Amoris laetitia. Riflessione sull’Esortazione di Papa Francesco

Amoris laetitia

Riflessione sull’Esortazione di Papa Francesco

Maurizio Gronchi

«Grazie al Vescovo Gerardo di questo invito. È una cosa veramente consolante vedere una Chiesa di popolo che si riunisce intorno al proprio Vescovo e molti sacerdoti e condivide un cammino. È di questa sinodalità che c’è bisogno e da questo punto di vista Papa Francesco ha desiderato portare con sé il cammino che ha condotto a questa esortazione; è un cammino di tutta la Chiesa. Alcuni si aspettavano un documento del Papa. Il Papa questo documento lo ha costruito con tutta la Chiesa attraverso tre anni. E questo è il primo elemento che desidero sottolineare.

Composizione dell’Esortazione

È un testo unico nel suo genere, Amoris Laetitia. Nessun documento della Chiesa raccoglie tre segmenti insieme: quello della sinodalità – ricorderete che si è cominciato con l’ascolto del popolo di Dio, sono stati inviati questionari al primo e al secondo Sinodo. E dall’ascolto di come la famiglia è vissuta in tutte le parti del mondo si è costruito un testo preparatorio e i Vescovi nella prima riunione del Sinodo straordinario si sono riuniti per vedere le sfide. Siamo partiti dalla realtà quale essa è e dopo ancora un anno di riflessione un’altra riflessione, un’altra rappresentanza, più allargata, ha riflettuto sulla missione e vocazione della famiglia.

Allora il segmento della sinodalità, il popolo di Dio, il segmento della collegialità, i vescovi riuniti in due diverse rappresentanze e il terzo segmento, quello del primato del Papa, il primato petrino, il Papa firma questo documento e dice “questo è un documento mio, dei Vescovi e di tutto il popolo”. Voi capite l’importanza di questa prospettiva. Significa che non si può far finta che non ci sia. Non è un documento come gli altri. È prezioso proprio perché raccoglie la fatica, il sudore, le lacrime, le sofferenze ma anche le gioie e gli entusiasmi di tutte le famiglie del mondo, che almeno qui si sono rispecchiate nel percorso, alle quali adesso il documento torna. Ecco perché il cerchio in qualche modo si chiude. È partito dal popolo di Dio e torna a voi. E non è un testo illeggibile, non è una predica di quelle confezionate dove si dice le cose che già si sanno… Che bisogna amarsi, che bisogna confidare nell’aiuto di Dio, che se cadiamo il Signore ci sostiene. Non è una cosa di questo genere. È una riflessione articolata, sono nove capitoli, alcuni sono più direttamente rivolti ai fedeli laici, al popolo di Dio, altri sono invece più di interesse magari per i pastori e gli operatori pastorali.

Cinque chiavi di lettura

La prima chiave di lettura da tenere ben presente è questa originalità del documento, sinodalità, collegialità è una seconda chiave. Molti, avete sentito dalla stampa, dai mezzi di comunicazione sono sempre pronti a cercare motivi di critica perché, confusione, questa è una parola che molti amano ripetere, c’è confusione. La confusione non c’è perché c’è una unità dottrinale e si crede al Vangelo. Il Papa nella prima esortazione Evangelii Gaudium, la Gioia del Vangelo, adesso ci parla di Amoris Laetitia, la Gioia dell’Amore. L’unità dottrinale è nel Vangelo e la Chiesa crede che l’amore viene da Dio, è partecipato alle sue creature, che Dio è Trinità, comunione di persone, in qualche modo famiglia. E questa è l’immagine che è data alla creazione. E questo cammino alla creazione pian piano va verso la sua pienezza. Quindi le cose essenziali da credere non sono in discussione. Si tratta di vedere come comprenderle nelle realtà differenti che sono quelle di tutte le famiglie del mondo, delle diocesi, dei continenti, ecc. e dei contesti delle Chiese. Unità dottrinale e pluralità pastorale. Al numero 3 il Papa scrive: «Diversi sono i modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano» e al numero 300 scrive ancora: «è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo e da questa esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi».

