Omelia Inizio Cammino Sinodale

Stemma di Mons. Gerardo Antonazzo

CRISTO: COMPAGNO, VIA E META DEL CAMMINO

 

Omelia per l’inizio del cammino sinodale

Cassino-Chiesa Concattedrale, 17 ottobre 2021

 

 

Carissimi amici,

la Parola di Dio consegna il “materiale” necessario per avviare il nostro cammino sinodale.

Cosa non è la sinodalità. Il racconto del Vangelo di Marco coglie ripetutamente Gesù in cammino con i Dodici (Mc 10): loro arrancano, Gesù precede. Il gruppo sale verso Gerusalemme. Gesù corre avanti, ma li vuole più radicalmente associati a sé (in Mc 10, 33 dice: saliamo). Lungo la strada è raggiunto dalla richiesta a bruciapelo, e all’insaputa degli altri dieci, presentata due figli di Zebedeo: Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo. Dalla cerchia dei suoi “fedelissimi” Gesù forse non se l’aspettava, anche perché aveva appena dichiarato per la terza volta l’annuncio della sua passione. Giacomo e Giovanni desiderano strappare a Gesù la promessa di un favore particolare, la certezza di una sicura posizione, il privilegio e il prestigio di un posto riservato al momento opportuno, nel momento giusto in cui i sogni di gloria finalmente si compiranno. Questo passaggio sottolinea ancora una volta la distanza siderale tra le preoccupazioni dei Dodici e quelle del Maestro, incamminato a “muso duro” (Lc 9,51) verso Gerusalemme. L’arroganza dei fratelli Giacomo e Giovanni suscita l’indignazione generale degli altri dieci, più per gelosia che per virtù. La rivalità, la gelosia, l’arrivismo, il protagonismo, il ruolo come prestigio a rischio di “potere” sugli altri, frantumano il cammino di ogni comunità, rendono impraticabile lo stile sinodale della comunione e della partecipazione, poco credibile l’azione missionaria della Chiesa.

Cosa chiedere al Signore, compagno di viaggio, per un fruttuoso percorso davvero sinodale? All’inizio del suo “cammino” come re su Israele è Dio che dice a Salomone: “Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda”. Salomone prega così: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”. Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente” (1Re 3, 5.9-12). E’ di questo che abbiamo bisogno per intraprendere il nostro cammino con il passo giusto.

Gesù incontra e ascolta l’uomo della strada. Da Lui possiamo imparare “l’arte dell’incontro”. È l’uomo-Dio sempre in uscita (consiglio di leggere a proposito Mt 20,1; Lc 8,5; 15,28; Mc 2,13). Ma di strada ce n’è sempre tanta da fare! La strada/cammino è metafora della sinodalità, l’incontro/ascolto è il metodo, la comunione/missione è la finalità. Solo facendo strada con Lui, si impara a fare syn-odòs e non “convention”: “I cristiani sono chiamati a “diventare esperti nell’arte dell’incontro”, non nell’organizzare “eventi” o nel fare “una riflessione teorica sui problemi … Bisogna, quindi, dare spazio alla preghiera, all’adorazione, all’incontro col Signore, a quello che lo Spirito vuol dire alla Chiesa per lasciarsi, poi, interpellare dalla storia dell’altro. Invece di “ripararci in rapporti formali o indossare maschere di circostanza”, l’incontro suggerisce nuove vie da seguire facendoci uscire da “abitudini stanche” per essere capaci di “veri incontri con Lui e tra di noi”, “senza trucco” (Papa Francesco, 10 ottobre 2021). I suoi non sono incontri programmati: non possiede un’agenda di lavoro, non risponde ad un serrato programma prefissato, non agisce da menager e da imprenditore, “non guarda l’orologio”. Gesù non sceglie chi incontrare e ascoltare: ascolta tutti, ascolta di tutto. La strada è metafora della vita vissuta, “consumata” quanto la suola delle scarpe, sofferta quanto le vesciche ai piedi. “Lungo la strada” Gesù non si tira indietro, non ha paura di ascoltare. Rivolge un ascolto profondo, attento, cordiale e discreto, per accogliere e capire i percorsi di vita di giovani, adulti, peccatori, prostitute, poveri, ammalati, pubblicani, farisei. Per ognuno, ancora prima di dare risposte o formule dottrinali preconfezionate, Gesù offre la possibilità di un incontro che si fa incrocio di sguardi, un attento ascolto del cuore capace di generare volti, cammini e parole nuove.  Davanti a Lui chiunque è messo nelle condizioni di poter “raccontare la propria storia, di parlare di sé con libertà” (Papa Francesco). Quello di Gesù è un ascolto amorevole, premuroso e paziente.

