Camminare insieme: le opportunità della pastorale digitale. Intervista al vescovo Gerardo Antonazzo

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Camminare insieme: le opportunità della pastorale digitale

Intervista al vescovo Gerardo Antonazzo

Fortunato Ammendolia

«Nessuna strada, infatti, può e deve essere preclusa a chi,

nel nome del Cristo risorto, si impegna a farsi sempre più prossimo all’uomo.

I nuovi media, pertanto, offrono innanzitutto ai presbiteri

prospettive sempre nuove e pastoralmente sconfinate,

che li sollecitano a valorizzare la dimensione universale della Chiesa,

per una comunione vasta e concreta; ad essere testimoni, nel mondo d’oggi,

della vita sempre nuova, generata dall’ascolto del vangelo di Gesù,

il Figlio eterno venuto fra noi per salvarci».[1]

La pastorale digitale è quell’uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare della Chiesa nel continente digitale. È esperienzadi presenza che non si riduce a condividere risorse digitali, ma che attiva «storie» di relazione autentica superando il dualismo online-offline; è riflessione, fondata teologicamente e attenta alle scienze umane, per una presenza nei new media che sa di vangelo; è promozione di criteriper un uso dei media digitali che fa crescere «l’umano»; è promozione di sviluppo di applicativi. La pastorale digitale va inquadrata nell’ambito più ampio della pastorale delle comunicazioni sociali: essa, quindi, non è una pastorale «altra» ma una declinazione della presenza e dell’impegno ecclesiale nel suo complesso.[2]

Con questa intervista al vescovo Gerardo Antonazzo si vuol dare voce all’esperienza «Pastorale digitale 2.0», particolare declinazione di pastorale digitale attivata nella Chiesa locale di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo.

L’intervista si colloca nel più ampio orizzonte della sinodalità, aiutando il lettore a cogliere l’apporto che la pastorale digitale può dare al camminare insieme (synodòs). Ci si muove tra prassi e riflessione intrecciando il vedere, il giudicare, l’agire e il celebrare.[3]

Questo lavoro che, inerentemente alla «sinodalità», trova ispirazione in un articolo di Antonio Mastantuono,[4] fa di sinodalità e pastorale digitale un binomio interessante, un tema aperto. Nell’intervista il lettore ritroverà lo stile dell’accoglienza, del dialogo, della convivialità, del progetto, e anche un passo educativo ai criteri del tempo superiore allo spazio e del tutto superiore alla parte, tratti essenziali di una Chiesa sinodale.

Ci sembra utile sottolineare che l’esplorazione dell’esperienza «Pastorale digitale 2.0» non si esaurisce con questa intervista: un articolo a più mani, di prossima pubblicazione, mostrerà come «Pastorale digitale 2.0» abbia intercettato i suoi operatori e quali siano stati i criteri di riprogettazione del sito web della diocesi, da cui si evince lo sforzo di essere Chiesa «di popolo» e che il vescovo diocesano è «vescovo per la porzione del popolo di Dio affidatagli e cristiano con essa».[5]

Un grazie a mons. Gerardo Antonazzo,che di certo incoraggerà altri ad avviare o far crescere esperienze di pastorale digitale, o attiverà un confronto di prassi e riflessione con quanti ne hanno già le mani in pasta; si ringraziano anche i membri del Servizio diocesano per la pastorale digitale per la preziosa collaborazione.

Pastorale digitale 2.0: genesi, principi, sviluppi

Eccellenza, il progetto «Pastorale digitale 2.0» come nasce e si profila nel magistero della Chiesa locale di cui lei è pastore?

La genesi del progetto «Pastorale digitale 2.0» è da rintracciare nell’anno 2013, nel tentativo di ripensare il sito web della diocesi che esisteva già da qualche tempo: si trattava, infatti, di una piattaforma che mirava ad assicurare informazioni di natura prettamente istituzionale e che, ormai, era necessario adeguare ai tempi, per una più significativa comunicazione all’interno della Chiesa e tra la Chiesa diocesana e il suo territorio.[6]

Il progetto «Pastorale digitale 2.0» s’inquadra nel magistero universale della Chiesa. Penso soprattutto alla costituzione dogmatica Dei Verbum del concilio, dove si parla di «rivelazione». Cos’è la rivelazione se non un processo che Dio ha «inventato » per comunicare con l’uomo? E a quali condizioni Dio ha saputo comunicare? facendo scelte strategiche perché la sua rivelazione fosse accolta dal destinatario, utilizzando il linguaggio umano, parlando «al modo degli uomini», abitando una particolare geografia in un dato periodo storico, provocando personaggi, utilizzando simboli, eccetera. Perché la rivelazione? La rivelazione divina non si è esaurita in un insieme di informazioni. Dio ha rivelato soprattutto se stesso. Ma proprio in questo Dio provoca la circolarità della comunicazione, poiché lo scopo ultimo della rivelazione è quello di ammettere l’uomo alla comunione con sé. Questi sono i principi ispiratori anche della pastorale digitale diocesana. Convinti, quindi, del valore della comunicazione per l’agire pastorale della Chiesa si è desiderato accostare all’opportunità dei nuovi media – sempre più avanzati e di utilizzo diffuso – l’urgenza di evangelizzare.