Faccio un esempio semplice per capire perché stanno insieme l’unità e la pluralità. Dio è prima uno e poi trino o è contemporaneamente uno e trino? Contemporaneamente: non c’è prima l’unità e poi la pluralità. Ecco: co-originariamente così. I Vangeli quanti sono? Quattro. Però se ne potrebbe fare uno prendendo i testi migliori di Matteo, di Marco, di Luca, di Giovanni. Si potrebbe fare delle scelte e trovare un unico Vangelo perlomeno in quello. Questa è un’idea che venne ad uno della Chiesa antica, Taziano; disse: «Facciamo il Diatassano, di questi quattro facciamone uno». La Chiesa antica disse no: «Li manteniamo anche se ci sono delle cose che non tornano, perché se uno va a vedere, ma la moltiplicazione dei pani, ma la pesca miracolosa è prima o dopo, come si fa a sapere. Non siamo così certi dico, facciamone uno perfetto, riempiamolo delle cose di cui manca. La Chiesa antica ha detto no. Manteniamo il Vangelo Tetramorfo, quattro forme, perché antico, è pubblico, ed è universale. Allora questo cosa vuol dire, che la pluralità non è dispersione. Nessuno di noi si sogna di dire è più vero il Vangelo di Marco rispetto a quello di Giovanni. Siamo educati, nella storia della Chiesa, a tenere insieme l’unità e la pluralità. Chi vive in una famiglia questa cosa la sa tutti i giorni. Allora è la Chiesa che deve impararlo, la Chiesa gerarchica, che è abituata a pensare che nell’unità delle forme siamo tutti d’accordo. E questo non è la Chiesa perché come noi sappiamo gli apostoli erano dodici e sono andati da tutte le parti, le tradizioni si sono sviluppate, anche liturgicamente, in modi differenti. C’è un’unità plurale. Ecco questa è una ricchezza. Per cui chi dice “non si capisce che cosa si deve fare”. Che cosa si deve fare? Alcuni vorrebbero traduzioni, indicazioni normative della esortazione, vuol dire non aver compreso che è proprio la ricchezza e la bellezza, la varietà della vita che deve attingere a questo orientamento. Per cui se ci sono criteri da applicare si trovano dentro il testo, non fuori.

Questo creerebbe confusione, che qualcuno dicesse: «e allora questo io lo interpreto così». Molti vescovi chiedono, nelle diocesi, come si fa ad applicare? Leggerla e trovare lì i criteri. Questa è l’unità plurale, perché ognuno può prendere quelli che vuole ma se stanno dentro è come la pluralità di voci. Lì c’erano soprani, contralti, bassi, tenori. La pluralità: qui è una coralità e questo è lo spirito.

Terza chiave di lettura. Qual è il filo conduttore di tutto il discorso: che c’è una pedagogia divina. Vedete anche questa immagine della pedagogia la comprendono bene coloro che sono genitori, ma la comprendono bene tutti, perché tutti comunque siamo figli e anche se uno non ha una famiglia propria perché non si è sposato, è comunque proveniente da una famiglia.

La pedagogia. Dio che dalla Creazione, pian piano conduce la storia con grande amore, pazienza, tenerezza verso il suo compimento.

Non c’è una perfezione dalla quale siamo decaduti e allora siamo a rimediare con questa nostalgia del Paradiso perduto.

Il bello ha da venire. Il bello è Cristo che è al principio, al centro e alla fine. E allora capite che se lo sguardo sulla creazione è attraverso Cristo, noi comprendiamo perché qui c’è una scelta di fondo teologica, importante. Non esiste la natura senza Cristo, e poi la Grazia che si aggiunge. E qui siamo nella patria di San Tommaso e Tommaso queste cose le ha insegnate: “Fides supponit rationem, sicut gratia supponit naturam” cioè la grazia suppone la natura, ma non vuol dire che c’è un livello di creazione senza Dio, senza Cristo. Tutto è stato fatto per mezzo di lui. Questo vuol dire che anche nel cammino di preparazione al matrimonio ci sono semi di grazia e di verità che accompagnano anche quelle forme incomplete, le convivenze, imperfette, i matrimoni solo civili, e anche le famiglie ferite, dove l’amore se è smarrito e dove ci si ricompone in forme che non sono appunto tradizionalmente regolari. E questo, è stato faticoso arrivare con l’episcopato a creare testi votati dai 2/3 dopo grande, faticosa discussione su ogni parola. Perché questo, voi capite, è guardare positivamente a ciò che fino a qualche tempo fa abbiamo guardato come marginale.

