Dov’e’ tuo fratello? I luoghi della fraternità

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Omelia per la celebrazione della conclusione dell’anno

Celebrazione della Giornata mondiale della Pace 31 dicembre 2013

“Ti benedica il Signore e ti custodisca”.

Carissimi,
la liturgia alla quale partecipiamo è l’atto della nostra “eucarestia”, cioè della nostra gratitudine, con la quale celebriamo a cuore aperto i segni concreti della provvidenza con cui il Signore ha accompagnato il percorso di questo anno, che ormai volge al suo compimento.

La nostra è anche una preghiera di invocazione a Dio, per chiedere la sua rinnovata benedizione sul tempo che ci offre ancora, quale ulteriore impegno per compiere il bene, e lasciare traccia di sé, per la costruzione di una storia sociale che non può migliorare e crescere se non a partire dalle responsabilità di ciascuno.

Saluto tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, gli amati presbiteri, le Autorità Civili e Militari che condividono la comune adesione alla celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, illuminata, come ogni anno, dal magistero del Santo Padre.

Le parole di benedizione che il Signore, tramite i suoi servi Mosè e Aronne, rivolge al popolo di Israele in cammino nel deserto, intendono maggiorare la speranza di poter raggiungere anche noi la “terra promessa”. Già, la speranza! Quale speranza? Per quale terra promessa?

Ci vuole audacia per ripristinare nel vocabolario del nostro discorrere ordinario la parola “speranza”, che sembra svuotata di ogni contenuto e di ogni elemento di credibilità.

“E’ difficile parlare di speranza – scrive don Tonino Bello -. Bisogna far capire invece che la speranza è parente stretta del realismo… E’ impegno robusto che non ha da spartire nulla con la fuga…Cambia la storia, non la subisce. Ricerca la solidarietà con gli altri viandanti, non la gloria del navigatore solitario” (don Tonino Bello).

La speranza dunque è alimentata soprattutto dalla fraternità: o si spera insieme, o si muore di solitudine. La fraternità ci educa alla speranza di poter diventare “popolo”, ci aiuta a camminare insieme alla conquista della terra promessa, dove scorre il latte e il miele della pace (cfr.Es 3,8), che si conquista con l’esercizio, spesso eroico, di una solidarietà compiuta.

La fraternità praticata edifica la vera famiglia dei popoli, costruisce legami, ricompatta le relazioni, crede nella bontà dell’altro. Ama, sogna, progetta e spera insieme.

La fraternità umanizza la società, perché bonifica le relazioni dai veleni e dalle tossicità dei conflitti endemici: “La fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale” (Messaggio per la pace 2014, n. 1).

E’ impensabile sperare da soli, operare da eroi solitari, alla ricerca di una gloria impossibile.

Interroghiamoci, pertanto, sui “luoghi” storici in cui dover intervenire, per rinnovati e più saldi legami di pace e di fraternità.

E’ urgente ricostruire anzitutto il tessuto delle relazioni familiari e interpersonali. Oggi soffriamo tutti di “povertà relazionale”. Non solo il tempo per stare insieme, ma anche gli spazi vitali da condividere, sono sempre meno abitati. In molte famiglie, ma anche in tanti luoghi cosiddetti di “aggregazione” sociale, si vive nei segni della precarietà e provvisorietà relazionale, quindi nella frammentazione.

Nei rapporti sociali, poi, prevale il sospetto, l’invidia, la gelosia, l’egoismo. Si diventa persino invidiosi per il progresso altrui, per la possibilità che l’altro migliori il suo stato sociale, che sviluppi una condizione di vita più dignitosa.

L’altro dell’appartamento accanto non è più il tradizionale e gradito vicino di casa, ma un intruso, uno sconosciuto, un estraneo da ignorare. Nemmeno più un saluto, una stretta di mano, un “buon giorno”.

Perché nasconderci dietro un inaccettabile “non lo conosco”? Invece sarebbe bello perdere un attimo di tempo per l’altro, avere tempo da perdere per favorire le relazioni, per cercarsi di più, ed evitarsi di meno. La fraternità delle relazioni cresce se ci riconosciamo fatti per la reciprocità, per la comunione, e per il dono.

Un altro elemento costruttivo della pace e della fraternità è la cultura dell’unità, dell’incontro, del dialogo e delle differenze. L’altro, qualsiasi altro, è un volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare! Perché la fraternità è comunione, la fraternità è condivisione. E’ condividere col fratello gioie e dolori, progetti e speranze! E’ amare le differenze che non possono dividere, ma soltanto arricchire.

Scrive Papa Francesco: “Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse…Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri…Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo… Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto” (Evangelii gaudium 227-228).

Un altro luogo per la costruzione della fraternità e della pace è il riconoscimento della dignità dell’altro. La globalizzazione dell’indifferenza conduce al silenzio della reciprocità, fino a favorire la cultura dello scarto. Il valore e la dignità della persona spesso sono subordinati al suo stato di salute, alle sue condizioni di efficienza e di utilità. Secondo questa perversa logica, sarebbe da considerare solo come un peso, un ostacolo da rimuovere, la persona che presenta i segni della fragilità, del limite, della debolezza fisica. La falsa cultura della produttività vuole farci credere che una vita non più in grado di “produrre” per la società, non serve a nessuno, perde ogni dignità e non merita più né cura nè rispetto. Chi è debole può essere spudoratamente e impunemente ignorato, svilito, anche offeso e dimenticato, bambino o anziano che sia.

La fraternità invece deve sviluppare la solidarietà soprattutto con i più deboli, contro ogni forma di sterile efficientismo.

