OMELIA PER L’ISTITUZIONE DEL LETTORATO – RICEVI IL LIBRO, TRASMETTI LA PAROLA


RICEVI IL LIBRO, TRASMETTI LA PAROLA


Omelia per l’istituzione del Lettorato
Anagni-Collegio Leoniano, 4 marzo 2020

 

Il testo di Giona, del quale la liturgia odierna ci consegna uno squarcio significativo, intreccia l’esperienza spirituale del protagonista del racconto con la Parola che Dio insistentemente gli rivolge. Si potrebbe dire che la Parola del Signore è la protagonista principale del racconto, nel senso che essa ne permette lo sviluppo, l’inizio e la ripresa. Sempre la parola di Dio è protagonista della vita dei credenti! È solo da essa che può prendere avvio di nuovo la storia e può cambiare.  Una lettura meditata del testo ci aiuta a considerare che la Parola, ancor prima di convertire i Niniviti è destinata a cambiare la testa e il cuore di Giona, primo destinatario dell’iniziativa e dell’insistenza di Dio: “Fu rivolta a Giona questa parola del Signore… Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore” (Gn 1,1.3,1). È lui a ricevere per primo la Parola, è lui a resistere alla forza della Parola. Appare subito il contrasto: Dio dice a Giona di alzarsi per andare a Ninive, mentre Giona si alza e fugge nella direzione opposta. Dio aveva affidato a Giona una parola da comunicare, ma egli fugge dalla faccia del Signore. Quante volte ci si nasconde al Signore, quando la sua Parola ci interroga e ci chiede cose che non collimano con le nostre abitudini e le nostre decisioni! A noi piace ripetere, siamo abitudinari, gente del si è sempre fatto così. Ogni cambiamento sembra impossibile, perché il cambiamento parte da se stessi. Per questo non bisogna biasimare Giona. La sua reazione è comprensibile. Giona resterà sorpreso dell’efficacia della Parola predicata, al di là delle sue intenzioni e aspettative contrarie: “I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli” (Gn 3,5). Ricordate quel bellissimo passo di Isaia al capitolo 55 sulla Parola di Dio che non torna a Lui senza aver prodotto ciò per cui Dio l’ha inviata, come avviene per la pioggia e la neve che fecondano la terra. È essa infatti che mette in movimento la vita degli abitanti di Ninive. Scrive Papa Francesco al n. 12 del Motu proprio Aperuit illis: “La Sacra Scrittura svolge la sua azione profetica anzitutto nei confronti di chi l’ascolta. Essa provoca dolcezza e amarezza. Tornano alla mente le parole del profeta Ezechiele quando, invitato dal Signore a mangiare il rotolo del libro, confida: «Fu per la mia bocca dolce come il miele» (3,3).

 

La nostra esperienza di Dio più che sotto il segno del vedere, è sotto il segno dell’ascoltare: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore” (Dt 6,4). Terminerà per noi la necessità di ascoltare Dio quando finirà la nostra vita, allora non ascolteremo più, perché “vedremo faccia a faccia” (1Cor 13,12), “lo vedremo così come egli è (1Gv 3,2). Domenica prossima la liturgia della Parola ci condurrà sul monte dove Gesù appare trasfigurato in un’intensa luce (Lc 9, 28-36), ma anche allora il primato sarà della Parola. La visione non è sufficiente, anzi quella visione può accecare la mente e far pensare cose insensate, come nella reazione di Pietro. E’ piuttosto l’ascolto ad illuminare la visione: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” (v.35). “Ascolta Israele” (Dt 5): lo Shema Israel, ripetuto più volte al giorno dagli Ebrei, diventa per noi cristiani ascoltate il Figlio, come dichiara solennemente la voce del Padre, perché è Gesù la Parola definitiva di Dio all’uomo. La nostra vita cristiana è accogliere interiormente il Verbo di Dio. In ogni nostro vero atto di fede non vi è soltanto l’adesione ad una verità proposta da Dio; c’è piuttosto un accogliere in noi Dio che ci parla. Se la presenza di Cristo è presenza della Parola, in questa Parola è presente Dio stesso in quanto si rivela e si comunica a noi. “Ascolta”: è l’atteggiamento fondamentale dell’anima. L’ascolto della Parola è performativo della nostra vita. Non è una Parola che informa, ma è Parola che cambia, dà forma nuova all’esistenza di chi l’accoglie con adesione profonda: “Il cristianesimo non era soltanto una «buona notizia» – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo «informativo», ma «performativo». Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita” (Spe salvi, 2).