Cosa vuol dire questo, che allora vanno bene le convivenze? Vuol dire che allora va bene sposarsi civilmente, che allora va bene risposarsi dopo divorziati? Non si sta dicendo questo, si sta dicendo che si cerca ciò che di bene, in queste situazioni, il Signore semina. E questa è la pedagogia e la gradualità della Pastorale. Perché se noi ci limitassimo a dire: va bene soltanto il matrimonio tra marito e moglie, perfetto, dove non c’è prima convivenza, dove non c’è matrimonio civile, quelle sono le famiglie perfette.. noi non comprenderemmo che la Grazia di Dio, a cui il Vescovo ha fatto più volte riferimento, è il dono che permette a ogni vero amore di maturare verso una pienezza. E voi capite che qui la vera questione è la scoperta e l’incontro con Cristo. Questo è il punto. E questo però nella vita non avviene per tutti nello stesso modo. Perché noi si più essere brave persone, educare cristianamente i figli, ma non aver incontrato Gesù Cristo. E da cosa si vede l’incontro con Cristo?

Quarta chiave. Il primato della Grazia. Ma lo spiego meglio. Il Papa dice al n° 297: “Si tratta di integrare tutti. Si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia immeritata, incondizionata, e gratuita. Adesso vi mostro da che cosa si può capire che si è incontrato Gesù Cristo, che si è incontrato l’amore di Dio.

Ricordate la prima enciclica di Papa Benedetto, Dio è Amore, Deus Caritas est, non va dimenticata. E qui siamo alla gioia dell’Amore. Allora come siamo educati fin da piccoli, e come purtroppo tentiamo anche di educare… Mi obbedisci? Allora sei buono, quindi meriti il mio Amore. Disobbedisci? Sei cattivo, non meriti il mio Amore. Con queste due prospettive sapete come cresciamo? Abituati a pensare che l’Amore dobbiamo meritarlo. Infatti siamo imbarazzati no, quando riceviamo un regalo. “Ma non dovevi”… cioè la gratuità ci sorprende, ci spiazza. Non possiamo ricompensare, l’imbarazzo che uno che riceve un dono e non ha qualcosa da ricambiare, perché vuol sentirsi pari. Tutti facciamo così, perché siamo educati in questo modo. Pensiamo di dover meritare l’amore, di dover essere graditi. Se noi non ci impegniamo e siamo buoni, i nostri genitori non sono contenti, li deludiamo. Ecco questa è una prospettiva con cui si cresce. Poi un bel giorno, se per grazia questo giorno accade, incontriamo Gesù Cristo, che non pone condizioni. Cioè non aspetta la tua conversione per dirti allora ti premio. Il suo Amore precede, è gratuito. Questo ci spiazza, come sta spiazzando il Giubileo della Misericordia, perché sentir parlare il Papa in questo modo di Misericordia… certo devo fare qualcosa, ma è un atto secondo quello che fai, e il primato è la Grazia. Avete sentito una parola che il Papa ha ripetuto, in tre anni di pontificato, 15 volte, 16 ai preti l’altro giorno negli esercizi a Roma. Pelagianesimo, parola un po’ strana, qualcuno ricorderà gli studi, Sant’Agostino, Pelagio… cosa diceva? “quello che noi facciamo”. Che “il primo gesto buono, lo sforzo della volontà, deve venire da me”. E questo impedisce di capire che è il dono di Dio che ti precede. Se il Signore non mi dà la Grazia, non mi attira con il suo amore, io non posso far nulla. Senza di me non potete far nulla (Gv 15). Solo che noi non teniamo in conto fino in fondo di questo e quindi pensiamo di meritare. Allora il primato della grazia è decisivo per fare un cammino di realistico nel matrimonio. Se non incontriamo Cristo e non ci affidiamo a lui, con tutta la buona volontà, le prove della vita qualcuno le sostiene e qualcuno no. Ci vuole un sovrappiù di amore che non è il nostro amore, è un dono. Questa prospettiva è decisiva. Per che cosa? Per operare un discernimento. A cominciare da chi si sposa, dalle coppie che si preparano al matrimonio, da quelli che vengono a chiedere il matrimonio.

