Omelia per la Veglia di Pentecoste

Stemma di Mons. Gerardo Antonazzo

Una Chiesa Esodale e Sinodale

Meditazione per la Veglia di Pentecoste

Sora-Cattedrale, 21 maggio 2021

 

“Non vi lascerò orfani

… verrò da voi” (Gv 14,18). Lo aveva detto più volte nei discorsi di “addio” nel Cenacolo. Ora se n’è andato davvero. Gli apostoli, che già prima non avevano ben compreso la portata delle sue parole, fanno fatica ad accettare il distacco dal Signore. Rientrati nella stanza al piano superiore bisognerà decidere se vivere di nostalgia o di memoria. Ma come nei momenti più decisivi della vita del suo Figlio, anche nei momenti difficili dei credenti c’è la presenza della Madre: “Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: […] erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù” (cfr At 1,13-14). La nube aveva sottratto Gesù ai loro occhi; Maria li aiuta a non farselo strappare dal cuore. Nella stanza al piano superiore Maria ancora una volta “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2-19): interpreta l’accaduto di Gesù asceso alla destra del Padre, e aiuta gli apostoli a comprendere l’evento della separazione.

 

Già la finale del vangelo di Luca lo prometteva: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Nei discorsi del quarto vangelo il Maestro parla della sua partenza e del suo ritorno, facendolo coincidere con l’avvenimento pasquale. La portata di questa venuta pasquale di Gesù inaugura una nuova condizione di comunicazione con i credenti. Non è riservata alla cerchia dei testimoni della prima generazione, ma sarà una possibilità aperta a chiunque ama Gesù. Il “ritorno” pasquale di Gesù tra i suoi è offerto ad ogni credente di ogni generazione: “Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21). L’evento pasquale aprile per tutti la possibilità di accedere all’amore del Padre. Papa Francesco ripete spesso che oggi nel mondo c’è un grande sentimento di orfanezza: tanti hanno tante cose, ma manca il Padre. E nella storia dell’umanità questo si ripete: quando manca il Padre, manca qualcosa e sempre c’è la voglia di incontrare, di ritrovare il Padre, anche nei miti antichi: pensiamo ai miti di Edipo, di Telemaco e tanti altri che mostrano sempre questa ricerca del Padre che manca (Santa Marta, 18 maggio 2020).

 

“È bene per voi che io me ne vada

…. perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito” (Gv 16,7). Gesù desidera “educare” al distacco da Lui; è una necessità, perché il credente si eserciti a riconoscere i segni della sua continua presenza cosmica. Tutto questo aiuta i discepoli a crescere nell’esperienza della fede come atto supremo di libertà. Da vero educatore non intende “addomesticare” i discepoli, sovrastare o soggiogare la loro libertà o manipolare la loro responsabilità. Li vuole liberi, non schiavi. Il distacco dell’Ascensione in realtà risponde al compito educativo di “lasciar andare”. Gesù insegna uno dei processi più decisivi per la crescita delle persone: “lasciar andare” non significa “lasciar correre”, né abbandonare al proprio destino o disinteressarsi del suo bene, ma fare in modo che l’altro cresca grazie alla possibilità di consolidare e perpetuare le convinzioni e le conversioni interiori acquisite con la sequela di Cristo. Dunque, l’apparente orfananza spalanca il palcoscenico del grande teatro della retta e coerente testimonianza, paradigma della maturità di ogni credente. Il distacco del Risorto dai suoi è una “partenza” che sa di nascondimento, e non di abbandono. Per sopperire alla “partenza” del Rivelatore, lo Spirito Santo avrà il compito di assicurare la presenza dell’Assente, ovunque e sempre. Il Paraclito assicurerà questa presenza divina del Risorto, facendo memoria delle parole di Gesù e interpretando sempre di nuovo il suo messaggio. Lo Spirito è quindi al servizio di Gesù, non aggiunge nulla di nuovo ma è la memoria creativa della fede, della carità e della speranza. Senza lo Spirito Santo ognuna di queste virtù soprannaturali resta muta, inesprimibile, depotenziata.