Gesù li chiamò a sé (Mc 10,42). L’espressione è caratteristica di Marco; la ritroviamo anche in Mc 3,13; 6,7; 8,1. È Gesù che fa la nostra “sinodalità: ci chiede di convergere intorno a Lui, convocati per stare insieme a Lui, e quindi tra di noi mai senza Lui. Perciò, la prima dimensione costitutiva della sinodalità è l’ascolto della Parola sine glossa, per una Chiesa sottoposta alla Parola, serva docile e obbediente alla Parola. Se la fede nasce dall’ascolto (Rm 10, 17: La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo). La Chiesa, comunità di fede, nasce dalla Parola perché da essa convocata: la Chiesa è assemblea sinodale intorno alla Parola. Il Signore ci stringe a sé, per formare come un “corpo” indivisibile con Lui, e indicare la strada (odòs) della nostra autentica comunione, partecipazione e missione. Il dinamismo sinodale parla di un processo che punta a un cambiamento. L’ascolto è sempre un cammino verso l’altro, verso la realtà ‘altra’, oltre il gregge del recinto chiuso. La Chiesa diocesana è chiamata spendersi per una sinodalità che sappia accogliere tutti con rispetto, e ascoltare con il cuore di madre: persone, istituzioni, ambienti di vita, classi sociali, enti pubblici e privati, associazioni di volontariato sono la “carne” della storia che la Chiesa deve condividere e fermentare con la forza dello Spirito (cfr Ez 37). Chi vuole che tutto rimanga com’è, non si mette in cammino. 

Al servizio del Noi ecclesiale. Il processo sinodale si pone nella linea della costruzione di un “noi”, espressione dei “processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze” (Fratelli tutti, n. 217). Un mondo frammentato come il nostro ha disperato bisogno di vedere che sono davvero possibili processi di reale incontro tra le differenze, senza che nessuna sia negata o schiacciata. Per questo una Chiesa sinodale è immediatamente anche un segno profetico “dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, n. 1). Bisogna superare la logica dei due figli di Zebedeo: dividersi dagli altri dieci per primeggiare, per arroccarsi sulle proprie posizioni di prestigio, costruirsi un’immagine sacrale, quasi idolatrica da difendere, cercare un ruolo quale stigma di autorità, poter contare in termini di prestigio o di privilegi, e non in attesa di “sedere nella sua gloria”, ma già qui, sulla terra, sgomitando tra di noi, tra preti, tra laici mezzi preti, arrampicati chi alla destra chi alla sinistra del proprio parroco. “Tra voi però non è così. Ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore”. Il servizio alla edificazione del Noi dell’essere Chiesa sinodale si articola primariamente su tre piani: quello dello stile con cui la Chiesa vive e opera ordinariamente, quello delle strutture in cui la natura sinodale della Chiesa si esprime in modo istituzionale attraverso tutti gli organismi di partecipazione di presbiteri, consacrati e laici, infine quello dei processi ed eventi sinodali in cui la Chiesa viene convocata dal Vescovo. La sinodalità è “dimensione costitutiva della Chiesa, che attraverso di essa si manifesta e configura come Popolo di Dio in cammino e assemblea convocata dal Signore risorto” (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, nn. 42 e 70).  Una Chiesa non attanagliata e ingolfata nelle pastoie del potere, è veramente “serva” quando impara ad ascoltare con umiltà il grido dell’umanità, degli ultimi, degli esclusi, dei senza voce.

La sinodalità invera l’identità della Chiesa e innerva la vita reale del popolo di Dio. Si fonda e si struttura su tutto ciò che i cristiani hanno in comune, cioè il battesimo e la uguale dignità che ne deriva: «Se anche per volontà di Cristo alcuni sono costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori a vantaggio degli altri, fra tutti però vige vera uguaglianza quanto alla dignità e all’azione nell’edificare il corpo di Cristo, che è comune a tutti i Fedeli» (Lumen gentium, n. 32). La ricchezza e la profondità di questa comunione radicata nella dignità battesimale diventa garanzia dell’autenticità della fede: «La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale» (Lumen gentium, n. 12). Per apprendere concretamente la sinodalità ecclesiale nel suo significato incarnato, storico, concreto, gioioso e faticoso, abbiamo bisogno del modello familiare, prototipo di sinodalità ad immagine della comunione trinitaria.  La famiglia apre uno squarcio sul mistero della Chiesa sinodale. Lasciamoci ispirare da una sinodalità “naturale” che la famiglia è chiamata a condividere. Ogni dialogo, ogni relazione comincia dall’ascolto in casa. L’amoris laetitia della famiglia diventa immediatamente amoris laetitia di una Chiesa “formato famiglia”.

