EVANGELIZO VOBIS GAUDIUM MAGNUM: Omelia per il S. Natale 2013

Amati fratelli e sorelle,

il Natale è in mezzo a noi! La Parola eterna si è fatta carne nel tempo e nello spazio degli uomini: “Et habitavit in nobis”.

Ci sentiamo spiritualmente affascinati dall’evento che stiamo celebrando, consapevoli che tutto il Mistero, rivelato nella liturgia della Chiesa, si dona a noi per lasciarci coinvolgere da questa irruzione straordinaria di grazia e di luce.

Dalla Luce della Fede (Lumen fidei) alla Gioia del Vangelo (Evangelii gaudium).
Se accostiamo i titoli dei due documenti del Papa, Lumen fidei ed Evangelii gaudium, si illumina il senso del nostro Natale: nei due titoli ritroviamo che la “luce” corrisponde alla “gioia”, e la “fede” corrisponde al “vangelo”. Il binomio luce-gioia si rivela come il dinamismo trainante della nostra fede nel Vangelo che è la persona viva di Cristo, il Figlio di Dio oggi fatto carne.

“La gioia del Vangelo – scrive Papa Francesco- riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”.
La fede, pertanto, è luce di gioia, la fede è gioia luminosa!

L’annuncio degli angeli ai pastori unisce, in un abbraccio di armonico connubio, gli elementi della luce e della gioia: “Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce…l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia” (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 1).
Evangelizzare la luce della fede è evangelizzare la gioia. Donare la fede è donare gioia.

Così inizia il famoso “Inno alla gioia”, tratto dalla IX Sinfonia di Beethoven: “Gioia, bella scintilla divina”; espressione, questa, che esalta la gioia quale figlia della luce.

Chi crede nel Signore Gesù, il Figlio di Dio, non può rimanere nella tristezza: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce…Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia” (Is 9,1).
Ancora una bella testimonianza di Papa Francesco: “La gioia cristiana, come la speranza, ha il suo fondamento nella fedeltà di Dio, nella certezza che Lui mantiene sempre le sue promesse…Quanti hanno incontrato Gesù lungo il cammino, sperimentano nel cuore una serenità e una gioia di cui niente e nessuno potrà privarli. La nostra gioia è Gesù Cristo, il suo amore fedele inesauribile!” (Papa Francesco, Angelus del Papa, 15 dicembre 2013).

Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,11).
Le notizie che quotidianamente riceviamo ci rattristano per i molti mali, danni e problemi che accadono nel mondo. La “cronaca” diventa sempre più nera, triste e angosciante. Nell’evento del Natale Dio non fa notizia: tutto avviene mentre il cosmo è avvolto dall’indicibile silenzio della notte. Il canto degli angeli squarcia il silenzio e illumina l’oscurità.

Nel libro dell’Apocalisse le guide delle Chiese sono chiamati “angeli” (Ap 1,20; 2,1;.8.12.18;3,1.7.14). Lasciate, o carissimi, che sia io, angelo della nostra amata Chiesa di Sora-Aquino-Pontecorvo, a riempire i vostri silenzi con la Parola fatta carne e invitarvi a condividere la grande gioia di questo Natale: “Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,11).

Desidero che queste parole di gioia spezzino le frecce acuminate delle tristezze e le lame taglienti delle falci delle nostre prove, che feriscono in profondità la carne debole delle nostre vicende umane. Ma la gioia del Natale deve convertire anche le nostre effimere gioie senza Dio, le nostre gioie “pagane”, le false gioie affidate alle soddisfazioni materiali e frivole, le fugaci e ingannevoli illusioni, perché il cammino della nostra speranza sia fondato sulla gioia affidabile, quella che scaturisce dalla certezza che Dio è la roccia sicura della mia vita. Solo la Sua compagnia trasfigura e divinizza la mia “carne” umana.

