre qualche disturbo in altre sfere della personalità. Appare evidente, quindi, la complessità e l’importanza di questo nucleo tematico, ma si rende necessario prima di tutto definire meglio i concetto di affettività e sessualità con le sue differenti accezioni.

  1. Educazione dell’affettività: come intenderla?

 

Innanzitutto vorrei chiarire che l’affettività e la sessualità, da un punto di vista strettamente psicologico, costituiscono dei processi di sviluppo, sono realtà particolarmente complesse, entrambe collegate all’identità personale e alla storia psicologica di ciascuno. Esse segnano profondamente la persona a tutti i livelli, a partire dal livello corporeo; si tratta dunque di dimensioni pervasive della vita e dell’identità tanto da permeare tutte le espressioni dell’esistenza umana, dal lavoro alle relazioni, alle scelte di vita, all’amore, alla religiosità.

Gli studi e l’esperienza clinica evidenziano come non sia facile distinguere lo sviluppo psicoaffettivo da quello psicosessuale.

Questi processi, che non sono paralleli, talvolta interferiscono tra loro e con altre dimensioni o aspetti della personalità, come l’aggressività, la relazionalità e la corporeità, le motivazioni e i valori, la forza e l’espansione dell’Io, ecc.

Del resto, la stessa sessualità non riguarda solo il livello biologico, bensì anche le motivazioni, i valori, e la capacità di perseguire degli scopi di carattere antropologico, sociale e religioso. L’esperienza dimostra che quando si opera una scissione tra questi aspetti, tutti importanti ed essenziali per vivere in maniera armonica la sessualità, si perviene a forme di immaturità e di regressione che fissano la persona a stadi primordiali dello sviluppo.

L’affettività, in particolare, abbraccia tutto il mondo delle emozioni e dei sentimenti e consente alla persona di partecipare agli avvenimenti, di stabilire legami affettivi, relazioni di amicizia, di fraternità e di coppia, e non è disgiunta dalla sessualità che, pur essendo strettamente legata alla sfera biologica senza però ridursi ad una questione di genitali, si presenta come un sistema complesso in cui, oltre alla dimensione energetica e di pulsionalità, c’è quella ideale e di significato che la rende profondamente ‘relazionale’ e quindi ‘umana’. Entrambe sono strutturalmente ‘relazionali’, perché spingono la persona fuori da sé, all’incontro con l’altro, nel superamento dell’individualismo o dell’isolamento narcisistico.[2]

L’affettività e la sessualità, quindi, in quanto realtà complesse e ambivalenti, comportano dei percorsi differenziati ma interdipendenti e continuamente interagenti con altre dimensioni della personalità (come ad esempio: la corporeità, l’aggressività, la relazionalità, le motivazioni e i valori, la religiosità, la forza ed espansione dell’io, …)

La maturazione affettiva, pertanto, va considerata sempre nel quadro globale di una maturità umana dinamicamente intesa: per questo l’opzione per il matrimonio, per il celibato consacrato o per qualunque altra scelta esige alcune condizioni di equilibrio e di unitarietà della propria vita, inoltre presuppone lo sviluppo di una certa autonomia e di una chiara progettualità personale.

I percorsi di maturazione dell’affettività e sessualità, si intrecciano con tutti i percorsi maturativi che contemporaneamente si realizzano nello sviluppo globale della persona umana. Si tratta di raggiungere progressivamente una certa unificazione di sé quale nucleo centrale dell’identità di cui le singole aree di maturazione fanno parte. Ne deriva che, di fronte alle scelte diversificate di vita che esigerebbero livelli diversificati di maturazione, si richiedono alcune condizioni di equilibrio e di unitarietà della propria vita, come una certa autonomia ed una chiara progettualità, sia per la scelta del matrimonio che per quella del celibato consacrato o per qualunque altra scelta.

 

  1. Affettività e sessualità: le coordinate di una situazione in cambiamento

 

Le ricerche e gli studi, ma soprattutto l’esperienza educativa e pastorale fanno emergere, specialmente nel mondo giovanile, situazioni di grande mobilità e di profonde trasformazioni nel modo di vivere e di concepire l’affettività e la sessualità.

Se si dà uno sguardo alla situazione dei giovani di oggi, soprattutto in Italia e in Europa, si scopre la presenza di vistosi panorami di immaturità nel settore emotivo, che talvolta non tocca direttamente l’affettività e la sessualità, bensì riguarda la maturità umana globale e, in particolare, i processi di formazione dell’identità personale.

I giovani del contesto culturale odierno sembrano incontrare maggiori difficoltà di maturazione rispetto alle generazioni precedenti in un contesto sociale e familiare che favorisce la dipendenza psicologica e affettiva, ritardando sempre più il tempo del loro ingresso nel mondo adulto e del lavoro. La loro autonomia è segnata dall’ambivalenza tipica di chi non ha ancora abbandonato il ‘nido’ e non riesce a rinunciare ai vantaggi del clima protetto e protettivo della famiglia e della società che li intrattiene nella dipendenza, sicché anche i processi decisionali sono di fragile tenuta caratterizzati da un’incertezza per così dire ‘endogena’.