Di che cosa siamo preoccupati noi? Che facciano i fogli, che seguano il corso, che cerchino di fare la cerimonia in modo non troppo sfarzoso. Piccoli dettagli. Se voi leggete il capitolo 4°, il capitolo 5°, il capitolo 7°, che sono quelli più rivolti a voi, scoprite che c’è un cammino dove si può anche arrivare a, e il Papa lo dice, “Non è il momento di sposarsi, forse è meglio rimandare”, ma allora cosa si fa, ci si espone al peccato. Non è un problema questo, è che per arrivare a scoprire quel dono, il cammino è meglio farlo in modo prolungato. Chi ha detto che un gruppo di coppie devono per forza tutti sposarsi, come chi ha detto che quelli che fanno questo o quell’anno di seminario quel giorno devono diventare tutti preti, chi lo ha detto. Pluralità, percorsi, cammini differenti. Noi non siamo polli di allevamento, fatti in serie, che corrispondono a delle regole. Noi abbiamo nutrimenti diversi. Nella esortazione voi trovate questa sensibilità, io sto cercando di raccontarvela in questo modo. Chi ha già letto o leggerà probabilmente si accorgerà di questo tipo di sensibilità, cioè non si sta parlando delle famiglie come dovrebbero essere. Si sta parlando delle famiglie come sono. O meglio dell’Amore com’è. Con le sue fragilità, con la sua meravigliosa imperfezione. Perché meravigliosa, perché è quella che ci fa chiedere: “Signore, dammi la tua grazia, altrimenti questo cammino non lo faccio”. E questa è la quarta chiave.

La quinta chiave di lettura è quella delle situazioni più difficili. Il discernimento. Avete sentito sono tre le parole chiave: accompagnamento, discernimento, integrazione. Ma queste valgono per tutti, non valgono soltanto per le famiglie ferite, dove l’amore è smarrito. L’accompagnamento è una questione che coinvolge la quotidianità dell’educazione che dicevamo prima. Ecco quel paradigma deve cambiare. Noi non dobbiamo aver paura di sorridere, di amare gratuitamente, di essere benevoli.