Ascoltare è amare. Credo che l’ascolto sinodale debba essere innanzitutto un atto d’amore. In questo senso, possiamo rileggere e riformulare due riferimenti biblici: lo Shema Israel (Mc 12,29-31; Dt 6,4-5), e l’Inno alla carità (1Cor 13, 4-8):

  • Il grande comandamento dello Shema riformulato da Gesù nei vangeli sinottici dimostra una reciprocità illuminante tra il verbo ascoltare e il verbo amare. Il testo che recita: Ascolta Israele …. Amerai… può essere riformulato così: Ama Israele… Ascolterai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forzeAscolterai il prossimo tuo come te stesso. Ponendo l’ascolto a fondamento dell’amore, Gesù definisce senza soluzione di continuità il rapporto tra l’ascoltare e l’amore.
  • Papa Francesco nell’Esortazione apostolica ha commentato l’Inno alla carità di san Paolo per descrivere le caratteristiche essenziali dell’amore familiare. Anche nell’Inno paolino alla Carità le caratteristiche dell’amore le possiamo attribuire alla pratica dell’ascolto.

“L’ascolto è magnanimo,

benevolo è l’ascolto;

l’ascolto non è invidioso, non si vanta,

l’ascolto non si gonfia d’orgoglio,

non manca di rispetto,

l’ascolto non cerca il proprio interesse,

non si adira,

l’ascolto non tiene conto del male ricevuto,

l’ascolto non gode dell’ingiustizia

ma si rallegra della verità.

L’ascolto tutto scusa, tutto crede,

tutto spera, tutto sopporta.

L’ascolto non avrà mai fine” (1Cor 13, 4-8).

 

Decalogo dell’ascolto

  1. Ascoltare “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2-3)

Parola, preghiera e discernimento secondo lo Spirito, il quale scruta le profondità di Dio (cfr. 1Cor 2,10).

  1. Ascoltarsi dentro, “nosce te ispum”

“Non uscire da te stesso, rientra in te, nell’interiorità dell’uomo risiede la verità” (S. Agostino)

Conoscersi, meditare, isolarsi dalle impressioni immediate, dedicare tempo a conoscere le sorgenti profonde dei nostri gesti e azioni, emozioni, sentimenti e pensieri prima ancora di parlare.

  1. Ascoltare è ri-conoscere l’altro

“Ogni essere grida in silenzio per essere letto altrimenti. Non essere sodo a queste grida” (Simone Weil). Per ascoltare è necessario imparare a riconoscere l’altro, conoscere quello di cui gli altri hanno bisogno.

  1. Ascoltare è aprire il cuore

L’ascolto dell’altro/Altro è sempre un atto d’amore. Perciò è il cuore l’organo dell’ascolto.

“Se ascoltaste oggi la sua voce! Non indurite il cuore” (Sal 95,8).

  1. Ascoltare è saper cambiare idea

L’ascolto dilata la comprensione della realtà complessa. Papa Francesco: “La realtà è superiore all’idea… Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà”. L’ascolto può migliorare la comprensione della realtà e farci cambiare idea.

  1. Ascoltare è capire il dissenso

L’ascolto accoglie e valorizza il dissenso, non lo demonizza. L’ascolto può generare una radicale revisione e cambiamento dei nostri stili di vita, dei nostro schemi e progettualità. “Il cambiamento non è mai doloroso. Solo la resistenza al cambiamento lo è” (Buddha). Si cambia anche grazie al dissenso.

  1. Ascoltare è tacere

Solo il silenzio può dare spazio alla parola dell’altro, ad una parola ‘altra’, diversa, inaspettata. Non si può fare finta di ascoltare con la subdola pretesa di far prevalere ad ogni costo le nostre opinioni.

  1. Ascoltare è ricercare insieme la verità

Nessuno è padrone o detentore della verità. Nel dialogo, non si sta né avanti né indietro, ma accanto all’altro per una comune ricerca.

  1. Ascoltare è segno di umiltà

L’ascolto ci educa alla povertà di spirito e di cuore, alla mendicanza della fraternità, al bisogno dell’altro. L’ascolto ci aiuta a superare ogni tentazione di autosufficienza e autoreferenzialità. L’umiltà abbatte la barriera del narcisismo.

  1. Ascoltare senza pregiudizi

L’ascolto è esercizio di autentica libertà interiore. I pregiudizi erodono la disponibilità all’ascolto, vanificano e compromettono quanto ascoltato.

 

Carissimi amici,

il processo sinodale nella nostra Chiesa diocesana sia modellato sul cammino del Signore con i due discepoli di Emmaus. Il Risorto sia nostro compagno di viaggio, Lui la Via, Lui la meta di ogni umana speranza.

+   Gerardo Antonazzo

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