La loro vita affettiva è caratterizzata da incertezza e frammentarietà, instabilità e dubbio. Nel contesto dell’attuale società dell’informazione e della comunicazione, dove le nuove tecnologie stanno ridisegnando nuove mappe di stili comunicativi e relazionali, nuovi modi di vivere i legami che diventano sempre più deboli e ‘nomadi’, si stanno creando anche nuove difficoltà e problemi a livello affettivo, emozionale e sessuale. Si comprende allora perché il narcisismo e l’immagine di sé entrano in collisione quando l’impatto con una realtà, non più ‘virtuale’, esige un processo dinamico di de-condizionamento dai residui d’identità collettiva e d’immaginario, tipici della cultura narcisistica e audiovisiva; la ricerca di forti emozioni attraverso il visivo, l’immaginario, il sentito diventa spinta e motivazione di strategie relazionali le più disparate, dall’eccessivo coinvolgimento di un’affettività vischiosa ed invischiata (‘erotismo a fior di pelle’) al rifiuto di entrare in relazione per paura di impegnarsi e di coinvolgersi (‘anestesizzazione’ della sensibilità).

A volte i giovani sono così disorientati e vivono una gran confusione nei sentimenti, al punto da non saper distinguere tra un’attrazione affettiva a livello di amicizia e una tendenza omosessuale, tra vissuti di innamoramento e sentimenti di amore vero, che è fondato sulla passione (emozionalità) ma anche sulla decisione, sulla determinazione e sull’impegno.

La vita affettiva degli adolescenti e dei giovani presenta, dunque, delle istanze nuove e una serie di nodi critici, tra cui i principali sono i seguenti:

  1. La virtualizzazione dell’esperienza emotiva ed affettiva

Si tratta di uno dei problemi ‘nuovi’ derivanti dalle tecnologie comunicative di nuova generazione. Le interazioni virtuali nel cyberspazio della rete internet, ormai divenute una realtà per migliaia di giovani, costituiscono una modalità comunicativa che offre la possibilità di vivere delle relazioni svincolate dalla corporeità e quindi dai legami sociali. L’esperienza affettiva così vissuta senza un corpo, senza una presenza reale, genera tra l’altro un’incapacità di ‘sentire’, nel senso di ‘patire’, mancando la possibilità di un’interiorizzazione dell’esperienza affettiva ed emozionale. In genere, le relazioni interpersonali, i legami ‘forti’  si costruiscono a partire da interazioni strutturate in cui, oltre all’intimità e la confidenzialità, c’è la condivisione dello spazio, anche corporeo, la spontaneità e la frequenza del contatto. Questa mancanza di esperienza provoca una situazione, peraltro abbastanza frequente, di «anaffettività», segno della difficoltà ad elaborare gli affetti, i sentimenti e le emozioni.

  1. L’erosione dei legami affettivi e la ‘relazionalità pura’

Nel contesto culturale attuale in cui la domanda di relazione sta assumendo una rilevanza forse sconosciuta finora, il predominio di ‘relazioni virtuali’ che generano legami poco duraturi ed impegnativi amplifica la tendenza all’erosione dei legami affettivi che vengono radicalmente messi in discussione. Ciò si ricollega a un altro fenomeno, quello della relazionalità pura che costituisce una forte criticità, anche se a mio avviso potrebbe essere trasformata in risorsa. È un fenomeno che presenta per se stesso una serie di contraddizioni, come ad esempio, il fatto che, essendo la relazione basata sulla comunicazione emozionale, è piuttosto fragile, perché il legame che si instaura è soggetto alla vulnerabilità e all’instabilità delle emozioni. La durata quindi non può essere scontata, ma può concludersi nel momento in cui finisce l’attrazione emotiva e sentimentale.

L’esperienza, al contrario, conferma che una relazione per avere durata ha bisogno che ci sia un impegno. Si deve sviluppare, cioè, una storia comune e, soprattutto una donazione reciproca che continua perché fondata sulla determinazione di continuare ad amare l’altro/a.

  1. Il culto dell’intimità interpersonale e la privatizzazione della sessualità

L’individualismo moderno tende a fare della sessualità una ‘faccenda personale’ e quindi a vivere la relazione interpersonale nel culto dell’intimità. L’interrogativo di fondo che si pongono gli studiosi è se questo modo di intendere e di vivere la sessualità ‘genera legami’ o se ‘libera dai legami’. Di fatto, si verifica che più forti sono le spinte all’autorealizzazione individuale, più alte sono le probabilità che la dimensione sessuale non trovi più una sua realizzazione in un legame stabile. Più forti sono le spinte all’individualizzazione, più alte sono le probabilità che la dimensione sessuale non crei più legami, ma solo contatti occasionali o relazioni “leggere” e non coinvolgenti. [3]

Tali relazioni cosiddette ‘tascabili’ sono l’incarnazione dell’istantaneità e della ‘smaltibilità’.[4] Stress, consumismo ossessivo, paura sociale e individuale, legami fragili e mutevoli disegnano di conseguenza una famiglia dalla fisionomia sempre più effimera e incerta e una generazione di giovani molto flessibili e instabili a livello emozionale. Ne deriva che l’intimità interpersonale e la stessa sessualità fanno fatica ad esprimersi, ma soprattutto a rispondere al bisogno profondo della persona di amare e di essere amata che duri nel tempo.