In quest’anno giubilare, papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali ha ribadito che «la comunicazione ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione, arricchendo così la società. […] Le parole possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale».[7] Direi che questa è la direzione in cui la pastorale digitale diocesana sta evolvendo: una cittadinanza digitale che getta ponti non solo attraverso il sito web ma anche abitando reti sociali, consapevole che le dimensioni online e offline non sono tra loro complementari.[8]

Circa gli atti diocesani che ufficializzano quest’impegno, osservo che prassi e riflessione relate al progetto «Pastorale digitale 2.0» hanno orientato la stesura di un regolamento che definisce il volto del Servizio diocesano per la pastorale digitale: l’ho da poco approvato ad «experimentum» per un biennio. Inoltre, il recente accordo di cooperazione tra la Pontificia Università Antonianum e la diocesi apre il Servizio diocesano per la pastorale digitale a preziose opportunità di confronto e di crescita.

Una via per accogliere ed educare all’unità

La parola «accoglienza» è tra quelle che indicano lo stile di una Chiesa sinodale. In modo particolare, «accogliere» è prioritario per una Chiesa locale che ne incorpora un’altra, com’è accaduto alla diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo. Qual è stato, in tal senso, l’apporto di Pastorale digitale 2.0?

Ritorno con la mente al 23 ottobre 2014, giorno in cui è stata eretta la diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo. Per questa Chiesa locale il valore della sinodalità è andato di pari passo con l’urgenza di integrare le parrocchie provenienti dall’Abbazia territoriale di Montecassino con quelle della diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo. Direi che la pastorale digitale ha contribuito in modo rilevante alla conoscenza del più vasto territorio, promovendo l’integrazione attraverso una forma di «esplorazione» e di «accoglienza» delle rispettive risorse ecclesiali, caratterizzata anzitutto dal racconto digitale.

Osservo che «Pastorale digitale 2.0» è una forma di «autobiografia » della Chiesa locale: educa «al noi» aprendo la «parte» al «tutto». Ciò è evidente in quell’area del sito della diocesi che ne racconta la vita con parole e immagini, piattaforma in cui ogni comunità particolare o realtà presente in diocesi può narrare di sé e condividere con l’intera Chiesa locale le proprie esperienze: è la stessa possibilità di partecipare a questa piazza digitale a destare e a fare crescere il senso di appartenenza a un’unica Chiesa.

Una via per ascoltare

Il web 2.0 considera «centrale» il ruolo dell’utente: questi fruisce di contenuti e ne genera di nuovi. Per una comunità ecclesiale, «uscire» in senso pieno, con misericordia,vuol dire essere presenza che diviene ascolto delle differenze, dialogo, prossimità-missione. L’ascolto delle opinioni religiose espresse nel web 2.0 quale ricaduta può avere nella progettualità pastorale di una Chiesa sinodale, che è Chiesa «di popolo»? [9]

Papa Francesco, nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali di quest’anno scrive: «La comunicazione, i suoi luoghi e i suoi strumenti hanno comportato un ampliamento di orizzonti per tante persone. Questo è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità. Mi piace definire questo potere della comunicazione come “prossimità”. L’incontro tra la comunicazione e la misericordia è fecondo nella misura in cui genera una prossimità che si prende cura, conforta, guarisce, accompagna e fa festa».[10]

Direi che la pastorale digitale è un’opportunità privilegiata per lo sviluppo di una pastorale della misericordia, fatta di ascolto, partecipazione, dialettica. Scrive ancora Francesco: «L’accesso alle reti digitali comporta una responsabilità per l’altro, che non vediamo ma è reale, ha la sua dignità che va rispettata. La rete può essere ben utilizzata per far crescere una società sana e aperta alla condivisione».[11]

Nel concreto, «Pastorale digitale 2.0» non solo permette ma provoca l’opinione di chiunque. In questo senso essa partecipa allo sforzo di una Chiesa che, a ogni costo, desidera essere sempre più «di popolo», coinvolgendo le persone e coinvolgendosi nella loro vita reale. Cresce infatti il numero di persone che considerano gli spazi di «Pastorale digitale 2.0» un’agorà di incontro, di dialogo, di confronto.

A ragione asserisco che forma possibile e concreta di una Chiesa in uscita è proprio lo sviluppo della pastorale digitale.

Per una visione unitaria della pastorale

La pastorale nella sua visione tradizionale è definita come il «tripode celebrazione – catechesi – carità».Le cinque vie del Convegno nazionale ecclesiale di Firenze – uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare – inducono a vedere sempre più questi treambiti intrecciati tra loro, attenti alle «culture» e alla «comunicazione». «Pastorale digitale 2.0» come aiuta (o potrebbe aiutare) la pastorale a ripensarsi in questi termini?