Vedete il Papa, perché parla della gioia? Perché sorride sempre a tutti, non ha lo sguardo di rimprovero verso nessuno, anche verso chi se lo meriterebbe. Capite com’è che la fraternità cresce. Non dicendo tu si, tu no. Tu sì se tu dici di sì all’altro. Come fa un genitore quando i figli litigano? Perché vuole che i figli vadano d’accordo? Ecco credo che questo è. Alcuni certo si smarriscono perché dicono: ma allora va tutto bene! Come vedete non è proprio così perché quando c’è da dire lì non va, e voi lo sapete di fresco, lì non va. E quando c’è da dire lì va, lì va. Ecco il discernimento, le situazioni non sono tutte uguali. Questo è l’atteggiamento che porta a queste espressioni così forti. Ci sono delle affermazioni forti in questa esortazione. Alcuni un po’ malevoli sono andati a cercare, “ma questa comunione ai divorziati e ai risposati, non c’è e allora vuol dire che è tutto come prima”, oppure “no c’è ma in una nota, la 351”. Ma nella esortazione c’è molto di più della comunione, c’è molto di più. N° 301: La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti, per questo non è possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta irregolare vivano di stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Chi legge attentamente capisce che qui c’è molto di più della confessione e della comunione. C’è quello che i saggi confessori e se qui ci sono i sacerdoti in un’età un pochino più avanzata forse lo sanno, perché hanno ascoltato dietro la grata tante persone e forse da giovani erano un po’ più rigidi ma il tempo ha smussato. Ogni buon confessore sa che se si mette ad ascoltare un po’ lungamente, forse non è il caso che sia alla grata ma a un tavolo, una conversazione più lunga, sa che ogni situazione è diversa e che non basta l’oggettività formale. E allora questo cosa vuol dire, che in questa esortazione viene detto al popolo di Dio quello che i confessori sapevano forse se si erano preparati bene in seminario gli era stato insegnato. Guarda che queste sono le regole, però quando si presenta una persona ci vuole ascolto, ci vuole misericordia. Uno deve uscire dal confessionale, anche se non dovesse ricevere l’assoluzione, ma non col senso del rifiuto. Quante volte il Papa, lo sentite, lo vedete, ripete questo. Non deve essere una sala di torture, deve essere un luogo in cui comunque ci si sente accolti, ecco adesso queste cose qui che prima le sapevano i preti, adesso le sanno tutti. Questa è un’operazione di trasparenza perché chiede al popolo di Dio e ai pastori di camminare veramente insieme. E di distinguere, non di nascondersi dietro: “Ah ma allora il Papa ha detto che si può far tutto”. Non ha detto questo. Ecco perché la terza parola, integrazione. Qui non si tratta di presentarsi per Pasqua o quando fa la comunione il proprio figlio, o quando c’è un funerale di un parente allora io voglio far la comunione. Qui si tratta di un cammino che comincia con il leggere in Chiesa, le letture, partecipare ai consigli parrocchiali, pastorali, alle attività di carità, essere parte della comunità e allora si può anche arrivare a fare il padrino, la madrina, il catechismo. Tutte esclusioni che non sono in nessun documento ufficiale della Chiesa, sono in un direttorio della Pastorale familiare della Chiesa in Italia, del ’93, che oggi si sta dicendo di rivederlo alla luce di Amoris Laetitia, ovviamente. Allora c’è un cammino di partecipazione. Capite che è molto diverso, no, per chi si presenta pubblicamente e dice: il Papa ha detto che io posso fare la comunione, che mi importa. E questo è chiaro che diventa una sfida, uno scandalo, una forma di divisione, che giustamente suscita nel figlio maggiore della parabola del figliol prodigo il dire:eh, ma insomma, questo. Quando il secondo figlio che si è trovato in difficoltà tornasse a casa con delle pretese che dicesse ora si deve dividere l’eredità… ora io non torno così, trattami come un garzone, come un servo. Allora anche chi ha il dono, la grazia di una famiglia riuscita, la benedizione dei figli, il conforto degli amici, vera gioia con tutti, sono le parole di una delle benedizioni, chi ha questa grazia deve farsi carico di sostenere i fratelli più deboli.

La prospettiva dell’Esortazione

La prospettiva del documento è questa: accompagnare, discernere, integrare. È la comunità cristiana, non è il prete e basta? Perché altrimenti si va da quello che ha la manica più larga a quello che l’ha più stretta. Quello che dice: no no le regole sono queste, voi siete pubblici peccatori, siete concubini, siete adulteri. Alcuni si sono un po’ risentiti che qua dentro non c’è la parola adulterio. Perché non c’è la parola adulterio, perché non si vuol guardare in modo negativo, si vuol vedere una forma imperfetta e incompiuta che può maturare, che può cambiare. E la situazione delle persone cosiddette irregolari è una situazione comunque temporanea, che può cambiare, ma non può cambiare soltanto perché possono vivere da fratello e sorella, o lasciarsi e tornare alla situazione di prima compiendo un peccato in più magari perché creano un ulteriore problema. La situazione può cambiare interiormente. La vita si trasforma, la vita è dinamica. Ecco perché non c’è il disprezzo delle norme ma c’è la sensibilità ad un cammino sostenuto dalla Grazia e accompagnato dalla comunità cristiana. Concretamente cosa vuol dire? Andate a vedere e trovate. Le coppie possono essere non soltanto quelli che fanno gli interventi al corso di preparazione, potrebbero essere anche quelli che partecipano a un discernimento condiviso col sacerdote. Si può arrivare a decidere che magari non è il caso, di aspettare, ma come quelli hanno già fissato… non hanno fissato nulla. Si fa un corso molto prima, non si pongono condizioni. Perché allora dobbiamo sposarci. È chiaro che queste sono cose difficili da ammettere nella pratica, a meno che non vogliamo continuare a dire: sappiamo che molti dei matrimoni che celebriamo sono nulli. Allora se sappiamo che sono nulli il Motu proprio ha previsto che con il processo breve e con il processo giudiziale straordinario a cura del Vescovo si possono vedere situazioni nelle quali magari non si hanno tutte le prove come si dovrebbe in una forma, però siccome ci sono delle persone che hanno certezza, come l’abbiamo noi preti certezza che quelli si sono sposati per cerimonia, e allora questo però è un tipo di rimedio ma è meglio prevenire. Questo è un po’ il quadro.