  1. L’emergenza della sessualità come compito di sviluppo “oltre l’immaginario”

Si tratta di far fronte a quella che costituisce una vera sfida educativa, in linea con le acquisizioni della psicologia dello sviluppo, cioè cogliere l’emergenza della sessualità come un compito di sviluppo ‘oltre l’immaginario’. E ciò è cruciale in adolescenza, dal momento che la pubertà e la ricerca dell’identità costituiscono lo sfondo su cui si collocano le profonde trasformazioni della personalità, proprio a partire dall’immagine corporea: al corpo percepito, ‘sognato’, vissuto e poi sperimentato non solo in maniera individuale ma in relazione con gli altri. In tal senso, la relazionalità deve essere orientata ‘oltre l’immaginario’ infantile, ancora narcisistico, per approdare alla costruzione di un legame che si nutre di realismo e di impegno.

In una dinamica evolutiva, è fondamentale tener conto del rapporto con il tempo e con lo spazio, che, invece, viene ‘negato’ dalla virtualità dell’immaginario. Ne deriva una grande difficoltà da parte dei giovani di occupare il proprio spazio interiore’ (interiorità) e di vivere un sano rapporto con la corporeità e la fisicità (espressione della propria identità).

  1. Incertezza dei processi identitari

Nel contesto della globalizzazione in cui si assiste alla negazione della differenza fondamentale tra maschile e femminile, che invece permette di riconoscere tutte le altre differenze, l’enfatizzazione posta sull’omosessualità, l’esaltazione dell’unisex come moda culturale sembra costituire un ostacolo per avviare i processi di identificazione e differenziazione che sono necessari alla crescita della personalità e nello stesso tempo rende più problematiche le relazioni interpersonali e l’integrazione dell’affettività e della sessualità.

La ricerca dell’identico e del simile, che si osserva soprattutto negli adolescenti i quali vivono relazioni prevalentemente amicali e fusionali, accresce le problematiche affettive segnate dall’immaturità e da turbe d’identità. La vita affettiva e sessuale dei giovani difatti è caratterizzata da una certa oscillazione tra unisessualità (confusione sessuale) e allontanamento dall’altro/a (tendenza all’isolamento o a scegliere una vita da ‘single’ oppure la tendenza al rifugio nel celibato, anche consacrato).

L’incertezza dei processi che conducono alla costruzione dell’identità, in particolare l’identità maschile e femminile, è anche legata all’influsso degli stereotipi di genere. In merito, gli studi e le ricerche evidenziano che la problematica dell’identità psicosessuale è connessa alle rappresentazioni di ruolo sessuale interiorizzate e che esse risultano ancora segnate dal ‘dominio maschile’. Si nota, inoltre, la tendenza a posizionarsi tra visioni tradizionali e nuove rappresentazioni. Mentre a proposito dei ruoli di genere sembra prevalere una visione stereotipica, cioè segnata da una certa disuguaglianza di relazioni simboliche e di potere tra uomini e donne, circa i rapporti di coppia emerge invece la tendenza a relazioni simmetriche tra ragazzi e ragazze, nel senso che appaiono impegnati nella costruzione di un universo di significati per parlare il linguaggio del riconoscimento reciproco. Infatti, i nuovi orientamenti culturali che accomunano i due generi sono l’apertura verso la sfera dell’intimità e gli aspetti espressivi della relazione, l’investimento sulle dimensioni emozionali e comunicative dello stare insieme, la necessità di comprendersi l’un l’altro e l’importanza della condivisione delle esperienze.

Facendo una lettura in chiave educativo-pastorale di tale situazione, non si possono trascurare alcune tendenze che interpellano fortemente gli educatori e gli operatori pastorali:

  • il ritirarsi progressivo del mondo degli adulti e solitudine autoreferenziale;
  • la ‘debolezza’ dei modelli educativi familiari e degli stili relazionali degli adulti e invadenza della comunicazione massmediale con i suoi modelli comportamentali;
  • il prevalente peso e importanza del gruppo e dei coetanei;
  • i modi diversi di «negare» spazi di vita reale, di relazioni concrete, di contatto diretto con la natura, il mondo, gli altri, la città o il paese, come reale impedimento all’elaborazione di interessi e bisogni vitali che proprio attraverso il corpo si ha necessità di mettere in atto;
  • la rete come ‘luogo di apprendimento e di socializzazione’ alla sessualità
  • la relazione uomo-donna tra vecchi e nuovi percorsi… (globalizzazione e omologazione delle differenze, identità frammentate, identità polimorfe e ‘pluralità egoica’, debolezza dell’alterità,…);
  • la fede come esperienza di relazione e di fiducia che rimanda alla presenza di ‘mediazioni’ educative, ma soprattutto alla necessità di un accompagnamento educativo.

 

 

  1. Alcuni indicatori e criteri per un discernimento vocazionale personale

 

Poiché la maturazione affettiva investe diversi ambiti, emozioni, sentimenti, relazioni, sessualità, corporeità, ed è strettamente connessa alle motivazioni e ai valori che orientano i comportamenti della persona, nel processo di discernimento personale e vocazionale è indispensabile individuare alcuni criteri che, tenendo conto del cammino di consapevolezza di sé e della propria storia personale, permettano di analizzarla in tutti i suoi molteplici aspetti. Il discernimento dunque dovrebbe attuarsi almeno a tre livelli: il livello emotivo, affettivo-sessuale e relazionale.