 

Ex-odòs e syn-odòs

La presenza dello Spirito Santo inaugura la missione della Chiesa, perché ravviva la testimonianza della fede “a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8). L’evento dello Spirito inaugura il tempo della Chiesa come “sacramento” della presenza del Risorto. Per questo, la condizione più congeniale al nostro essere Chiesa è quella esodale: una comunità di credenti e testimoni capace di “uscire” da sé stessa, dall’autoreferenzialità. Secondo Lumen Fidei 46 la persona autoreferenziale è quella che, chiusa in sé stessa, fatica ad entrare in dialogo con Dio e a lasciarsi abbracciare dalla sua misericordia giungendo così al desiderio di portare agli altri la misericordia che ha ricevuto. L’autoreferenzialità colloca i classici difetti dell’egoismo e del narcisismo in una dinamica relazionale, cioè nelle difficoltà ad essere aperti al dialogo con Dio e con gli altri. La Chiesa guardando a Gesù Cristo deve tornare a essere capace di quella postura relazionale, aperta, dinamica, affettiva, generativa.

Cosa chiede il Signore alla nostra Chiesa particolare dopo aver vissuto il tempo di grazia della Visita pastorale? Animati dal soffio della Pentecoste siamo chiamati a diventare una Chiesa più decisamente esodale e più consapevolmente sinodale. Nella reciprocità delle due dimensioni, scopriamo che ciascuna è condizione dell’altra. Solo con un respiro e un passo sinodale possiamo coinvolgerci in una testimonianza missionaria di esodalità, capace di irradiarsi per giungere alle periferie del mondo.  La Pentecoste celebra il soffio dello Spirito per la missione e per la comunione. Innanzitutto la esodalità (missione). La prospettiva esodale conduce la Chiesa in uscita a diventare sinodale perché più solidale con il mondo. La sfida di questa sinodalità non è rinchiusa all’interno delle nostre strategie e stratagemmi pastorali, ma si configura come simpatia per il mondo, i suoi problemi, le sue sofferenze, le sue speranze. Durante la Visita pastorale abbiamo ripetutamente accolto la presenza del Buon Pastore nell’atto di bussare alla porta in entrata.  Ma Papa Francesco ci ricorda anche che “Gesù sta alla porta e bussa” non solo come chi sta fuori e bussa per entrare, ma anche come chi è chiuso dentro e bussa per uscire. Dio piace stare in mezzo alla gente e non l’aria asfittica dei luoghi sacri, dei recinti chiusi. Ogni cammino veramente esodale è cambiamento; la strada ci cambia, ci trasfigura perché ci purifica, ci rinnova perché richiede energie nuove per affrontare le fatiche, le sfide, le novità, gli imprevisti. La sinodalità (comunione) rivela il volto di una Chiesa amica dell’uomo, perché vi cammina accanto e ne sa ascoltare la voce. Una Chiesa ardente, coraggiosa, povera, in cammino, che si sa popolo e vicina al popolo, che guarda con simpatia ogni uomo, soprattutto chi è scartato. Mai come in questo momento è necessario coltivare la fratellanza e l’ospitalità, una vera rete sinodale con il mondo. La sinodalità esprime il soffio dello Spirito sulla Chiesa che sa abbracciare la vita del mondo per farsi compagna di strada da vera madre e maestra in umanità.

L’esodalità e la sinodalità della nostra Chiesa può ricevere una spinta decisiva soprattutto dalla famiglia e dalle aggregazioni ecclesiali, entrambi luoghi educativi di comunione e soggetti di missione. Entrambi sono espressioni laicali e non clericali della vita cristiana. Della famiglia ne stiamo parlando da tempo, sperando di passare più concretamente anche a scelte pastorali decisive a favore della “Chiesa domestica” da evangelizzare, perché divenga essa stessa soggetto di evangelizzazione. Resta da riflettere sulla natura e sulla missione evangelizzatrice delle aggregazioni laicali, concrete mediazioni che permettono l’accesso al mistero della Chiesa. Vale anche per ciascuna di esse la vigilanza riguardo al vizio dell’autoreferenzialità. Le aggregazioni laicali, ciascuna con il proprio carisma, deve esprimere la forza evangelizzatrice con la quale lo Spirito santo spinge le porte “antipanico” del nostro essere Chiesa, sbracciate finalmente sul mondo. Il frutto della Pasqua sia la pienezza della gioia e della fiducia in Gesù risorto che ci apre alla potenza rinnovatrice dello Spirito Santo.

+ Gerardo Antonazzo

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