N° 306: In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la Via Caritatis. La carità fraterna è la prima legge dei cristiani. La carità. La carità copre una moltitudine di peccati. Ricordate Manzoni: per una sola opera di misericordia Dio perdona molti peccati, anche di quello che era passato di scelleratezza in scelleratezza. La carità. Ci sono delle vie con le quali la vita cambia, anche quando l’amore è distrutto, anche quando il patto è irrimediabilmente infranto.

E allora, per venire alla bellezza, alla gioia dell’amore, il quarto capitolo è l’inno alla carità. E prendere i verbi della carità e declinarli nella vita familiare è una cosa fantastica e chiunque legge questo lo vede. Ci sono alcuni capitoli che riprendono più direttamente il lavoro sinodale, e sono il secondo, il terzo, il sesto, l’ottavo e un po’ del nono. Il primo, questa lettura biblica del salmo che è una festa in famiglia e anche la storia della famiglia nella Bibbia, che non è esemplare. Se noi leggiamo l’Antico Testamento c’è poligamia, non ci sono le famiglie perfette nell’Antico Testamento, tranquilli. Si va verso un compimento. È un progetto quello di Dio che accompagna gradualmente verso la pienezza. C’è un’alleanza tra Cristo e l’umanità, c’è un’alleanza tra Cristo e Israele: tutto è sotto la luce di Cristo, e c’è un’alleanza tra Cristo e la Chiesa. Anche questa alleanza tra Cristo e la Chiesa, come Paolo ci dice agli Efesini e in quel testo lì non è sviluppato, nell’esortazione, perché si dice che è un’analogia imperfetta. Quante persone, dice il Papa, puntando a questo ideale, si scoraggiano, pensano che non sarà mai così, amare come Cristo ama la Chiesa, l’uomo, il marito, la moglie. È una analogia imperfetta, non può essere il calco sul quale facciamo l’esame di coscienza, non è possibile. Allora in questo processo si va verso la pienezza. È l’accompagnamento della Grazia, in ogni passo che facciamo, anche nelle cadute. Dicevo la quotidianità dell’amore, perché sono quattro i passaggi di questo quarto capitolo, bellissimo: la quotidianità dell’amore, la sua crescita in famiglia, un amore appassionato e la sua trasformazione. La quotidianità dell’amore: paziente, benevolo, non è invidioso, non si gonfia… da leggere, da meditare. La crescita nella carità coniugale e qui si parla della combinazione tra passione erotica e tenerezza dell’amicizia; è un processo dinamico. Queste parole, permesso, grazie, perdono, sono diventate uno slogan me se ci pensiamo bene indicano proprio questa capacità di stare sotto il primato della Grazia. Non ci siamo conquistati il diritto di non dire grazie, di non chiedere scusa, di non chiedere permesso perché abbiamo fatto il nostro dovere. E chi sente continuamente che è inadeguato al dono che avanza con questo lento passo della carità. Quindi la crescita sotto l’impulso della Grazia. Poi l’arte del dialogo, l’amore appassionato. Qui citando San Tommaso, l’importanza delle passioni: le passioni non sono cose negative, non sono né negative né buone, sono le emozioni, gli istinti, fanno parte di noi, appellano alla libertà, come si orientano. Quindi Eros e Agape e così educare l’emotività in un progetto di autodonazione. E poi c’è un’ampia citazione per chi dicesse che questa esortazione è in contrasto con Giovanni Paolo II, vada a vedere che qui sono citate ampiamente le catechesi sull’amore umano di Giovanni Paolo II. Non fatevi ingannare dai mezzi di comunicazione che creano false contrapposizioni. Il gioco di colui che divide è il diavolo. Le pluralità, le differenze, gli accenti, i carismi diversi, è lo Spirito. E poi la trasformazione dell’amore, lo scegliersi sempre di nuovo. Non voglio far la predica, però andate a vedere. Il mito dell’aspettativa, quello che dice “ma sei cambiato non sei più come… io ho sposato una persona diversa”. Ma non sapevi che si cambia, si trasforma, che l’amore si adatta al passo, si cresce. Il mito dell’ideale infranto: “non sei più quello”, oppure arrivare in fondo alla vita e dire: “grazie a te sono diventato migliore” invece di dire “guarda come mi hai ridotto”.