 

  • A livello emotivo è importante prestare attenzione alla capacità di auto-dominio, che non consiste solo nell’autocontrollo o nella repressione di sensazioni, emozioni, sentimenti specie se incompatibili con la scelta di consacrazione, ma nella capacità di orientare e canalizzare le energie nella direzione del dono di sé e dell’integrazione armonica dei bisogni istintivi o acquisiti (golosità, tabacco, alcool, computer, ecc.). Ciò suppone un sufficiente e positivo contatto con le proprie emozioni; un adeguato autocontrollo dei propri impulsi, specie sul piano affettivo e sessuale; una certa padronanza e stabilità emotiva nel reagire agli stimoli interni ed esterni.

  • A livello affettivo-sessuale occorre verificare la presenza delle condizioni per vivere con lucida consapevolezza la propria scelta di vita, sia nel matrimonio sia nella verginità consacrata e/o nel celibato sacerdotale e per essere capaci di intessere legami affettivi sereni e liberi. Si tratta, cioè, di vagliare il grado di maturazione e di integrazione personale delle energie affettive e sessuali raggiunto, senza eccessivi elementi di disturbo; e di cogliere le potenzialità/risorse di cui la persona dispone. Alcuni indicatori positivi di tale maturazione sono: un sano amore di sé, un rapporto positivo con il proprio corpo, una certa conoscenza e accettazione della propria sessualità, un atteggiamento sereno di fronte all’altro sesso, una capacità di legami profondi e di intimità, ecc.

  • A livello relazionale elementi positivi sono una buona capacità di rapporti interpersonali (amicizia, legami stabili e significativi, dono di sé, apertura e comunicazione, …). Attenzione ai seguenti indicatori di maturità: capacità di stabilire relazioni di amicizia serena e sincera senza eccessive dipendenze psicologiche, apertura agli altri e ai loro bisogni, attitudine a collaborare con tutti, accoglienza della differenza come un valore, disposizione al dialogo, all’ascolto dell’altro.

Il discorso della maturazione affettiva non può essere distinto o staccato dai processi maturativi globali, che riguardano cioè tutte le altre sfere della personalità, dall’autonomia all’intelligenza, alla volontà. Per poter coniugare insieme le dimensioni dell’affetto e della sessualità nelle relazioni e nei legami affettivi o di amicizia o nel rapporto di coppia, l’adolescente deve possedere competenze relazionali ed emotive più generali, come ad esempio, la capacità di identificare e valutare le conseguenze del proprio comportamento, la capacità di decisione e di scelta, il saper negoziare negli scambi interpersonali, la capacità di autodeterminazione ed autocontrollo emotivo, la capacità di prendere le giuste distanze e di creare legami affettivi sufficientemente liberi e appaganti.

Perché i percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità siano efficaci e ben progettati è indispensabile inquadrarli nel contesto di un’educazione integrale, che chiama in causa tutto, dalla corporeità, al sentimento e al mondo emozionale, dalla sessualità all’identità psicosessuale, dalla conoscenza alle motivazioni e ai valori, dalla temporalità alla progettualità, dalle scelte alle decisioni, ecc…

 

  1. Fattori prognostici e indicatori di maturazione

Il processo di discernimento e quindi di accompagnamento personale deve prendere in seria considerazione alcuni fattori che possono essere ‘prognostici’ di equilibrio nel vivere le scelte vocazionali con gioia e con serenità e soprattutto con una certa maturità:

  • un’approfondita conoscenza della storia familiare e affettiva della persona, delle modalità comunicative e relazionali dei genitori a partire dalla primissima infanzia;
  • la presenza di un ‘narcisismo moderato’ che è alla base di un sano amore di sé;
  • la capacità di fidarsi/affidarsi, fondamentale in ogni autentica relazione umana.

Gli indicatori che segnalano la positività di tali fattori sono i seguenti:

  • una conoscenza di sé abbastanza attendibile,
  • la capacità di investire le proprie risorse psichiche in modo autonomo, determinato e finalizzato,
  • la forza sufficiente per tollerare le frustrazioni – che sono inevitabili nella vita di ogni giorno – ed elaborare i conflitti;
  • l’aver fatto almeno qualche positiva esperienza di legami affettivi;
  • Flessibilità nel vissuto del proprio corpo e della sensibilità associata,
  • Il saper mantenere le ‘distanze ottimali’ nei diversi tipi di legami relazionali e saper elaborare la loro perdita,
  • la capacità di formulare e di adattare costantemente la propria visione ed interpretazione della realtà in coerenza con dei valori etici accolti senza riserve e in una dinamica di fede.

Infine, mi piace richiamare l’attenzione su uno dei concetti chiave di ogni percorso di educazione affettiva, e che ha bisogno di superare l’ambiguità a cui spesso è sottoposto nella cultura contemporanea. Mi riferisco al termine amore che – come sottolinea Benedetto XVI – ha una molteplicità di significati che talvolta indicano realtà totalmente diverse.