“Non è certo –scrive s. Agostino- che tutti vogliano essere felici; poiché chi non vuole avere gioia di Te, che sei la sola felicità, non vuole la felicità”.
L’annuncio dell’angelo ai pastori dichiara che Dio “oggi” è nato; “oggi” ha sposato il nostro tempo. La gioia della nascita del Bambino esalta Dio che entra nel tempo dell’uomo per dimostrare che Lui ha tempo per l’uomo. E questo ci rende felici: Dio nasce Bambino per dirmi che ha tempo per me, per dirmi che vuole crescere in me!
“Avere tempo per un altro … manifesta tutto il bene che una persona può fare ad un’altra. Quando dò davvero il mio tempo a qualcuno, gli dò la cosa più importante e più personale che io possegga, cioè gli dò me stesso. … La differenza con Dio è che … lui solo ha un tempo vero, genuino da dare e che ci dà questo tempo non solo in parte, non con ogni sorta di riserve e condizioni, come succede abitualmente tra gli uomini, ma interamente”. (K. Barth).

Afferma Benedetto XVI: “Dio si interessa a noi, ci ama, è entrato personalmente nella realtà della nostra storia, si è autocomunicato fino ad incarnarsi. Quindi, Dio è una realtà della nostra vita, è così grande che ha anche tempo per noi, si occupa di noi” (Benedetto XVI, Udienza generale, Mercoledì 28 novembre 2012).

Il Dio che viene è certo venuto una volta, ma, venendo quella volta, ha dischiuso un cammino, ha acceso un’attesa, rinnova sempre la possibilità dell’incontro. Dedica il suo tempo per me, abitando il tempo dei miei giorni, delle mie amicizie, delle mie occupazioni, delle mie speranze.

Lui ha tempo per me. Si intrattiene con me, si fa ospite, anzi familiare dei miei pensieri, dei miei affetti, della mia famiglia, del mio lavoro, delle mie azioni. Dio viene per non abbandonarci più!

Deponendo il Bambino Gesù nel Presepe, desidero deporre questo annuncio di gioia soprattutto nel cuore di ogni fratello e sorella.

“Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (Lc 2,16-17).
Il vangelo di s. Luca ci offre i due verbi che ci spiegano a quali condizioni la fede genera la vera gioia: andarono e trovarono.

Così invitava don Tonino Bello: “Andiamo fino a Betlem, come i pastori. L’importante è muoversi. Mettiamoci in cammino, senza paura. Il Natale di quest’anno ci farà trovare Gesù e, con lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell’impegno storico, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera…E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza”.

Il credente deve decidere di affrontare il cammino della notte, per andare incontro alla luce della Grotta, per incontrare la Gioia fatta carne nel volto dolcissimo del Bambino. Non cercare questa gioia è come spegnere drammaticamente la luce del Natale.

Cercare con la sete di Dio nel cuore, per trovare e gioire. Se cerchiamo con gli occhi del cuore, la fede raggiunge molto in profondità la luce del Mistero.

Se credere questo è per noi motivo di gioia, non credere a tutto ciò per molti è causa di angoscia. C’è una venatura di tristezza nella vera non credenza, nell’ateismo onesto. Se è difficile credere, è ancora più angosciante non credere, perché il cuore dell’uomo è fatto per Dio; trovare Lui fa la nostra felicità.

In alcune forme di ateismo sopravvive un’intuizione del Mistero, come dimostra il testo molto particolare che ora voglio richiamare
L’autore è ateo, assertore dell’insignificanza di Dio e della vita.

Sartre ebbe come compagni di prigionia [in Germania, nel 1940) un novizio gesuita e alcuni preti, che furono per lui degli amici e gli aprirono un nuovo orizzonte. Su loro richiesta, scrive un testo da rappresentare la vigilia di Natale, in cui riesce a intuire con acutezza il senso della fede dei suoi compagni e della stessa tradizione cristiana, pur essendo lui stesso ateo.