Il quinto capitolo, l’amore che diventa fecondo, anche qui accogliere una nuova vita, la scelta è risposta al dono, mai un diritto. Questa idea del diritto di avere i figli. Dio concede ai genitori, una espressione bellissima, che usa il Papa al n° 166, Dio concede ai genitori di scegliere il nome con cui chiama i suoi figli per l’eternità, cioè se io mi chiamo Maurizio, l’avevano scelto i miei genitori e Dio mi chiama col nome che hanno scelto i miei genitori. Solo a Gesù lo ha suggerito: lo chiamerai Gesù, qui ha deciso Lui, perché è il Padre, e alla Madre dice: colui che non ha madre nel cielo, non ha padre sulla terra, i Padri della Chiesa dicevano.

Voglio soltanto stimolarvi a leggere il testo. Questo è il punto. Perché la pigrizia fa sì che si vada su Internet a vedere qualche sintesi, quello ha detto questo, quello ha detto quest’altro. Tanto le trasmissioni televisive su Amoris Laetitia non le faranno, non avrete il talk show perché non fa audience. A meno che poi non si voglia parlare delle famiglie differenti. Allora, accogliere questa nuova vita, l’uso della libertà. Anche qui vedete, qualcuno ha detto, ma come mai, quelli che sono un pochino preoccupati della dottrina, che temono, dicono ma perché non si ribadisce sulla questione dei metodi naturali, della contraccezione. Anche qui non è per negare niente, è perché la responsabilità genitoriale è una responsabilità personale e di coppia nella quale è inutile entrare nella giustificazione che alcune cose sono di per sé buone (i metodi naturali) e gli altri sono di per sé cattivi. Come se l’oggettività decidesse per la mia coscienza, con la quale io decido di usare i metodi naturali per escludere la vita. Però di questo peccato non si confessa nessuno (nemmeno dell’altro). Però in ogni caso si evita di calcare la mano su quelle cose che chiedono una responsabilità di fronte alla quale nessuno può sottrarsi, perché se nel tuo rapporto coniugale non c’è una vera apertura alla vita, non è una questione di mezzi meccanici o altro. Di quella rispondi a Dio e rispondi anche ai figli che non hai accolto, e a volte purtroppo in modo molto doloroso, e capite in che senso. E allora la fecondità allargata. Qui si parla di una famiglia che ovviamente quando si compone tende a chiudersi, a ripiegarsi, si va ad abitare da un’altra parte, le famiglie giovani hanno bisogno di non chiudersi, di essere sostenute, non solo dalla cerchia dei parenti, dai quali una certa distanza va anche bene, ma poi i figli chi te li tiene, c’è la comunità cristiana.

Però c’è la bellezza, nel testo, della vita così com’è. Non c’è la predica: bisogna fare i figli, i figli che Dio

E questo viene fuori soprattutto nel settimo capitolo, che è altrettanto fondamentale. Ci sono tante altre cose. Questo era soltanto un aperitivo per farvi venire la voglia di leggerla e di meditare con tanta passione e tanta gioia.

 

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