Maturare nella capacità di amare, comporta la considerazione di tre dimensioni fondamentali o fattori costitutivi dell’amore autentico: intimità, passione, impegno.

  • L’intimità, fattore complesso, tipico dei rapporti amorosi, comprende il sentimento del legame, derivante da una positiva esperienza di accoglienza e di riconoscimento da parte dell’altro, mediante l’ascolto e la cura, il rispetto e la stima.

  • La passione esprime la componente più emozionale derivante dall’attrazione, non solo fisica, che trova la sua immediata origine nella dimensione erotica della sessualità, laddove l’aspetto estetico porterebbe all’idealizzazione e l’aspetto istintuale è fonte di energia passionale, di per sé inebriante e vitale, ma che tuttavia può scadere nell’esclusività, nel possesso e nel puro piacere incontrollato.

  • La decisione, radicata nella passione e sostenuta dal legame di intimità, comporta la determinazione, la scelta di amare e di continuare il legame affettivo a lungo termine. Esige cioè l’impegno a protrarre nel tempo il legame che è divenuto un ‘vincolo’ sentimentale stretto e continuativo. Senza la componente decisionale, senza cioè la scelta del legame, saranno dominanti nella relazione la passione e l’intimità (anche sessuale) che di per sé sono ancora indeterminati e sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcun altro. Non vi potrà essere vera scoperta dell’altro, né l’amore potrà divenire cura dell’altro e per l’altro senza la disponibilità lucida a tale processo decisionale. Così non vi potrà essere stabilità e sicurezza, perché più facilmente esposta all’erosione del legame: il fuoco fatuo dell’emozionalità ben presto può spegnersi o riaccendersi all’occorrenza.

Al contrario, l’amore vero invoca stabilità e sicurezza: «l’amore – scrive Benedetto XVI – promette infinità, eternità – una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. […] La via per tale riguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall’istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia» (Deus Caritas Est, 5). E continua più avanti: «Fa parte degli sviluppi dell’amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò in duplice senso: nel senso dell’esclusività –‘solo quest’unica persona’ – e nel senso del ‘per sempre’. L’amore comprende la totalità dell’esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l’amore mira all’eternità» (Deus Caritas Est, 6).

  1. Condizionamenti e/o ritardi nella crescita e situazioni problematiche

La maturazione affettiva presuppone una crescita ‘corretta’, cioè senza eccessivi condizionamenti o ritardi, senza consistenti blocchi e inibizioni affettive che impediscono la costruzione di una personalità capace di amare e di stabilire relazioni positive, libere e mature con gli altri, con se stessi e con Dio.

Di fronte a una crescita non ‘corretta’ o a situazioni problematiche per una risposta vocazionale matura è importante individuare, mediante un delicato e attento discernimento, quali sono i condizionamenti e i ritardi nella crescita e nello sviluppo che la persona talvolta non sa gestire, né sa ‘dare un nome’ perché ne è inconsapevole, pur avvertendo il disagio interiore perché, comunque essi rendono difficile la vita affettiva e relazionale. Le aree in cui tali condizionamenti si possono visualizzare sono in particolare, l’area dell’identità personale e culturale, l’area delle relazioni sociali o dei legami affettivi interpersonali, l’area della professionalità o dell’esperienza lavorativa, la’rea della vita di fede, della vita di gruppo o di comunità, l’area della missione apostolica, educativa o evangelizzatrice.

Il processo di discernimento e di accompagnamento vocazionale inoltre può trovarsi dinanzi a situazioni problematiche per una risposta vocazionale libera e matura, al punto da dover talvolta costatare delle zone di immaturità che rasentano la patologia, soprattutto in alcune aree che sono centrali nella personalità di chi si dedica in particolare all’attività educativa o di cura, e che opera a servizio della persona.

Non è qui il luogo per approfondire tale tema, ma credo che possa essere utile almeno indicare le zone della personalità in cui si può verificare un maggiore rischio di coinvolgimento personale che potrebbe avere dei possibili risvolti negativi: i processi di costruzione dell’identità personale, l’area delle relazioni affettive e della sessualità, in particolare nella sua dimensione erotica e relazionale, l’area cognitiva e quindi dell’apprendimento, l’ambito delle abitudini e dei comportamenti, …

Gli effetti possibili possono cogliersi in alcune aree di visualizzazione della psicopatologia (nucleo relazionale, nucleo della valutazione e stima di sé, nucleo sessuale, nucleo aggressivo, ecc…). Basti pensare, ad esempio, ai fenomeni di pedofilia, di abusi sessuali, di dipendenze patologiche sia dal sesso, sia dall’alcool, dalla droga che da internet o dal gioco.

Tutto ciò fa comprendere l’estrema complessità del tema e quindi la necessità di preparazione specifica e qualificata da parte delle guide spirituali che operano nel processo di discernimento personale e vocazionale. Resta tuttavia ferma l’idea che il primo, principale criterio di discernimento è la prudenza.

