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Sperare è da Dio – Omelia per la celebrazione giubilare diocesana (Roma, Basilica Pontificia di San Pietro in Vaticano – Altare della Confessione), 18 giugno 2025

SPERARE E’ DA DIO

Omelia per la celebrazione giubilare diocesana

Roma, Basilica Pontificia di San Pietro in Vaticano
Altare della Confessione – 18 giugno 2025

 

Cari pellegrini,

“il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo” (Rm 16,13). Le parole di san Paolo qualificano la speranza come dono di Dio e virtù (forza) dello Spirito Santo. Per questo possiamo dire:

Sperare è da Dio, perché viene dallo Spirito.
Sperare è da Dio, perché apre il cuore alla relazione filiale e confidenziale con il Padre.
Sperare è da Dio, perché orienta la nostra esistenza al suo fine ultimo, l’eterna felicità, compimento di ogni umana attesa.

Sostando sulla tomba dell’apostolo Pietro partecipiamo con gioia fraterna al rito eucaristico, pregustazione e profezia del banchetto celeste. Sentiamoci in profonda comunione di affetti spirituali con il Santo Padre Leone XIV, roccia della nostra fede, segno di unità e vincolo di carità, primo pellegrino di speranza in cammino con la Chiesa. L’amore di Pietro per il Signore si esprime nel vigore di parole audaci: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene” (Gv 21,17). Le parole di Pietro oggi trascinano anche i nostri pensieri e affetti, e incoraggiano a confessare il nostro amore imperfetto ma sempre risanato dal perdono del Risorto:

Signore della Via, custode del mio cammino, oggi sono qui perché tu sai che ti voglio bene.
Porta santa della Vita, imploro la grazia del Giubileo, perché tu sai che ti voglio bene.
Figlio di Dio, amo la Chiesa e amo il Papa perché tu sai che ti voglio bene.
Pastore sapiente, amo la mia comunità e la mia famiglia, perché tu sai che ti voglio bene.
Signore di misericordia, perdono i miei fratelli e chiedo perdono, perché tu sai che ti voglio bene.
Agnello immolato, tu sai che ti voglio bene perché Tu mi ami di amore infinto e incondizionato, e non posso non amare perché non posso non sperare in Te che sei l’Amore. Ti vogliamo bene, Signore, perché solo il tuo amore ci potrà trasfigurare in seminatori di speranza.

La Parola celebrata illumina la nostra speranza.
L’apostolo Paolo oggi chiede a noi, come già ai cristiani di Corinto, di diventare seminatori di speranza attraverso una dilatata generosità del cuore, perché Dio ama chi dona con gioia. Chi crede spera, chi spera ama, chi ama si dona. Nella sua provvidenza Dio ricompensa le nostre generose opere, premia sempre la larghezza del nostro animo. Chi è ricco in generosità non diventerà povero di beni, perché Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia… avendo sempre il necessario in tutto.  Al contrario, chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà. La spilorceria del cuore impoverisce le relazioni, uccide la speranza. L’egoismo soffoca la speranza, mentre la condivisione di beni, non solo materiali ma anche morali, spirituali, comunitari, culturali, ci rende missionari ed elargitori a cuore aperto e a piene mani di semi di giustizia, di fraternità, di dialogo, di carità sociale. Insegna Papa Leone: “Noi siamo abituati a calcolare le cose, ma questo non vale nell’amore! Il modo in cui questo seminatore “sprecone” getta il seme è un’immagine del modo in cui Dio ci ama. Questa è la speranza, fondata sulla roccia della generosità e della misericordia di Dio” (Catechesi, 21 maggio 2025). Sprecarsi nel fare il bene non è sciupare la vita, ma arricchirla del prezioso capitale della speranza riposta nel Signore risorto. Non dobbiamo avere paura nel diventare spreconi del bene. Qualcuno lo accoglierà, Dio lo farà crescere.

Amici tutti,
la pagina del Vangelo difende la speranza cristiana da un nemico mordace e mortale: l’ipocrisia. L’ipocrisia fa morire la speranza perché impedisce ogni relazione significativa. E’ l’ipocrisia delle nostre apparenze, delle ingannevoli esteriorità, del nascondersi dietro una maschera per operare nell’inganno, nella doppiezza, nella inautenticità. E’ l’ipocrisia degli arrampicatori che poggiano ogni fiducia nella propria scaltrezza, per presentarsi per quello che non si è. E’ l’ipocrisia della nostra autosufficienza, di ogni forma di autoreferenzialità. La speranza cristiana esprime il bisogno radicale di Dio, del suo amore, della sua amicizia: “Senza di me non potete fare nulla!” (Gv 15,5). La speranza ci guarisce da ogni narcisismo, ci libera dall’ossessione dell’Io: “Sei tu, mio Signore, la mia speranza, la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno: a te la mia lode senza fine” (Sal 71,5-6). A volte anche il nostro ottimismo è ipocrita, quando nasconde i nostri limiti con la maschera di una sicurezza infondata, falsa e fuorviante, facendo credere quello non siamo capaci di offrire. Sant’Agostino sottolinea: “Gesù non dice: senza di me potete far poco, ma dice: non potete far nulla. Non poco o molto, ma nulla si può fare senza di lui. E aggiunge: “Replichino i presuntuosi e quanti ritengono di non aver bisogno di Dio per compiere le opere buone …Vi arrampicate sui dirupi senza avere dove fissare il piede, e vi gonfiate con parole vuote. Queste sono ciance della vostra presunzione…Chi si illude di poter da sé portare frutto, non è unito alla vite; e chi non è unito alla vite, non è in Cristo; e chi non è in Cristo, non è cristiano. Ecco l’abisso in cui siete precipitati” (Commento al Vangelo di Giovanni). L’ipocrisia genera illusioni e delusioni. Non è la finzione o la falsificazione della realtà che genera fiducia, né speranza. Essere ipocrita “è indossare una maschera, cessare di essere persona per diventare personaggio. Il personaggio non è altro che la corruzione della persona. La persona è un volto, il personaggio una maschera. La persona è nudità radicale, il personaggio è tutto abbigliamento. La persona ama l’autenticità e l’essenzialità, il personaggio vive di finzione e di artifici. La persona ubbidisce alle proprie convinzioni, il personaggio ubbidisce a un copione” (R. Cantalamessa, 15 marzo 2019). Dell’ipocrita non ci possiamo fidare. La speranza cresce nel terreno fertile di relazioni fiduciali, trasparenti e autentiche. L’ipocrita è menzognera, nega la realtà; la maschera nasconde il mio vero volto. Nell’ipocrisia non c’è speranza.

Cari pellegrini,

Gesù ci conferma nella certa speranza che “il Padre vede nel segreto”. E’ dal terreno fertile di un cuore generoso, libero dal lievito dell’ipocrisia e dai fermenti della malizia che potrà germogliare la fiducia e la speranza evangelica, che non delude mai.

+ Gerardo Antonazzo

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