Ecco il testo:
«La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo volto è uno stupore ansioso che è comparso una volta soltanto su un viso umano. Perché il Cristo è suo figlio, carne della sua carne e sangue delle sue viscere. L’ha portato in grembo per nove mesi, gli offrirà il seno, e il suo latte diventerà il sangue di Dio. Qualche volta la tentazione è così forte da farle dimenticare che è Dio. Lo stringe fra le braccia e dice: “Bambino mio”.
… Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. E’ fatto di me, ha i miei occhi, la forma della sua bocca è la forma della mia, mi assomiglia. E’ Dio, e mi assomiglia”.
Nessuna donna ha mai potuto avere in questo modo il suo Dio per sé sola, un Dio bambino che si può prendere fra le braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che ride.

La gioia della fede è la gioia di Maria, è la gioia del credente, come anche la gioia di un ateo intelligente. E’ la gioia di chi incontra, come i pastori, la carne di questo Dio-Bambino, stringerlo a sé, e poter esclamare: “E’ Dio, e mi assomiglia!”. E’ questo il Dio vero che la nostra fede può cercare e incontrare.

Nel volto del Bambino guardiamo Dio: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18).

“E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”.
Il Mistero che oggi celebriamo ci costituisce messaggeri della gioia della fede, per dire a tutti le parole della consolazione e della misericordia: “Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori…I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro” (Lc 2,17-18.20).

Dopo la visita alla Grotta, i pastori ritornano per raccontare, araldi del messaggio di gioia.

La missionarietà dei pastori è la missionarietà della Chiesa. I pastori erano una categoria disprezzata: dopo aver meritato di accogliere per primi l’annuncio della nascita del Salvatore, ora raggiungono le loro stesse periferie alle quali portano l’esperienza vissuta, testimoniando ciò che hanno trovato e visto.

E’ anche la missionarietà dei Magi che, partiti dalle periferie del lontano Oriente, ritornano nelle stesse periferie per diffondere il profumo spirituale della mangiatoia e la fragranza della loro adorazione. I pastori e i Magi preannunziano l’azione evangelizzatrice della Chiesa.

Ma la testimonianza della fede e della gioia deve superare sempre difficoltà e diffidenze.
I Pastori, categoria sociale inaffidabile, dovranno certamente faticare non poco per essere creduti, e convincere i loro ascoltatori.

I Magi dovranno rischiare la vita evitare con saggezza gli inganni e i tranelli di Erode. Evangelizzare la gioia della fede non è facile. Ci sono forze ostili che vorrebbero eliminare il Bambino, e quindi derubarci della gioia cristiana, demotivare il nostro entusiasmo, frenare le nostre partenze, tarpare le ali ai voli dei nostri entusiasmi. E questo anche a costo di fare “strage di innocenti”, cioè a costo di perpetrare falsi giudizi contro chi si impegna per gli altri, condannare il loro operato, dubitare della loro onestà, gettare sospetto sulle loro genuine intenzioni, insomma soffocare in ogni modo la diffusione del bene.

Carissimi,
vi auguro una gioia piena, frutto di una fede luminosa.

L’evento del Natale celebra la gioia di Dio per l’uomo, e la gioia dell’uomo per Dio. La gioia di Dio per l’uomo si fa “incarnazione”; la gioia dell’uomo per Dio si fa “divinizzazione”.

Nel Natale cambia sia la condizione di Dio, sia la natura umana. Dio non è più soltanto Dio ma anche Uomo; e l’uomo non è più soltanto uomo, ma è anche Dio, perché reso partecipe della natura divina.

E’ uno scambio di doni di straordinaria bellezza: l’uomo dona a Dio la propria umanità, e Dio dona all’uomo la sua divinità.

Questa è la nostra gioia, questa è la nostra fede, questo è il mio vivo augurio per tutti.

+ Gerardo Antonazzo

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