  1. I percorsi di crescita personale

Al di là delle tappe solitamente indicate dalla psicologia dello sviluppo nella descrizione del processo di maturazione affettiva (fase egocentrica, idealistica e oblativa), ci sono dei percorsi maturativi che, proprio in rapporto alla scelta vocazionale, sia nel matrimonio, sia nell’ambito della vita consacrata e del sacerdozio o nella scelta di un volontariato missionario, non si possono eludere:

  1. elaborare il narcisismo o meglio ‘andare oltre’ il narcisismo. Esso è fondamentale per il costruirsi dell’identità, in quanto consente alla persona di sperimentarsi come singolarità psicobiologica, come unicità personale, tuttavia con la crescita e con il passare degli anni deve diventare sempre più sano e maturo, trasformandosi, cioè, da narcisismo primario ad narcisismo secondario;

  1. fare l’esperienza dell’alterità che implica un progressivo cammino di decentramento e di apertura all’altro, alla diversità, premessa indispensabile per maturare nella reciprocità delle relazioni;

  1. confronto con la diversità sessuale, luogo di maturazione relazionale e affettiva, di consolidamento della propria identità psicosessuale, ma anche di integrazione delle energie affettive e sessuali.

Per l’approfondimento di queste tappe di crescita rimando alle ‘Schede allegate’[5] che descrivono nel dettaglio il significato e le implicanze di tali percorsi di maturazione.

 

 

  1. Quali cammini di formazione?

L’educazione dell’affettività, in quanto processo e itinerario, non è facile da assumere e da vivere. É necessario un cammino di maturazione che si colloca all’interno di un percorso più ampio di crescita umana. Infatti, i percorsi di crescita verso tale integrazione s’intrecciano con quel lungo iter di maturazione che l’uomo e la donna compiono per costruire la propria identità, per divenire se stessi. E nello stesso tempo si incrociano con il cammino di crescita vocazionale proprio della persona che nel rispondere a una chiamata riorganizza la propria personalità e tutta l’esistenza intorno alla scelta di vita che compie. Tali cammini si realizzano in primo luogo a livello personale ma anche a livello comunitario.

 

  1. A livello personale

Occorre innanzitutto che ogni persona si impegni a realizzare i compiti di sviluppo propri di ogni stagione della vita e orienti il suo cammino verso i traguardi essenziali di ogni crescita umana.

Compito imprescindibile di tutta la vita, qualunque sia la vocazione a cui si è chiamati o la scelta di vita che si intraprende, è quello di essere se stessi secondo ciò che si è chiamati ad essere. Ma essere se stessi ed esserlo nel cambiamento, cioè nonostante le trasformazioni interne ed esterne connesse alle diverse età della vita e alle transizioni culturali, non è così facile: ad ogni svolta dell’esistenza, infatti, ci si ritrova di fronte al compito di riprendere in mano questa esigenza fondamentale.

Uno tra i traguardi fondamentali della crescita personale è quello di accettare la propria storia, che è tessuta di fatti vissuti, di persone incontrate, di relazioni, di esperienze, di problemi risolti o non risolti, ma soprattutto di significati e riflessioni fatte su di essi. Infatti, «l’identità corrisponde all’accettazione di tutto quanto ci è accaduto: di tutto quello che abbiamo incluso o escluso, di ciò che siamo diventati o non siamo diventati affatto, di quel poco che abbiamo affrontato tentando di trovare una traiettoria esistenziale sufficientemente concatenata a ragioni pratiche o ideali, oppure, a quel molto che non siamo riusciti affatto a coordinare, trattenere per sempre, razionalizzare a nostro piacimento».[6]

Un altro cammino di formazione che costituisce la base di ogni percorso di maturazione affettiva e di qualunque scelta o decisione è dato dal processo di autonomia, soprattutto affettiva e relazionale, che promuove a sua volta una certa libertà interiore. Autonomia e libertà interiore sono il segno di una raggiunta maturità umana che contraddistingue le persone pienamente realizzate.

L’autonomia come processo di maturazione abbraccia diversi ambiti e tra questi è fondamentale l’ambito affettivo. Una certa autonomia affettiva consente alla persona di essere se stessa, anche all’interno di un forte e significativo legame affettivo. In tal senso, principale compito evolutivo è quello di imparare a mantenere le ‘distanze ottimali’ nelle relazioni (amicizia, mediazioni educative, autorità, ecc.) e nelle situazioni. Affrontare la naturale situazione di dipendenza affettiva che si viene a creare, ad esempio, nel rapporto amicale, è un delicato e impegnativo punto di arrivo che esige una formazione specifica e solida. Atteggiamenti di possessività e di dominio, forme sottili di manipolazione o strumentalizzazione tipiche di una struttura narcisistica di personalità possono ostacolare la crescita nella libertà e nell’autonomia, minando in partenza la possibilità di assumere responsabilmente la propria vita e la propria crescita e quindi di fare delle scelte mature.

L’autonomia comporta necessariamente la capacità di affrontare la solitudine di essere se stessi.

Infatti, la creazione di una propria autonomia è un processo psicologico centrale per la formazione dell’identità. La consapevolezza di sé, infatti, si rafforza proprio mediante la capacità di stabilire un confine, di prendere cioè una distanza tra sé e gli altri, in particolare dagli adulti significativi, ma anche dai coetanei. Ciò esige necessariamente la solitudine, che pur coesistendo con il desiderio di stare in compagnia, diventa funzionale alla scoperta e alla sperimentazione di sé, la presa di distanza dagli altri e dal mondo favorisce un percorso di crescita in autonomia.