 

Secondo la tradizione biblica la condizione ideale nella quale mettersi in ascolto della Parola è quella del “deserto”. Il Signore ci doni di comprendere e vivere l’esperienza vocazionale e il discernimento necessario come “deserto” ordinario nel quale ascoltare Dio, senza mai rimandare a domani: “Se ascoltaste oggi la sua voce!” (Sal 95,7). È anche l’esperienza di Gesù alla quale ci ha ricondotti il vangelo della Prima domenica di Quaresima. Nella versione di Marco il testo è ancora più forte e incisivo: “E subito lo Spirito lo sospinse (ekbàllei: cacciò, gettò…) nel deserto” (Mc 1,12). Lo Spirito agisce con forza su Gesù, lo costringe ad entrare nel deserto. Anche l’avverbio temporale subito (eutùs) sembra non dare tregua, non ammettere ritardi; piuttosto indica necessità, impellenza. La durata simbolica, ma allo stesso tempo impegnativa, dei quaranta giorni significa che il deserto non deve essere semplicemente attraversato: una certa spiritualità potrebbe ingannarci, al pensiero che l’esperienza del deserto consista in una forma di ricostruzione fittizia in un giorno di Ritiro spirituale o in un Corso di esercizi spirituali. Non si tratta di una “finzione” temporanea, sporadica, occasionale. L’ascolto non è una delle diverse esperienze spirituali del credente, ma è quella fondamentale e costitutiva della fede, e quindi della relazione autentica con Dio. Pertanto, il deserto deve essere abitato come condizione abituale della nostra formazione cristiana, vocazionale e ministeriale. Solo allora il deserto si rivela come luogo teofanico della Parola di Dio, cioè della Parola che è Dio. “È assenza di parole per fare spazio a un’altra Parola, la Parola di Dio, che come brezza leggera ci accarezza il cuore (cfr 1 Re 19,12). Il deserto è il luogo della Parola, con la maiuscola. Nella Bibbia, infatti, il Signore ama parlarci nel deserto [ ] È il tempo per dedicarsi a una sana ecologia del cuore [ ] Perché solo davanti a Dio vengono alla luce le inclinazioni del cuore e cadono le doppiezze dell’anima. Ecco il deserto, luogo di vita, non di morte, perché dialogare nel silenzio col Signore ci ridona vita” (Papa Francesco, 26 febbraio 2020).

 

Ascolta Israele! Dio si rivela non solo con le parole, ma anche negli eventi, nella storia: “Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto” (Dei Verbum 2). Per la nostra concreta crescita interiore dobbiamo imparare a considerare la Parola e gli eventi intrinsecamente connessi. La Parola ci aiuta a fare discernimento sugli eventi perché siano interpretati e compresi alla luce della presenza di Dio; e gli eventi della nostra storia personale e comunitaria rimandano ad una più concreta comprensione della sua Parola, della sua volontà su di noi. La Parola crea gli eventi, e negli eventi si “incarna” la Parola. Lo stesso termine ebraico: dabar – che noi traduciamo normalmente con parola – significa allo stesso tempo evento, addirittura “storia”. La fede cristiana, di conseguenza, non è la religione del libro: “Il cristianesimo propriamente parlando non è una religione del libro: è la religione della Parola, ma non unicamente né principalmente sotto la sua forma scritta. Esso è la religione del Verbo, non di un Verbo scritto e muto, ma di un Verbo incarnato e vivo. In cristianesimo non è la religione biblica, è la religione di Gesù Cristo” (Henri De Lubac, Scrittura ed Eucarestia). Ai candidati al ministero dei lettori viene detto: “Ricevi il libro delle sante Scritture trasmetti fedelmente la Parola di Dio, perché germogli e fruttifichi nel cuore degli uomini”. A quanti ricevono il libro delle sante Scritture è richiesto l’impegno di trasmettere la Parola di Dio: accolgono tra le mani un libro, per imparare a trasmettere il Verbo fatto carne nel cuore degli uomini.

 

✠ Gerardo Antonazzo

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