La distinzione tra le diverse componenti dell’azione ecclesiale – celebrare, insegnare e testimoniare – non può diventare separazione: nella realtà ogni agire pastorale si compie in stretta interdipendenza con diverse altre. «Pastorale digitale 2.0» permette di poterle «fotografare» nella loro reale continuità e compresenza, e dimostrare di fatto come l’una non esiste e non si compie nei suoi ideali e progetti senza l’altra. Ciò promuove la circolarità tra le diverse voci dell’attività pastorale della comunità cristiana. Osservo che l’abilità degli operatori della pastorale digitale non sta nel selezionare, ma nell’armonizzare le «diverse» iniziative – attente all’uomo – componendo un arazzo di straordinaria bellezza, perché capace di raffigurare il volto reale della Chiesa locale.

Richiamo un gesto compiuto all’inizio del 2016 che «Pastorale digitale 2.0» ha amplificato, indicando alla comunità cristiana il «camminare insieme» degli ambiti della pastorale: il rinnovo del mandato a tutti gli operatori pastorali, nella solennità del battesimo del Signore.

Dalla «rete di competenze» alla «comunione autentica»

Il progetto Pastorale digitale 2.0 è segnato dallo slogan del «mettere in comunione più che in rete». Questa frase, riletta nell’interazione tra gli animatori della pastorale digitale, è invito affincé questa «rete di competenze» si lasci sempre più educare e trasfigurare in «esperienza di comunione autentica». C’è già qualche proposta in questa direzione?

Obiettivo primario del progetto Pastorale digitale 2.0 non è quello di «fare rete», ma di costruire la comunione, «mettere in comunione» appunto. Il secondo obiettivo è quello di una sempre più accresciuta e reale sinodalità; il terzo obiettivo è superare ogni ossessione di autoreferenzialità.

Certo, in Pastorale digitale 2.0, comunione e sinodalità coinvolgono e riguardano prima di tutto gli operatori: fra loro, infatti, cresce sempre più il senso di appartenenza e di condivisione di obiettivi, metodo e prassi operativa. Questa profonda convergenza è fortemente educata con percorsi di formazione e da momenti di spiritualità, in modo particolare dalle celebrazioni eucaristiche con gli operatori delle comunicazioni sociali.

Inoltre, la pastorale digitale stessa, che come ho già detto è forma di «autobiografia» della Chiesa locale, permette di educare ai tre obiettivi operando. Il metodo dell’autobiografia, infatti, è altamente formativo perché aiuta ad auto-educarsi e a cambiare, a «trasfigurare» la mente, la comprensione di sé e del mondo e l’interpretazione degli eventi che ci riguardano.

Fortunato Ammendolia, informatico e animatore della comunicazione e della cultura del COP

studioso di «pastorale digitale» e di «opinion mining» in ambito religioso

Articolo pubblicato nella rivista del Centro di Orientamento Pastorale

Orientamenti Pastorali 6/2016, EDB

[1] Benedetto XVI, Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola, messaggio per la XLIV Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Città del Vaticano, 24 gennaio 2010.

[2] F. Ammendolia, «Introduzione a riflessioni ed esperienze di pastorale digitale», in Orientamenti Pastorali 5(2016), EDB.

[3] M. Toso, Misericordiosi come il Padre. Lettera al popolo di Dio che è in Faenza-Modigliana, 8 settembre 2015, 94.

[4] A. Mastantuono, «Verso una parrocchia sinodale»,in Orientamenti Pastorali 12(2015), EDB.All’articolo è collegata la proposta di laboratorio pastorale «La parrocchia sinodale: concetti, stile, progettualità»a cura diF. Ammendolia, in Orientamenti Pastorali 3/2016, EDB.

[5] cf. Agostino di Ippona, Discorso 340; la frase originale è: «Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano».

[6] https://www.diocesisora.it.

[7] Francesco, Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo, messaggio per la L Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Città del Vaticano, 24 gennaio 2016.

[8] «Relazioni che non sfruttano le opportunità di “manutenzione” offerte dal web sono destinate a impoverirsi. Ma forse anche l’idea stessa di faccia a faccia va ripensata: nell’incontro infatti portiamo ciò che ci siamo scritti, detti, mostrati online; esso a sua volta diventerà oggetto di scambi sul web. L’essere umano è uno». C. Giaccardi, «Online/Offline? Per i nostri figli non c’è differenza», in Avvenire, 9 settembre 2012.

[9] Cf. F. Ammendolia, Analisi di opinioni in forum religiosi: «opinion model» e approccio basato sul lessico. Tesi di laurea, Dipartimento di informatica, Università degli studi di Bari, 2015. Cf. F. Rossi, «Analisi automatica di opinioni online. Per una pastorale attenta al web 2.0», in Orientamenti Pastorali (3/2016), EDB.

[10] Francesco, Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo.

[11] Ivi.

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