Fino a che non si diventa auto-consapevoli della propria identità, fino quando non si accetta la propria unicità e solitudine, non si riuscirà ad affrontare l’intimo conflitto per rielaborare le diverse modalità di comunicazione interpersonale, i compromessi delle relazioni, i significati propri di ciascun incontro interpersonale. Ma anche questo processo fin dall’adolescenza deve fare i conti con la solitudine, meglio ancora con una solitudine ‘ricercata’ come esigenza di avere uno ‘spazio per sé’, in cui ritrovarsi per sperimentare e ripensare il proprio vissuto interiore, fino a giungere a sviluppare un sentimento autonomo di sé

La solitudine, se vissuta sullo sfondo di un contesto relazionale positivo, può divenire una vera opportunità di crescita piuttosto che essere un rischio. Essa costituisce uno ‘spazio evolutivo’ di crescita, una via ‘obbligata’ per scoprire la propria identità e il proprio posto nella vita, e conseguentemente un luogo di incontro e di scoperta del senso della vita.

Un altro punto cruciale su cui ogni itinerario di formazione del cuore dovrebbe puntare è quello della lotta contro l’auto-referenzialità mediante l’apertura al confronto e alla relazione di alterità.

Come sostiene Bauman, in una società e in una cultura globalizzata è diventato particolarmente difficile realizzare dei percorsi di crescita nell’autonomia e nella libertà. Egli si interroga, infatti, quali spazi di autonomia può rivendicare il soggetto che appare piuttosto depotenziato nella sua libertà di essere e di pensare. Per lui l’autonomia odierna ha a che fare piuttosto con l’auto-referenzialità, con una concezione monadologica degli individui, poiché alla privatizzazione sfrenata vigente in economia corrisponde l’autarchia dei sentimenti e del disagio.[7]

Difatti, la lotta per l’identità personale o culturale provoca facilmente una sorta di rifiuto per il confronto e la messa in discussione, quasi come se illusoriamente solo il proprio Io e il proprio modo di vedere e di essere sia l’unico e perfetto riferimento. In tal caso l’altro viene percepito come una minaccia. È come se si dicesse: ‘ho fatto tanto per essere me stesso e adesso tu mi dici che sono fatta male e devo cambiare’.

Paradossalmente il chiudersi al confronto e il non aprirsi alla relazione diventa un alto rischio, in quanto l’identità è un processo che a lungo andare necessita di un confronto. È abbastanza diffusa, non solo tra i giovani, la sensazione che il confronto sia inutile e umiliante, come se ci fossero delle ferite nell’autostima. Prendere coscienza di ciò può aiutare nel cammino di crescita sia personale che vocazionale, ma anche dal punto di vista spirituale, perché si impara a lasciarsi guidare da Dio ed anche dalle mediazioni educative che ci sono poste accanto.

Del resto, la capacità di lasciarsi accompagnare e di affidarsi nell’incontro personale alle mediazioni formative non si improvvisa, né la si riceve come dotazione naturale, ma suppone una raggiunta autonomia che consente di essere e di sentirsi un ‘Io’ per saper entrare in relazione con un ‘Tu’. Diversamente è facile cadere in forme di dipendenze psicologiche che non fanno crescere, tendere all’evasione dalla solitudine alla ricerca di relazioni superficiali e compensatorie, continuamente alla ricerca di pseudo-intimità oppure ci si rinchiude in un isolamento frustrante. E ciò vale sia nei rapporti con gli altri che nel rapporto con Dio.

Uno dei percorsi di formazione che deve essere irrinunciabile per chi voglia intraprendere un’esperienza di missionarietà, o anche solo di volontariato, consiste nel coltivare l’interiorità contro la dispersione interiore ovvero la centralità della preghiera.

Messi a confronto con la complessità della vita, delle interazioni e degli impegni, continuamente ‘buttati fuori da se stessi’ gli uomini e le donne di oggi fanno fatica a entrare in se stessi, a trovare il coraggio di ‘ritirarsi nella stanza interiore’ come ci invita Gesù nel Vangelo (Mt 6,6). Il cammino della preghiera di ogni credente, sull’esempio di Gesù che quando pregava il Padre amava appartarsi nel silenzio e nella notte, passa attraverso l’ineliminabile fatica dell’incontro con se stessi, di quell’abitare secum tipico dell’esperienza monastica. È nella preghiera del cuore, infatti, che la relazione con Dio si radica nella dimensione soggettivo-esperienziale della persona, realizzando quel desiderio di salvezza (=ricerca di senso, di pienezza e di felicità) presente in ogni essere umano.

Come ricordava il Card. Martini, «decisivo è il cuore, l’interiorità. E’ il luogo delle decisioni libere, degli affetti profondi che cambiano la vita e dei grandi orientamenti che danno senso alla storia».

Queste istanze hanno una particolare risonanza oggi: il bisogno di portare a pienezza la propria umanità, di realizzazione di sé, di armonia con se stessi e con il creato, di unità e di libertà interiore sono tipici del nostro tempo e investono ormai non solo le nuove generazioni.