La fraternità si sviluppa in un mondo di anime pure e generose, contro la menzogna del materialismo egoistico. Antoine de St.Exupery riprendeva con forza quest’idea: «Vivo con fatica la mia epoca. In essa l’uomo muore di sete e non esiste al mondo un problema più grande di questo: dare agli uomini un senso spirituale, un’inquietudine spirituale. Non si può vivere di frigoriferi, di bilanci e di politica. Non si può! Non si può vivere senza poesia, senza colore, senza amore. Lavorando unicamente per acquistare dei beni materiali finiremo con il fabbricarci una vera e propria prigione».

E’ la prigione del benessere sfrenatamente cercato, ed egoisticamente goduto, contro ogni spirito di fraternità solidale.

Si radica qui l’urgenza di recuperare stili di sobrietà, frutto di deliberata rinuncia per tutto ciò che è superfluo, e quindi dannoso. La fraternità deve sviluppare una maggiore giustizia sociale dove si ristabilisce un nuovo rapporto tra i più ricchi e i meno abbienti, per evitare l’eccessiva sperequazione del reddito, uno dei maggiori scandali della condizione economica italiana. E’ necessario che l’uomo abbia la proprietà dei beni, ma quanto all’uso, li “possiede non solo come propri, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche agli altri” (Gaudium et spes, 69).

Un altro luogo “storico” dove spendersi per la fraternità e la pace, è l’attività politico-amministrativa. Non posso non ringraziare oggi, con il cuore sincero e riconoscente, i Sindaci della Diocesi, con i quali abbiamo condiviso un breve ma intenso tratto di strada nel segno della reciproca e cordiale fiducia, dell’ascolto e dell’accoglienza più che rispettosa, nel comune intento di esplorare le difficoltà e le risorse delle nostre comunità civili e religiose, in ascolto della voce, spesso del grido, della nostra gente.

Il nuovo anno 2014 per molti di voi, stimati Sindaci, sarà segnato anche dal rinnovo delle cariche amministrative. Competizione intelligente o conflittualità di bassa lega? Gli “altri” candidati non sono avversari da combattere, ma figure con cui confrontarsi, per il bene dei cittadini! Le rispettive “ liste” non formano un elenco di “ricercati”, da colpire in qualunque modo.

La Chiesa, maestra del bene comune, artefice di grandi principi e riflessioni espressi nella sua Dottrina Sociale, ha sempre riconosciuto l’importanza e la dignità dell’attività politica, necessaria al raggiungimento del fine ultimo del vivere sociale, il progresso integrale dei singoli e delle comunità: “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità” (Gaudium et spes, 75).

Dunque la costruzione del bene comune dei cittadini esige che qualcuno si “candidi” al servizio degli altri, assumendo responsabilità politiche delicate, esigenti e impegnative, particolarmente oggi.

Il termine “candidato” deriva da “candido”, perché nell’antichità gli aspiranti alle cariche pubbliche indossavano una toga bianca, simbolo appunto di candore, purezza, semplicità.

La vostra ideale toga bianca non può essere diversa, nel suo significato di servizio, dall’asciugamano bianco del nostro Cenacolo, nel quale Gesù assume la posizione del servo, prostrato ai piedi degli apostoli. Non c’è “politica” più grande di questa! Tutti noi, impegnati in ambiti diversi, siamo candidati al servizio, non al potere! Se noi non siamo disponibili alla lavanda dei piedi, cioè al servizio disinteressato, la nostra gente ha tutto il diritto di farci una lavata di testa.

Il papa Paolo VI affermava che “la politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri” (Octogesima adveniens, 46).

Amare la Città esige la spinta di una forte immaginazione sociale. Gli studenti del ’68 scrivevano sui muri della Sorbona a Parigi: “L’immaginazione al potere”. Amare è sognare una Città nuova, vivibile per tutti, attenta ai bisogni di ciascuno per trovare ogni soluzione possibile, insieme.

La crisi economica, lunga e costosa in termini di posti di lavoro e chiusure di imprese, e la scarsità di sovvenzioni e contributi, rendono problematici i progetti e gli investimenti comunali.

Ma non dobbiamo dimenticare che spesso associazioni, municipalità e parrocchie sono gli unici luoghi dove è ancora possibile imbastire legami sociali.

L’impegno intelligente e onesto di ciascuno deve riguardare i programmi, da indicare in modo chiaro e concreto come possibili soluzioni, o almeno miglioramenti, dei diversi problemi della comunità civile.

La giusta e necessaria competizione deve riguardare programmi alternativi, concretamente proponibili. Il Santo Padre Francesco invita tutti i credenti alla “obiezione di coscienza alle chiacchiere”, immaginiamo quanto sia urgente la stessa obiezione di coscienza agli insulti, i quali non possono mai deporre a favore di chi li provoca, né di chi li ricambia.

Stimate Autorità, Signori Sindaci, ciascuno di voi è deputato al servizio della fraternità, favorendo l’incontro, il dialogo, lo scambio serrato ma sempre rispettoso, il confronto leale con chiunque. Anche voi siete i custodi di una fraternità sociale che spesso è ferita dall’odio, dalle rivalità, dal litigio e dal conflitto disgregante. E’ anche vostra responsabilità ottenere il risultato di una comunità non condannata cinicamente al conflitto sistematico, ma rifondata nel segno del rispetto e della tolleranza.

Cari fratelli e sorelle, siamo famiglia di Dio: condividendo tutti l’unica paternità, quella di Dio, siamo chiamati a riconoscere e a custodire la nostra fraternità.

“Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”.

Auguri a tutti e a ciascuno di un anno più fraterno, per un cammino di pace che ciascuno di noi può e deve costruire.

+ Gerardo Antonazzo

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