Non è facile nel contesto della cultura contemporanea, soprattutto se si guarda al mondo giovanile, approdare ad una preghiera così esigente, che richiede una capacità di sintesi, al di là della dispersione, che riesca a collegare le vicende quotidiane e le diverse esperienze o attività con il disegno di Dio e con l’impegno nella storia. Si richiede una capacità di lavorare sui frammenti, di districarsi nella molteplicità e nella complessità di eventi che si intrecciano, di relazioni interdipendenti, spesso eccessivamente coinvolgenti sul piano emotivo ed affettivo sebbene talvolta in maniera soltanto ‘virtuale’. Per cui, sapere dove si sta andando, dove sta e dove va il cuore, ritrovare cioè il proprio ‘centro’ interiore laddove dimora la libertà della scelta e della consegna di sé a Dio, far emergere e purificare le motivazioni del proprio agire (perché, per chi faccio le cose, cosa cerco veramente? chi cerco? cosa voglio veramente? …) attraverso un processo di purificazione mediante il coraggio di essere veri con se stessi e dinanzi a Dio, di liberarsi dalle nostre aspettative, specie quelle egocentriche, è la strada maestra che può condurre alla scelta, cioè a prendere la decisione esistenziale di crescere, di amare, di credere, di agire responsabilmente e in coerenza con la propria chiamata o scelta di vita.

  1. A livello comunitario e/o istituzionale

Da parte della comunità ecclesiale o delle istituzioni formative è importante assicurare degli ‘spazi’ e delle opportunità di formazione permanente che tengano conto della dimensione affettiva e della sua evoluzione nelle diverse età della vita, e in riferimento alle esigenze del proprio progetto di vita, anche a seconda dei ruoli e compiti ricoperti nella missione evangelizzatrice.

Si tratta di promuovere una formazione impostata come itinerario di vita e come processo, attenta ai processi di crescita, alle dinamiche decisionali e alla gestione del cambiamento. E ciò si può realizzare soprattutto assicurando percorsi di accompagnamento e/o direzione spirituale, in una dinamica di discernimento personale e vocazionale.

In conclusione

 

Se la capacità di fidarsi e di affidarsi costituisce uno dei più importanti indicatori per il discernimento personale in rapporto alla maturità affettiva, anzi sembra essere la molla fondamentale di ogni autentico amore, allora il passo più significativo del cammino di formazione del cuore consiste in un atto di consegna a Colui che ci ama e amandoci continuamente ci libera e ci fa crescere come testimoni e missionari del Vangelo.

Ed è proprio la consegna di sé vissuta e ricercata ogni giorno che rende la persona veramente significativa e matura dal punto di vista umano e spirituale.

Per questo mi piace concludere con un brano tratto dagli scritti di Dag Hammarskjöld, segretario generale dell’ONU e Premio Nobel per la pace (1961), in cui esprime con un tocco poetico e profondo il momento della sua totale consegna di sé nella Pentecoste del 1961, poco prima di morire.

«Non so chi – o che cosa – pose la domanda. Non so quando sia stata posta. Non ricordo cosa risposi. Ma una volta risposi ‘sì’ a qualcuno o a qualcosa. A quel momento risale la certezza che l’esistenza ha un senso e che perciò la mia vita, nella sottomissione, ha un fine. Da quel momento ho saputo cos’è “non volgersi indietro”, “non affannarsi per il domani”…»[8]

 

[1] Cf Del Core Pina, Educazione all’affettività, in AA. VV., Evangelizzare educando, educare evangelizzando. Emergenza educativa, Roma, Il Calamo 2010, 141-172.

[2] Cf Del Core Pina, Affettività e sessualità nella vita consacrata. Percorsi di crescita personale e compiti educativi, in Rivista di Scienze dell’Educazione XLIV (2006)2, 28-49.

[3] «Questa privatizzazione della sessualità sta modificando il rapporto tra l’amore e l’etica. E dal momento che la sessualità è presente in ogni campo della vita la cosa non può che valere di ogni amore. Si rimanda all’iniziativa di ognuno al suo gusto, alla sua scelta; per esempio per tutto ciò che concerne l’aiuto agli altri, nel momento in cui va oltre le strutture sociali imposte e comincia ad avere la gratuità di un amore» [Bellet Maurice, L’amore lacerato, Sotto il Monte (Bergamo), Servitium Editrice 2001, 25-26].

[4] Cf Bauman Zygmunt, Amore liquido, Bari–Roma, Laterza 2004, 30-31.

[5] Ogni partecipante al Corso di Formazione ha ricevuto come Allegati alcune Schede di approfondimento. Per il tema dei percorsi di maturazione affettiva rimando agli articoli citati nelle note precedenti.

[6] Demetrio Duccio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Milano, Raffaello Cortina 1996, 34.

[7] Cf Bauman Zygmunt, La solitudine del cittadino globale, Milano, Feltrinelli 2000.

[8] Hammarskjöld Dag, Tracce di cammino, Leonardo-Mondadori, Milano 1994 (Pentecoste 1961 – 21 maggio).

Categorie: Documenti,Eventi,Tutte Le Notizie